di Claudio Bozza
La scelta di Fini: recise il legame con il post fascismo e fondò An. L’ideologo Fisichella: «Una pacificazione». Gasparri: «Ma con Gianfranco non parlo più»
«Il congresso è storico, perché noi chiediamo di voltare pagina rispetto a tutto il Novecento». E poi: «Lasciamo la casa del padre sapendo che non vi faremo più ritorno».
Gianfranco Fini, 30 anni fa a Fiuggi, era poco più che quarantenne e, con questi due passaggi chiave, il segretario si caricò sulle spalle il peso di una storica svolta politica: pensionare il Msi, fino a quel giorno relegato a essere il partito dei post fascisti.
In platea: «Gianfranco, Gianfranco!». Ma i tanti della vecchia generazione sono in lacrime e, alcuni, fanno il saluto romano. Pino Rauti usa parole di fuoco: «Giuda». Ormai è storia. E siccome la storia si legge con maggiore equilibrio a distanza, abbiamo chiesto un giudizio ad alcuni dei protagonisti dell’epoca.
In cima alla lista c’è il professor Domenico Fisichella, l’ideologo che piantò i semi di quella svolta addirittura tre anni prima, con due articoli su Il Tempo sulla necessità di costruire appunto una «Alleanza nazionale».
«Come mi sento oggi, a quasi 90 anni? Sono sereno. Ho fatto, per la mia parte, il mio dovere. Fiuggi ha sancito una pacificazione, innescando un processo graduale d’integrazione di più forze politiche. Prima è stato scongiurato il pericolo comunista e poi la destra è stata integrata nel sistema democratico italiano». E Fini? «Gianfranco non lo sento da molti anni e mi dispiace — aggiunge il 4 volte senatore ed ex ministro della Cultura —. Lui è ben più giovane di me: se vuole il mio telefono è a sua disposizione».
Al fianco di «Gianfranco» c’era anche il suo portavoce Francesco Storace: «Quella svolta ha consentito all’Italia di fidarsi di una destra di governo: c’era una destra sommersa che An riunì e riportò allo scoperto — racconta —. Il giorno dopo ricordo una forte lite con Francesco Merlo, che in un articolo sul Corriere fece il titolo vero: “Far morire il Msi per rinascere Alleanza nazionale”. Ci aveva scoperti, ma forse non eravamo pronti ad ammetterlo». Storace ruppe poi drammaticamente con Fini: «Il mio giudizio su Gianfranco? È stato il nostro leader per 30 anni — riflette —. Anche nei momenti di massimo scontro, e lo dice uno che ha fondato un partito contro di lui (La destra, ndr), non è mai mancato il confronto politico. Fini è stato sempre il capo». E poi: «Quando abbiamo rotto eravamo al massimo del potere: avevo solo da perderci, mentre tutti gli altri lo hanno abbandonato nel momento più inglorioso. Roberto Menia, qualche tempo fa, fu l’artefice della nostra riconciliazione. A tavola: fu commovente».
Non manca infine la voce più critica, quella di Maurizio Gasparri, oggi capogruppo al Senato di Forza Italia, che pure fu fedelissimo di Fini: «Un aggettivo per quel giorno? “Indispensabile”, come quella scelta. Il merito è in buona parte di Pinuccio Tatatella, che lavorò per anni per quella svolta, arrivata per l’appunto mentre il centrodestra stava cadendo». Un’immagine in testa? «Direi il posto non bellissimo. La svolta l’avevo già metabolizzata: niente lacrime».
Per Gasparri il «momento più importante fu quando illustrai l’emendamento di condanna imperitura della Shoah, accolto all’unanimità dall’assemblea». Con Fini, però, la ferita è irreparabile: «Non ho rapporti. I danni che Fini ha poi fatto alla destra sono indescrivibili. Sono anche stato invitato dalla Fondazione Tatarella per ricordare questi 30 anni. Ma siccome c’è Fini ho scelto di non andare per non rovinare la festa».
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