Le opa ostili di Mps e Unicredit stravolgono la finanza italiana. I tre motivi del tornado bancario

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Non era mai successo fino ad oggi che nel sistema finanziario italiano ci fossero in contemporanea due operazioni di finanza straordinaria della rilevanza quale quelle cui stiamo assistendo: Unicredit (seconda banca a livello nazionale) scala Banco BPM (terza banca) e Monte dei Paschi (quarta banca) scala Mediobanca. Il clamore è dovuto anche al fatto che ambedue sono operazioni ostili, fatto abbastanza raro in un sistema finanziario quale quello italiano abituato a dinamiche molto più tranquille.

Si tratta di due operazioni che, se portate a termine con successo, rivoluzionerebbero il sistema finanziario italiano con la creazione del secondo campione nazionale e del famoso terzo polo che dovrebbero affiancare Intesa Sanpaolo. Non c’è solo questo, come è stato messo in evidenza da più parti, è chiaro che la seconda operazione violerebbe l’identità di Mediobanca, il tempio sacro da sempre indipendente della finanza privata italiana, e stravolgerebbe gli assetti azionari di Assicurazioni Generali. Da sottolineare che, mentre Unicredit mira ad una OPA totalitaria per poi effettuare una fusione delle due entità, MPS potrebbe accontentarsi di un’OPA di minoranza.

Il rischio in questi casi è di assistere ad una partita di calcio con i contendenti che si sfidano per conquistare la preda o per respingere l’attacco. Gli argomenti fioccano da ambedue le parti. Nel primo caso ci si divide tra chi è in favore di banche condotte come aziende private e coloro che sono in favore di banche radicate sul territorio, piccolo sarebbe brutto o bello. Nel secondo caso ci si divide sul nervo scoperto dell’intervento dello Stato, che è azionista di MPS, e dell’italianità dei nostri intermediari. Tutti questi discorsi rischiano di far passare in secondo piano la questione fondamentale: perché assistiamo – non solo in Italia – ad una ventata di aggregazioni bancarie?

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Per capirlo dobbiamo andare ai fondamentali e ai modelli di business delle banche. Modelli che stanno cambiando rapidamente. Le ragioni sono diverse e vanno messe in ordine.

In primo luogo, c’è un problema di dimensione. L’integrazione dei mercati finanziari e l’espansione delle loro attività hanno portato ad un incremento significativo della dimensione degli intermediari. Oggi, la prima banca al mondo (JP Morgan) vale in borsa più delle prime dieci europee. La dimensione di per sé è un fattore importante in quanto per partecipare a certe operazioni finanziarie (prestiti sindacati ad esempio) e per operare su più mercati occorre avere le spalle larghe. Può non piacere ma le banche stanno assumendo sempre di più le sembianze di multinazionali di grande dimensione nonostante le regolamentazioni nazionali abbiano rappresentato da sempre un freno. Non a caso, a livello Europeo, si parla di Unione del mercato dei capitali (e bancaria) con l’obiettivo di far nascere un mercato e intermediari a livello continentale capaci di competere a livello mondiale.

In secondo luogo, la dimensione aiuta anche la redditività degli intermediari. La ragione è che l’innovazione tecnologica sta portando ad una riduzione della forza lavoro, le grandi banche americane stimano un taglio della forza lavoro del 5%. Questo porterà un vantaggio competitivo alle aziende che sono in grado di fare ingenti investimenti in tecnologica. Investimenti che solo le grandi banche sono in grado di fare. L’innovazione tecnologica ha aumentato le economie di scala del business bancario, un fattore che è stato il vero motore delle aggregazioni bancarie negli ultimi trenta anni.

C’è una terza ragione che sta dietro alle aggregazioni bancarie: la ricerca di ampliare l’offerta di servizi. L’attività di intermediazione creditizia tradizionale conosce oramai margini molto ridotti. L’innovazione tecnologica sta erodendo margini in attività che sono state da sempre una riserva di caccia delle banche, si pensi ai pagamenti. Sia Unicredit che MPS si trovano sguarniti su questo fronte a differenza di Intesa Sanpaolo che è dotata di fabbriche prodotto. Acquisendo Banco BPM, Unicredit vorrebbe ampliare il suo raggio di azione nel risparmio gestito e nel mondo assicurativo; MPS con Mediobanca vorrebbe farlo nell’investment banking e nel credito al consumo.

Aldilà delle ragioni delle singole operazioni, su cui giudicheranno gli azionisti chiamati ad aderire alle due OPA, c’è un convitato di pietra che è rappresentato dalla concorrenza nel mondo del credito e dalla tutela del risparmiatore. La corsa alle aggregazioni porterà ad una riduzione della concorrenza con una segmentazione del mercato: larga parte dei servizi di intermediazione sarà popolata da pochi grandi attori, ci saranno poi realtà di nicchia (banche locali ma non solo) che serviranno clientela meno sofisticata. Le grandi banche mangiano quelle intermedie per rafforzare la loro quota di mercato alla ricerca di un recupero di margini di redditività. Per capire il punto: le aggregazioni bancarie non porteranno condizioni creditizie più vantaggiose per le aziende, porteranno loro, forse, servizi più avanzati.

Non ci si deve scandalizzare, gli intermediari devono pensare al loro business e il recupero di redditività tramite un aumento della quota di mercato è una strada in qualche misura segnata. Opporsi a questo scenario invocando ‘‘piccolo è bello’’ non avrebbe alcun senso, i risparmiatori e le imprese possono e debbono essere tutelate tramite altri strumenti (regolazione in primo luogo). Il tema dell’italianità rimane sullo sfondo, non c’è dubbio che un sistema finanziario con il cuore e la mente in Italia sia un obiettivo che la politica italiana debba perseguire, così come lo fanno gli altri paesi. Il punto è che l’obiettivo va perseguito con strumenti e attori adeguati e comunque far trasparire che il governo, che è azionista di MPS, vede di buon occhio un’operazione di mercato non è una bella cosa.

 



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