È stato a Roma, nel 1998, che è nata la Corte penale internazionale. Ventisette anni dopo l’Italia rischia una procedura d’infrazione per aver liberato un uomo accusato di crimini di guerra e contro l’umanità: Najeem Osema Elmasry Habish, detto Almasri, capo della polizia giudiziaria libica. Almasri, fermato a Torino e liberato tre giorni dopo, si trova adesso in Libia, dove è arrivato con un volo di stato italiano. Chanel Meloni, associata di Diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano, ha detto a Zeta che «la Corte sta ancora valutando, ma sappiamo che eventualmente potrebbe essere attivata una procedura d’infrazione davanti alla camera che deciderà se l’Italia ha violato gli obblighi di cooperazione dello Statuto di Roma e la questione potrebbe essere portata in sede di Assemblea degli stati parte che si riunirà tra diversi mesi e in quel caso potrebbero essere decise delle conseguenze».
L’episodio più recente che torna in mente è la procedura d’infrazione aperta nei confronti della Mongolia per non aver arrestato il presidente russo, Vladimir Putin, ma Meloni ci ricorda che «oltre le dichiarazioni di condanna, la Corte non ha ancora mai sanzionato effettivamente uno stato». L’Italia potrebbe dover affrontare problemi anche davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu. È stato quest’ultimo, infatti, ad attivare la giurisdizione della Corte in Libia nel 2011. «La situazione è grave perché dietro questo mandato d’arresto non c’era solo la Corte, ma anche la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – ha continuato Meloni – ma è difficile immaginare che contromisure possa prendere, anche perché il Consiglio di Sicurezza non si è mostrato molto attivo rispetto alla situazione libica».
Oltre a non aver «cooperato pienamente» con la Cpi, come previsto invece dall’articolo 86 dello Statuto di Roma, l’Italia ha violato nei fatti anche un’altra Convenzione internazionale, quella contro la tortura, reato di cui Almasri è accusato. Secondo quanto si legge nell’ordinanza della Corte d’Appello di Roma l’arresto effettuato dalla Digos di Torino non è stato convalidato per un errore di procedura, avrebbe dovuto essere «preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale».
Ma si può per un vizio di procedura lasciare libero un torturatore e rimandarlo nello stesso posto in cui ha commesso i crimini per cui è accusato? Chanel Meloni ha specificato che il ministro della Giustizia, Carlo «Nordio avrebbe potuto sanare la situazione con una semplice trasmissione degli atti alla Procura di Roma, dopo che era stato effettuato l’arresto d’urgenza a Torino e poi eseguire la consegna alla Corte penale internazionale».
Invece, nella stessa giornata in cui veniva reso noto l’arresto, grazie ad un articolo di Nello Scavo su “Avvenire”, il ministero della Giustizia pubblicava questa nota: «Considerato il complesso carteggio, il ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della Cpi al Procuratore generale di Roma». Mentre Nordio era impegnato a valutare, però, un Falcon 900 si trovava già a Torino per riportare a casa Almasri, fa notare su X Sergio Scandura, corrispondente per Radio Radicale. Su questo il Copasir sentirà Nordio mercoledì 29 gennaio, mentre il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi riferirà in Parlamento, dove già la scorsa settimana aveva dichiarato che Almasri è stato espulso perché «pericoloso».
Per Chanel Meloni le parole di Piantedosi sono «coerenti con il suo ruolo. Del mandato di cattura dovrà rispondere invece il ministro della Giustizia o tutt’al più la presidenza del Consiglio». Cosa che chiedono anche le opposizioni come ha detto a Zeta la senatrice del Partito Democratico, Anna Rossomando: «Noi insistiamo nella richiesta di chiarimenti di una vicenda che è sempre più inquietante. A questo punto chiediamo che venga la presidente del Consiglio a riferire. Tutta la vicenda è da chiarire, da ultimo il perché fosse già pronto un Falcon per portarlo a casa sua. Se la riposta è perché era un soggetto pericoloso non è per niente tranquillizzante».
Per indicare che la procedura d’arresto è stata «irrituale», la Corte d’appello ha fatto riferimento alla legge 237 del 2012, ma secondo alcuni giuristi l’impostazione della corte è stata sbagliata. Come scrivono sulla rivista “Sistema penale” Chanel Meloni e il Professore ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Bologna, Michele Caianiello, imporre «che la polizia possa attivarsi solo dopo l’irrinunciabile interlocuzione tra il ministro della Giustizia e il Procuratore generale va contro la ratio della legge stessa, che infatti al primo articolo prevede l’obbligo di cooperazione». Non solo, per i due giuristi, nella relazione di cooperazione con la Cpi Nordio è «privo di potere decisionale nel merito». Inoltre, per Meloni e Caianiello la legge 237 «non si occupa dell’arresto d’urgenza da parte della polizia», quindi la Corte avrebbe dovuto rifarsi all’articolo tre, perché quest’ultimo «colma l’eventuale vuoto, rinviando al codice di procedura penale per tutto ciò che in essa non è previsto» e basare la sua decisione «sull’articolo 716 del Codice di procedura penale» per cui si sarebbe potuto convalidare l’arresto di Almasri.
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