CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / NON E’ STATO UN FINALE DA LEONI… » Stadio Ennio Tardini Parma

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(Gianni Barone) – Incredibile, ma il Parma, in un finale che non è certo stato certo da “leoni” (e neanche per “Leoni”, ormai fuori da tempo immemore, dopo che era stato da tutti consacrato come “buono” e sdoganato dallo stesso Pecchia che all’inizio lo aveva ignorato per motivi che che sono sfuggiti e sfuggono tuttora a noi realisti-romantici, talvolta anarchici nei pensieri più insondabili), la squadra specialista a vincere oltre il 90° (al punto che nella stagione di B aveva disarcionato, Cesarini, per la definizione di quella zona gol) è stata presa da attacchi di sonnambulismo difensivo, francamente fuori da ogni logica, oltre che da ogni aspettativa.

Il fantasma di Napoli è riaffiorato: ma allora, purtroppo, nel finale, Suzuki non c’era e Delprato era in porta, mentre oggi, purtroppo, Suzuki c’era non solo nel finale, ma quando avrebbe dovuto non esserci, o per lo meno non fare ciò che un portiere non deve mai fare in area, ossia spingere con le mani l’avversario; c’era, e Delprato, anche lui, purtroppo, dopo aver segnato il gol dell’ipotetica vittoria, non c’era più e aveva lasciato il posto ad Hainaut, che non avrebbe dovuto esserci in quel posto (passeggiante), per tenere in gioco l’autore del gol vittoria, che ringrazia passanti di professione e sonnambuli della grinta e della cattiveria che nei minuti finali non occorre lasciare al mondo dei sogni, ma esibire nella nuda e cruda realtà di una partita che non si doveva, per nessun motivo al mondo perdere.

E soprattutto farlo in quel modo, dopo aver domato per un tempo, un diavolo non irresistibile, che dopo aver fatto a meno degli irritanti (per la causa rossonera di sicuro) Leao e Theo, e dopo aver usufruito del regalo del rigore (e questa volta gli arbitri non c’entrano e non hanno colpa alcuna), era riuscito, nella mirabile impresa di farsi trafiggere per la seconda volta, e di preparare il campo per il suo insuccesso, salvo fare i conti in positivo ed usufruire dell’insostenibile leggerezza (Kundera e Tegoni mi perdoneranno per l’esproprio intellettuale ordito ai loro danni) dei Crociati dell’essere deboli, fragili, inconsistenti, proprio quando serviva pesantezza ed ignoranza (nel senso più autentico e buono del termine) in dosi massicce.

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E finiamola con quella “fola” della squadra più giovane del campionato: per carità chissenefrega.

Il Parma bifronte, nel senso che con Djuric in campo (ignorato per settanta minuti da tutti i compagni e da tutte le strategie di gioco) aveva la possibilità di avere più soluzioni, quella aerea completamente ignorata per motivi che mi pare inutile spiegare (lo faremo domani), mentre con la palla a terra, in ripartenza e in velocità, l’aveva quasi scampata e sfangata, ma si è fatto prendere dalla foga e dall’ansia e, complici anche i cambi che avevano sottratto muscoli e forza alla squadra, con la leggerezza di giunchi come Haj, Almqvist e Camara (anche se gli ultimi due in azione del gol e del quasi gol dello svedese avevano messo lo zampino, tanto per rimanere in tema di diminutivi e sottrazioni) ha consegnato al Diavolo pentole, coperchi e posate e quant’altro si potesse disporre della propria “argenteria”, nel frangente di un finale sicuramente non da “ leoni”, in ogni senso s’intende.

Eppure, all’inizio, le cose non sembravano dover presagire un epilogo così infausto con la squadra, disegnata con coraggio per non subire e non adattarsi, come suggerito dagli inguaribili offensivisti in salsa parmigiana che criticano la “conservazione” e l’attenzione difensiva, ma che presentava qualche incongruenza, del tipo: perché schierare ali a piede invertito, pur in presenza del colosso di Rodi bosniaco (Djuric), che andrebbe servito con cross dal fondo (ma chi ci arriva al fondo, col piede sbagliato, per il traversone?) e soprattutto: perché schierare nel ruolo di seconda punta, Man, cosa che in altri momenti con un partner come Bonny, poteva anche apparire azzeccata, proprio quando in campo c’era un centravanti vero, e non finto, (sempre Djuric) che di solito fa reparto da solo e non è avvezzo al gioco palla a terra e a dialogare nello stretto (e infatti prima e seconda punta si sono ignorati), ma andava servito con palloni lunghi e alti che stranamente col Milan si sono visti col contagocce.

Suzuki o ha calciato lungo ed esterno oppure non lo ha fatto, attardandosi, rischiando, in quella deprecabile arte della “costruzione dal basso” che andrebbe bandita dalla faccia della terra per decreto. Al quale Suzuki – e qui apriamo una dolorosa parentesi – se qualcuno avrà detto che è un portiere, gli avrà anche insegnato cosa si deve fare per esserlo, ma di sicuro si sarà dimenticato di ricordagli cosa non si deve fare, cioè spingere in maniera plateale, sotto gli occhi di mille telecamere, un armadio come Pavlovic, che pur avendo quattro ante, quando si sente anche sfiorare, non può far altro che precipitare ed indurre il direttore di gara a non essere indulgente. Le gatte  o papere le hanno fatte tutti – anche Zoff e Buffon – ma spingere non si fa, ma dai! Persino l’indulgente Beppe Dossena, commentatore tecnico di Radio Rai, è rimasto incredulo dinnanzi a tale ingenuità!

Per il resto, tutto bene, no? Il Parma ha giocato, è andato in vantaggio, ci ha creduto quel tanto che credeva fosse sufficiente, ma poi, quando già pregustava gli elogi per la prestazione e causalmente (non casualmente) per il risultato, ecco che l’imponderabile ( mica tanto) interviene e l’incompiuta impresa coglie tutti di sor-“presa”. Nel senso che la vittoria, anche se non con tanto merito, se la sono presa gli altri, che ringraziano. Non c’è che dire… Alla prossima. Gianni Barone



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