Pubblichiamo un estratto dal saggio introduttivo dello storico Agostino Giovagnoli per il libro, da lui curato, Anarchico a Dio solo soggetto, Carteggio tra Giorgio La Pira e Amintore Fanfani (1949-1977), edito da Polistampa (due volumi, pagine 902, euro 48,00). Sono più di 900 le lettere tra La Pira e Fanfani conservate presso la Fondazione La Pira. Ne vengono pubblicate 394, oltre a 48 appunti di La Pira a esse collegati. Il volume include, inoltre, strumenti di approfondimento: un QR-code, che consente l’accesso ai documenti in formato digitale, un indice generale comprensivo dei riferimenti archivistici, delle brevi sintesi dei contenuti di ogni lettera. Il carteggio offre uno spaccato senza filtri su molte importanti questioni di politica fiorentina, italiana e internazionale. Per La Pira «il problema storico e politico fondamentale per un cristiano è prendere coscienza del “tempo storico” in cui si trova», leggendo i «segni dei tempi». La Guerra fredda, la decolonizzazione, le vicende di Medio Oriente, Africa, Vietnam, America Latina, il processo di integrazione europea, i diversi pontificati e il Vaticano II vengono letti da La Pira nella chiave di un unico, nuovo e «accelerato» moto storico globale. Egli vede così delinearsi una trama di pace mondiale e identifica in Fanfani il solo che può connettere distensione e disarmo con la nuova fase post-conciliare della Chiesa.
Le lettere tra Giorgio La Pira e Amintore Fanfani qui pubblicate – grazie alla paziente opera di trascrizione e di annotazione di Federico Perini – rappresentano un ricco materiale documentario, di grande utilità per conoscere la storia d’Italia e quella della Chiesa, le vicende di Firenze e quelle della politica italiana. In questa Introduzione l’attenzione è rivolta soprattutto al loro rapporto, peraltro sempre strettamente legata alle grandi vicende collettive, comprese molte in cui non sono stati direttamente coinvolti. Fu un rapporto non comune, come altri intrattenuti da La Pira, che attribuiva grande importanza a tutte le sue relazioni e che aveva un senso molto forte dell’amicizia.
Le notevoli personalità del professore siciliano e del politico aretino, l’importanza degli incarichi da loro ricoperti, l’originalità delle loro visioni, l’audacia delle loro scelte rendono di grande interesse un legame che ha conosciuto fasi diverse, passaggi critici, momenti di particolare intensità. Per La Pira era più che un’amicizia: la definiva un’«alleanza». Il rapporto tra La Pira e Fanfani ha avuto inizio molto prima che iniziasse il carteggio qui pubblicato e che comincia con una lettera, non spedita, del 4 novembre 1949. Una frequentazione iniziata molti anni prima si era poi fortemente intensificata negli anni dell’Assemblea costituente, quando entrambi abitavano a Roma nella casa delle sorelle Portoghesi formando con altri la “Comunità del porcellino”. Nel 1949 si trovano insieme al ministero del Lavoro, Fanfani come ministro e La Pira come sottosegretario. Di lì a poco segue la traumatica rottura con Dossetti quando questi, nell’estate 1951, decide di ritirarsi dalla politica (in questo epistolario non ci sono tracce dirette di quel momento, che però viene richiamato diverse volte in seguito e non man- cano giudizi sui comportamenti successivi di Dossetti).
Entrambi scelgono di non seguire Dossetti ed è un passaggio che salda ancora di più il loro rapporto. Il 6 luglio 1951 La Pira diventa sindaco di Firenze, una scelta che Fanfani non condivide come gli ricorda più volte. Ed è a partire da questa elezione che si sviluppa una fase nuova del loro rapporto, in cui il legame personale si intreccia con la dimensione istituzionale: il sindaco di Firenze, infatti, si rivolge a Fanfani, di volta in volta ministro dell’Agricoltura e Foreste, ministro dell’Interno, segretario della Democrazia cristiana, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e altro, per parlargli non solo dei problemi, ma anche del significato della città nella sua visione storico-spirituale.
Fin dall’inizio di questo carteggio, i temi internazionali entrano in questo rapporto. La Pira invita Fanfani al convegno per la Pace e la Civiltà cristiana del 1953 e l’allora ministro dell’Agricoltura e Foreste partecipa alla chiusura del convegno. Ma nelle molte lettere del 1953, è soprattutto la vicenda della Pignone ad occupare un ruolo centrale, snodandosi in modo incalzante, serrato, a tratti drammatico I testi mostrano la grande familiarità che unisce i due interlocutori, richiamata da esperienze condivise – come l’impegno di entrambi al ministero del Lavoro – e da scelte comuni – come quella di restare in politica nel 1951. Non mancano toni scherzosi, specie da parte di Fanfani, mentre in La Pira prevalgono angoscia per quanto sta accadendo e volontà di trovare una soluzione. Malgrado il forte legame che li unisce, tra i due emergono opinioni diverse, giudizi divergenti, tensioni. A volte sembra trattarsi di semplici attriti, legati alle difficoltà della situazione. Il 22 ottobre 1953 Fanfani assicura il «più fraterno interessamento in questo momento difficile per te e per i tuoi amministrati» ma aggiunge: «credo che tu debba essere un po’ più sereno nelle valutazioni, anche per non dare l’impressione di avventatezza […] il che non è».
Questi rimproveri, seppure formulati in modo amichevole, feriscono La Pira. In una risposta che poi non spedisce, si dice «intimamente dispiaciuto» per la presenza in Fanfani di una «psicologia di sospetto» nei suoi confronti. Rivendica di avere «quel senso di concreto che tiene conto di tutto e, infine, me lo permetterai, anche di Dio!». Per il sindaco, infatti, essere legato al «concreto» è molto importante: il termine «concreto» corrisponde in buona parte a quel che altrove indica con la parola “storia”. Come si è visto, in questo «concreto» rientra anche Dio. La Pira non vuole essere uomo di principi astratti o di profezie disincarnate e il sospetto che non tenga conto della realtà tocca anche la dimensione religiosa dei suoi comportamenti.
Intanto, la situazione si aggrava, i licenziamenti degli operai della Pignone vengono annunciati ufficialmente e in una seconda lettera, anch’essa non spedita, La Pira scrive perentoriamente a Fanfani: «Se io fossi al tuo posto farei 1) arresterei Marinotti 2) fermerei tutti i licenziamenti tutta l’Italia 3) porrei al governo ed alla Camera l’intero problema del “lavoro” italiano». Queste due lettere non spedite sono particolarmente eloquenti e spiegano il gesto clamoroso da lui compiuto, indirettamente polemico anche nei confronti del suo interlocutore, all’epoca ministro dell’Interno: annunciare le dimissioni da sindaco. La risposta di Fanfani è affettuosa ma critica. «Tra le croci di questi giorni c’è anche quella – veramente santa e bene accetta – del Sindaco La Pira. Tu ti sei sbizzarrito in telegrammi e in esortazioni e fare cose gravi e a minacciare dimissioni, evidentemente non avendo molta fiducia nella persistente azione del tuo povero amico, crocifisso tra i pesci del Viminale». E lo informa di aver compiuto un gesto clamoroso: ho «dato disposizioni che a quel tale Presidente [Marinotti] venisse tolto immediatamente il passaporto, il che è avvenuto sta- sera a Milano alle ore 17». Naturalmente, La Pira apprezza moltissimo la decisione di Fanfani: «Eccellenza, non solo Firenze, ma l’Italia intiera vi è grata per il vostro gesto deciso e salutare: ecco, hanno detto tutti, un atto di fermezza costruttiva». Ma rilancia subito: «Questo “episodio” della Pignone non è un “episodio” è una rottura nazionale che può cambiare, finalmente, il volto dell’Italia e dell’Europa!». Occorre combattere decisamente quella che viene presentata come «natura delle cose», mentre invece è una «volontà guasta». A combattere tale battaglia deve essere anzitutto proprio Fanfani. «Lei, Eccellenza, ha meriti grandi e grandi responsabilità davanti a Dio, davanti all’Italia e davanti al mondo intero. Coraggio […] decida senza incertezze per ciò che è giusto, per ciò che dà pace agli umili, conforto ai lavoratori ed ai poveri». Non è un semplice auspicio: La Pira indica a Fanfani la vocazione cui questi è chiamato. Lo avrebbe poi fatto in seguito molte altre volte, nei confronti del politico aretino e di altri esponenti della classe dirigente cattolica, nelle cui mani era allora la guida dell’Italia.
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