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Il PNRR e l’ADI: come sta cambiando l’Assistenza Domiciliare Integrata dopo il PNRR
Da un’articolo su lavoce.info
Il Pnrr ha incentivato lo sviluppo delle cure a domicilio per la popolazione anziana, tuttavia i dati mostrano un aumento dell’utenza che ha compromesso sia l’intensità che la durata dei servizi offerti, portando a un sistema che non riesce a soddisfare appieno le necessità delle persone non autosufficienti.
L’assistenza domiciliare integrata rappresenta un elemento fondamentale dei livelli essenziali di assistenza ma la sua implementazione è variabile tra le diverse regioni del paese. In molte aree, i servizi di assistenza domiciliare sono stati forniti in modo sporadico, con interventi isolati che non riescono a rispondere adeguatamente alle esigenze continuative e complesse delle persone non autosufficienti. La pandemia di Covid ha riportato l’attenzione su queste esigenze, con l’introduzione di finanziamenti nazionali per l’assistenza domiciliare, successivamente inclusi nel Recovery Plan. L’Italia si è proposta di aumentare il numero di assistiti per raggiungere nel periodo 2025-2026 il 10 per cento della popolazione over 65, grazie a un investimento di 3 miliardi. Inoltre, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede una riforma globale dell’assistenza per gli anziani non autosufficienti. Nel 2023, ogni regione ha stabilito un incremento annuale di assistiti rispetto al periodo antecedente al Pnrr, con tutte le regioni che hanno raggiunto il traguardo tranne Sardegna, Campania e Sicilia. È utile dunque riflettere sull’evoluzione delle cure domiciliari e sul loro impatto in seguito al Recovery Plan. Prima dell’introduzione del Pnrr, il numero di anziani assistiti in Adi era circa 650mila, cifra che è cresciuta a 1,17 milioni nel 2023, corrispondente all’8,4 per cento della popolazione over 65. In molte aree questo ha comportato un raddoppio degli utenti negli ultimi due anni.
Ma come stanno cambiando i livelli di erogazione per i singoli? Da oltre un decennio, è in uso un sistema di classificazione ministeriale, il Siad, che calcola la frequenza con cui il singolo assistito riceve accessi al domicilio durante il periodo di presa in carico e distingue due livelli di intensità. Le “cure domiciliari di base” si attivano quando il servizio socio-sanitario regionale interviene a domicilio meno di una volta alla settimana per esigenze estemporanee o prestazionali di bassa complessità, mentre le “cure domiciliari integrate” sono garantite quando il servizio assicura più di un accesso alla settimana, in base ai bisogni emersi da una valutazione multidimensionale e da un piano di assistenza individualizzato. L’assistenza domiciliare vera e propria, particolarmente per persone con esigenze complesse, dovrebbe rientrare nella seconda categoria, che nel 2021 rappresentava il 58,7 per cento del totale. Tuttavia, grazie a un corposo investimento di risorse del Pnrr, questa percentuale è scesa al 41,1 per cento, mentre si è ampliata la quota dedicata al “prestazionale”, che nel 2023 ha raggiunto il 58,9 per cento. È da notare che l’incidenza degli interventi iniziati e conclusi nello stesso giorno, una sottocategoria delle cure domiciliari di base, è aumentata dal 15 per cento del 2021 al 29 per cento del 2023.
Per valutare lo sforzo assistenziale dei servizi sanitari regionali a domicilio, è fondamentale considerare il numero di accessi degli operatori, ovvero quante volte infermieri, medici, fisioterapisti e operatori sociosanitari si sono recati presso le abitazioni degli assistiti. Nel 2023, in media, ogni anziano ha avuto 14,3 accessi, un valore inferiore rispetto ai periodi antecedenti il Pnrr. Sebbene i volumi di assistenza stiano aumentando, ciò avviene a un ritmo più lento rispetto alla crescita del numero di utenti, originando così un fenomeno di “polverizzazione” dell’assistenza tra una casistica più ampia. Le nostre stime sui volumi di incremento dal 2021 al 2023 mostrano che ogni nuovo utente ha ricevuto in media 12 accessi, decisamente al di sotto dei 39 accessi per utente previsti dalla metodologia adottata per il pacchetto standard destinato agli 800mila nuovi assistiti. Ma quanto dura la presa in carico? Nel 2023, ogni anziano è stato assistito in Adi per circa tre mesi, equivalenti a 123 giorni di cura, e la durata media di ciascun intervento è stata di poco più di due mesi, poiché ogni anziano potrebbe essere stato assistito più volte nel corso dello stesso anno.
L’approccio del Pnrr sembra aver portato a una frammentazione dell’assistenza, poiché il modello di investimento fa leva su un sistema di monitoraggio che si basa esclusivamente sul numero di utenti, insieme a un finanziamento per ciascun assistito che si fonda su un pacchetto standard predefinito. Questa modalità garantisce una quota anche nei casi in cui l’erogazione effettiva sia inferiore ai livelli standard. Ne deriva un allargamento dell’utenza a scapito della qualità e della continuità del servizio, aggravando così una problematica già esistente nel nostro sistema di assistenza domiciliare, il quale non riesce a rispondere adeguatamente alle necessità legate alla non autosufficienza.
Una prima valutazione d’insieme
Il Servizio sanitario nazionale sta cercando di promuovere un modello di cura incentrato sulla domiciliarità, riconoscendo l’importanza del contesto domestico nella gestione della salute. Questo cambio di paradigma rappresenta un progresso significativo rispetto a un sistema tradizionalmente focalizzato sulle acuzie e sui servizi ospedalieri. I dati attuali mostrano un aumento nella diffusione dei servizi domiciliari, tuttavia la crescita rimane limitata a forme di assistenza brevi e sporadiche, spesso destinate a necessità di bassa complessità come i prelievi. Gli interventi più complessi, che richiederebbero un approccio continuativo e multidisciplinare, non ricevono la stessa attenzione. È probabile che le regioni stiano privileggiando modelli di assistenza domiciliare più semplici, poiché eventuali investimenti in programmi integrati non sono evidenziati adeguatamente dagli attuali sistemi di monitoraggio che si concentrano unicamente sul numero dei pazienti assistiti, dimenticando l’efficacia del trattamento offerto.
Non sembra che sia stata affrontata in modo efficace la storica insufficienza di un servizio domiciliare progettato per rispondere alle esigenze della non autosufficienza, anzi si sta rafforzando un modello che si concentra principalmente sulle fasi acute, al massimo quelle postacute. Questa evoluzione dell’assistenza domiciliare integrata non appare in linea con le indicazioni dei piani per la cronicità, che suggeriscono di stratificare gli utenti in base ai livelli di bisogno, con un’assistenza proporzionale che preveda un supporto più intenso per gli anziani con più patologie e complessità, che presentano limitazioni funzionali e bisogni sociali elevati, ovvero per coloro che si trovano nella parte alta della piramide della cronicità. Attualmente, è difficile valutare se questo tipo di assistenza domiciliare aggiuntiva abbia giovato al Servizio sanitario nazionale nel ridurre i ricoveri ospedalieri, contenere le ospedalizzazioni inappropriate o ripetute, e prevenire o ritardare le istituzionalizzazioni. Tuttavia, questi obiettivi sembrano raggiungibili solo se l’assistenza domiciliare è continua e intensiva. Ci sono quindi opportunità di miglioramento per rafforzare l’efficacia del servizio e per sviluppare politiche che rispondano adeguatamente ai bisogni degli anziani. È necessario realizzare un monitoraggio più attento degli sforzi assistenziali a domicilio, considerando la complessità degli obiettivi che il welfare domiciliare deve perseguire. L’analisi presentata in questo articolo è stata condotta nell’ambito dei lavori del Patto per la non autosufficienza, con l’obiettivo di formulare proposte di evoluzione per il modello attuale di assistenza agli anziani. Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono personali dell’autore e non riflettono la responsabilità dell’ente per cui lavora.
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