Avvocati a Torino, praticanti in calo: in dieci anni sono dimezzati. «La toga non va più di moda»

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di
Simona Lorenzetti

Preoccupano le statistiche che riguardano le nuove generazioni: nel 2015 gli iscritti all’elenco degli aspiranti legali erano 1.540, oggi se ne contano 637

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La toga perde appeal in tutta Italia. E Torino non fa eccezione: il numero di nuovi avvocati negli ultimi anni è in caduta libera, tanto che — se la tendenza proseguirà — potrebbe porsi anche la questione della sostenibilità della Cassa Forense. Se da un lato ogni anno si registrano numerose cancellazioni, dall’altro — ed è questo il nodo — sono i giovani a snobbare la professione preferendo altre occupazioni che offrono maggiori stabilità e garanzie. A tracciare la parabola discendente è la presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino Simona Grabbi, che ha reso note le statistiche in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. «Torino perde almeno 100 praticanti all’anno ormai da 6 anni e a dicembre 2024 hanno sostenuto la prova soltanto 384 candidati in tutto il distretto — spiega la presidente —. È un dato che ci preoccupa profondamente e non solo per la tenuta finanziaria della macchina organizzativa del Consiglio, composta da diversi dipendenti».

La curva calante è disegnata da numeri che sono incontrovertibili: nel 2020 gli iscritti all’Ordine subalpino erano 6.227, quattro anni più tardi — nel 2024 — sono 6.097, di cui 3.199 donne e 2.898. La forbice è ancora più evidente se si osservano le statistiche che riguardano le nuove generazioni, cioè i praticanti: nel 2020 gli iscritti all’elenco erano 1.052 , nel 2024 sono 637. Se si analizzano gli ultimi dieci anni, la fotografia appare decisamente più nitida: si è passati dai 1.540 del 2015 agli attuali 637: in pratica, il 58 per cento in meno. I dati, poi, confermano come siano sempre di meno i Perry Mason e aumentino le Lidia Poët: tra i praticanti le donne sono il doppio degli uomini, 416 contro 221.




















































Una situazione, quella del calo degli iscritti, che crea apprensione. E Grabbi non lo nasconde: «Ci preoccupa l’aspetto pensionistico di chi ha decenni di avvocatura alle spalle. Ma ci preoccupa, soprattutto, pensare a chi tutelerà i diritti dei cittadini tra vent’anni e perché si stia perdendo la passione per difendere i diritti». Le ragioni di questa fuga dalla toga sono molteplici. Stando all’ultimo rapporto sull’avvocatura stilato dalla Cassa Forense (in collaborazione con il Censis), tra gli aspetti negativi c’è l’inadeguatezza dei compensi. Il conto è presto fatto: il reddito medio annuo per un avvocato — secondo lo studio — è di 44.654 euro. Una cifra che viene raggiunta, in media, dopo i 45 anni di età: in sostanza, ci vogliono almeno vent’anni di gavetta prima di essere indipendenti. Ma altri sono i fattori che incidono: «Forse — sottolinea Grabbi — perché fare l’avvocato è sempre più difficile, dovendo sopportare il peso crescente delle responsabilità, dei costi e del ridimensionamento del lavoro. Forse perché è sempre più arduo spiegare a un assistito il perché passino degli anni per avere una risposta di giustizia. E forse perché a volte veniamo identificati con il reato per cui difendiamo l’assistito e veniamo minacciati e insultati, come accaduto recentemente a una coraggiosa collega di Verbania». 

I tempi lunghi della giustizia rischiano di bloccare il rinnovo generazionale. L’eccessiva durata dei processi fa sì che gli avvocati fatichino a riscuotere i propri crediti dai clienti e analogo discorso può essere fatto per quei legali che devono essere pagati dalla pubblica amministrazione o per gratuito patrocinio: i tempi di liquidazione, in entrambi i casi, sono spesso superiori ai canonici 120 giorni. «Si avverte nel Foro — conclude la presidente — un diffuso malcontento, un assopimento della spinta ideale che può preludere, se non si inverte la rotta, ad un pericoloso disincanto generalizzato».

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27 gennaio 2025 ( modifica il 27 gennaio 2025 | 05:35)

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