di Mary Liguori
Il caso Almasri incendia lo scontro tra magistrati e governo e, più passano i giorni, più le due versioni dell’iter che ha portato alla scarcerazione del comandante del Rada, e al conseguente rimpatrio in Libia con volo di Stato, differiscono. Da un lato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha dichiarato che la liberazione del generale libico è stata la conseguenza di una decisione dei magistrati, dall’altro la Anm che ha accusato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di inerzia, perché non avrebbe disposto gli atti preliminari alla convalida del fermo di polizia. La scarcerazione del generale libico Najeem Osema Almasri, accusato di crimini contro l’umanità commessi nel carcere libico di Mittiga, e le polemiche che ne sono derivate, si inseriscono in un crescendo di tensioni dovute alla riforma della giustizia e al tema della separazione delle carriere che sta tenendo banco da settimane e che sabato, in tutta Italia, ha visto le toghe protestare contro il governo in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno giudiziario. A Napoli, poi, la scena madre con i magistrati che, copie della Costituzione alla mano, hanno abbandonato il Salone dei Busti di Castel Capuano prima che il Guardasigilli iniziasse il suo intervento.
RIMPALLO DI RESPONSABILITA’
Finito il week end, è ripreso lo scontro iniziato col botta e risposta tra il primo ministro e l’Anm. Il sindacato dei magistrati non esita a conferire al mancato intervento del ministro una volontà politica. Attraverso una nota, la giunta centrale dell’Anm attacca sostenendo che il guardasigilli avrebbe «potuto intervenire in quanto era stato notiziato del fermo dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’Appello di Roma il 20 gennaio» e che «in ottemperanza agli accordi internazionali, avrebbe dovuto chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra». Mercoledì, intanto, sarà il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a presentare alla Camera una informativa sulla vicenda. Il 23 gennaio, lo stesso Piantedosi, nel corso di un question time al Senato, ha dichiarato che «il rimpatrio di Almasri è avvenuto per urgenti ragioni di sicurezza dopo un provvedimento di espulsione».
Nuovi dettagli a sostegno della tesi del governo sono arrivati oggi da Alberto Balboni di Fdi che, a Skytg24, ha dichiarato: «Gli atti sono stati trasmessi al ministro Nordio il giorno 21, quando la scarcerazione era già stata disposta dalla Corte d’Appello autonomamente perché mancava un requisito. Siccome si parla di convalida dell’arresto, il giudice deve valutare se al momento dell’arresto sussistono i requisiti per operare legittimamente con l’atto che priva della libertà un cittadino o uno straniero. Quindi da questo punto di vista il corto circuito è stato all’origine quando la polizia giudiziaria non ha avvertito preventivamente il ministro, l’unico che poteva disporre l’autorizzazione a questa misura», ha concluso Balboni. Più o meno nelle stesse ore , il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, dichiarava ad Agorà Tre che «la Corte d’Appello ha scarcerato perché il pg in attuazione della legge ha interpretato il silenzio del ministro della Giustizia nel modo più rispettoso delle prerogative del governo. Se il ministro sta zitto vuol dire che non si proceda. È stato interpellato più volte». Anche Matteo Renzi è intervenuto sul caso con un’aspra critica affidata a enews: «Meloni aveva detto: darò la caccia ai trafficanti di uomini rincorrendoli per tutto il globo terracqueo. Poi le si è presentato uno allo Juventus Stadium. La Digos ha fatto il proprio dovere e l’ha arrestato, perché le forze dell’ordine sono fatte di persone serie. Il governo ha deciso di scarcerarlo e prendergli un volo privato per Bengasi perché l’esecutivo non è fatto di persone serie». Intanto è giunta la formale protesta della Corte penale internazionale per la scelta italiana di rimpatriare Almasri senza consultarla.
IL PROFILO, ALMASRI IL MACELLAIO DI MITTIGA
D’altronde il provvedimento di fermo era stato eseguito, in Piemonte, su disposizione della Cpi. I giudici dell’Aja contestano al generale una serie di episodi avvenuti a Mittiga, penitenziario di cui è direttore. In quella struttura, secondo quanto si legge nel dispositivo della pre-trial Chamber della Cpi, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 32 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie. Crimini commessi da membri della Rada, le Forze speciali di deterrenza, una milizia nata per combattere le forze di Gheddafi di cui il generale sarebbe il capo. Secondo i giudici dell’Aja, Almasri «ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli». Almeno quattro detenuti sono morti a causa di colpi di arma da fuoco e 12 a causa di torture e maltrattamenti. Almeno 36 persone sono state ridotte in schiavitù, incluso un bambino di 9 anni. In alcune occasioni il generale era presente mentre le guardie picchiavano i detenuti o sparavano contro di loro. Nei suoi confronti il mandato di arresto è stato spiccato il 18 gennaio con voto a maggioranza. Prima di venire bloccato dalla polizia italiana, Almasri ha girato indisturbato per l’Europa superando numerosi controlli sia nel Regno Unito che in Belgio e in Germania.
lunedì, 27 Gennaio 2025 – 17:56
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