Omicidio di Anica, ecco i dubbi sollevati dalla difesa

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Il 26 maggio, cinque giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Anica Panfile, i carabinieri identificano cinque soggetti sospetti sul ponte di via Barcador a Spresiano. All’interno del veicolo ci sarebbero stati l’ex marito di Anica, Visile Lungu, il fratello di questo e sua moglie. Ma anche i due titolari dell’albergo Tre Santi di Treviso, dove la donna avrebbe vissuto nel periodo in cui faceva “la vita”. I cinque spiegano ai militari dell’Arma di aver letto un articolo sulla stampa locale che, lo stesso giorno, avrebbe riportato come quello fosse il luogo la 31enne di origine romena sarebbe stata gettata in acqua. Ma in realtà di quel ponte i media cominciano a occuparsi soltanto dal giorno dopo, quando cioè alle redazioni giunge la segnalazione che hanno fatto la loro comparsa dei fiori e due lumini in ricordo della vittima.

Non è questa l’unica “stranezza” emersa oggi 27 maggio nel corso della seconda udienza del processo a Franco Battaggia, l’imprenditore ittico – proprietario della pescheria “El Tiburon” di Spresiano – accusato dell’omicidio volontario della Panfile, che sarebbe avvenuto nel pomeriggio del 18 maggio del 2023. Anica sarebbe stata uccisa nella casa di Battaggia, ad Arcade, dopo che i due avevano avuto un rapporto sessuale durante il quale avrebbero consumato anche dell’eroina. La Procura di Treviso ritiene che Battaggia l’avrebbe uccisa, forse in un raptus dovuto agli stupefacenti, prima di prendere il pick up bianco (lo stesso che viene ripreso dalle telecamere la sera dell’omicidio aggirarsi in via Barcador) e dirigersi a Mogliano a casa del fratello. Quel giovedì pomeriggio la donna non risponde ai messaggi whatsapp che le manda il compagno. La chat con Luigino De Biase prima sarebbe state visualizzate, poi sarebbe state soltanto ricevute e infine i messaggi non sarebbero mai arrivati al destinatario. Secondo gli inquirenti il telefono di Anica sarebbe stato spento e la giovane, con buona probabilità, sarebbe già priva di vita. Ma alle 17,05, quando cioè Battaggia arriva a Mogliano, il cellulare di Anica mostra di essere attivo e connesso ad internet almeno fino alle 17,46. La donna sarebbe stata ancora in vita quando l’anziano imprenditore lascia la casa. Il motivo per cui i messaggi di De Biase non risultano essere pervenuti sarebbe semplice: Anica lo avrebbe temporaneamente bloccato sull’applicazione di messaggeria perché non avrebbe voluto essere disturbata.

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Sulla morte della 31enne, ripresa da una telecamera mentre raggiunge in auto la casa dell’imprenditore, neppure il processo sembra insomma al momento in grado di fare piena luce. Sullo sfondo c’è la teoria, portata avanti dalla difesa, che dietro all’omicidio potrebbe esserci una “banda” di albanesi, persone a cui Anica doveva dei soldi (avrebbe preso in prestito 5mila euro anche da Battaggia proprio il giorno della sua morte, ma di quel denaro non c’è traccia) e che per minacciarla erano andati persino a casa sua in via Ronchese a Treviso.

Franco Battaggia, il giorno dell’autopsia che fa emergere come Anica sia stata uccisa, fa delle ricerche al telefono che potrebbero essere considerate compromettenti. Su google cerca “come cancellare il cestino dell’iphone”, seguito da “embolia cerebrale, sintomi e pazienti tipici” e infine “quanto permane la cocaina nell’organismo”. Il 30 ottobre poi Battaggia, che è già indagato a piede libero, riceve una comunicazione dai carabinieri. Si tratta del dissequestro di alcuni mezzi ma il 78enne teme che i militari lo vogliano arrestare. “Vedi, sto passando di quei momenti… da sballo. Dopo te lo spiego… in mezz’ora avevo già organizzato la fuga: hai capito… ecco…Io se trovassi una casetta per nascondermi, per nascondermi…” dice ad un amico al telefono che però nel frattempo è intercettato. Sono frasi che costano care a Battaggia perché spingono il gip, che emetterà l’ordinanza di custodia cautelare in carcere il 16 gennaio, a motivare la decisione parlando anche del “pericolo di fuga”.

Ma la difesa, affidata all’avvocato Fabio Crea, estrae dalla manica altri assi. Il primo: l’uomo avrebbe gettato il cadavere di Anica, precedentemente uccisa, la sera tardi quando teoricamente non sarebbe stato visto da nessuno. Ma la zona di via Barcador, sulle sponde del Canale della Vittoria, è conosciuta per essere una piazza della prostituzione e alla sera il via vai di macchine avrebbe fatto sì che disfarsi del cadavere senza destare sospetti sarebbe stato piuttosto difficile, come dimostrano le stesse riprese delle telecamere che inquadrano la zona.

Inoltre Battaggia avrebbe avvolto il corpo della Panfile, come ipotizzato dalla Procura, all’interno di un tappeto e poi se ne sarebbe liberato da solo, dopo aver vagato quasi cinque ore per la provincia in cerca di un luogo dove poterlo nascondere. Ma per stessa ammissione di un carabiniere che ha partecipato al sequestro eseguito dentro alla casa di Arcade, quei tappeti erano pesanti di per sé, senza che al loro interno si trovasse una persona morta. Per portarli via sarebbero servite infatti due persone.



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