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Nonostante i 63 anni, Gegè Telesforo ha sempre la faccia da ragazzino imberbe che la vita se la gode come si deve. Adesso che è tornato di nuovo in tv, come al solito con l’amico di sempre Renzo Arbore – i due, entrambi foggiani, dal 9 gennaio ogni giovedì sono in onda su Rai2 con Come ridevamo, programma antologico sui grandi protagonisti della comicità italiana – siamo andati a vedere come se la passa a Sutri, in provincia di Viterbo, a 50 chilometri da Roma.
Da quanto tempo vive qui?
«Da vent’anni. Quando nacque mia figlia Joanna io e sua mamma ci trasferimmo qui per stare più tranquilli. Comprai una villa, ma poi – quasi dieci anni fa – la nostra storia è finita e da quando mia figlia si è trasferita a Roma per studiare Storia dell’arte, per me è diventata enorme, faticosa e dispendiosa. Così ora vivo in affitto in un appartamentino del centro storico. In attesa di capire che cosa fare della mia vita».
Addirittura? A che punto è?
«Sono sempre alla ricerca della serenità, come tutti, e di quella leggerezza che un po’ si perde con il tempo. Pensavo che invecchiando le cose si sarebbero semplificate e invece le rogne aumentano, a partire dai genitori che se ne vanno. Qualche mese fa ho perso papà dopo tre anni di demenza senile che lo ha devastato nella testa e nel fisico. È stato terribile, ne aveva quasi novanta. Per fortuna che ho la musica, la miglior cura possibile. L’amore per il jazz me l’ha trasmesso proprio lui».
A Foggia lei ha frequentato il Conservatorio, giusto?
«Sì, ma non completai gli studi perché poi mi trasferii a Roma per iscrivermi a Economia e commercio, facoltà che poi abbandonai dopo aver fatto la naja come carabiniere. Per un anno non avevo fatto esami perché tutte le sere suonavo nei locali con fuoriclasse come Danilo Rea, Roberto Gatto, Maurizio Giammarco e Rita Marcotulli. E così alla fine di quell’anno in divisa decisi di dedicarmi soltanto alla musica. Ero un ragazzo un po’ incosciente…».
È vero che pensò anche di fare la carriera militare?
«Feci il servizio nel Nucleo operativo e radiomobile del Gargano, fra Manfredonia e San Giovanni Rotondo, e mi trovai molto bene».
Dal 1987 al 1989 condusse con Arbore e Monica Nannini “Doc”, il programma musicale considerato il migliore mai realizzato in tv: perché non si fece più?
«Era perfetto, da noi venivano a suonare i più grandi, da Miles Davis a Pat Metheny. Fra gli autori c’erano anche Ernesto De Pascale ed Ernesto Assante, bravissimi. I problemi nacquero perché Indietro tutta doveva durare un anno, ma Renzo con Nino Frassica e gli altri autori decise di chiuderlo in anticipo, tant’è vero che mi ritrovai con Monica Nannini a riempire il palinsesto con la versione serale di Doc. Che non era più quello del pomeriggio, non era Quelli della notte e nemmeno Indietro tutta. Così lo chiusero, visti i costi e i risultati. Andai avanti per un po’ con la tv, anche a Sanremo, poi mi chiamò un gigante come il pianista Ben Sidran: “In America sto aprendo una nuova etichetta: perché non ti unisci a noi?”. Andai».
Con quali esiti?
«Esperienza fantastica. Mi ritrovai nel 1992 a suonare con maestri come Dizzie Gillespie, Clark Terry, Clyde Stubblefield, il mitico batterista di James Brown… A Minneapolis frequentavo il mitico studio Paisley Park di Prince, che ho anche conosciuto. Era il periodo in cui aveva cambiato nome, mi dissero di fare attenzione a non chiamarlo Prince, ma The Artist. Gentilissimo, la prima volta che ci presentarono mi guardò negli occhi per poi dirmi a bruciapelo: “Tu balli, vero?”».
Gli disse di sì, ovviamente.
«Più o meno: “Non sono proprio un fenomeno, però mi butto”. E lui: “Se volete, stasera andate al Club, siete miei ospiti”. Io e gli altri musicisti entrammo da dietro, come delle superstar. Quando entrammo nel privè ci ritrovammo nel regno del downbeat con musica fantastica e fighe spaziali da tutte le parti».
Fra le tante cose fatte quella venuta meglio qual è?
«Rispondo come tanti, ma è la verità: mia figlia Joana, detta Jojo. È Bella, intelligente e ha senso dell’umorismo. Sua mamma è brasiliana».
E con lei è finita benino o in maniera diciamo complicata?
«Le separazioni sono sempre dolorose. L’abbiamo gestita».
Suo padre, un architetto, suonava il sax ed era amico di Arbore. Lei in tv, e non solo, è al fianco di Renzo da sempre: non si è mai stufato?
«Renzo ha una mente geniale. È inossidabile e ha una forza incredibile. Lui durante la pandemia è stato molto male, ma oggi è rinato. Ha ancora voglia di mettersi in gioco, smanetta online alla ricerca di novità e ha sempre grandi idee. È un pezzo unico. La Rai dovrebbe considerarlo e ascoltarlo molto di più. Lui non l’ha mai tradita».
Stare con lui in qualche modo le è costato?
«In Italia per un periodo tanti del mondo del jazz, che hanno la puzza sotto il naso, tendevano a sminuirmi come musicista. Pensavano fossi un personaggio televisivo e basta, e non mi prendevano sul serio. Un po’ ne ho sofferto».
In generale il “no” più importante che ha detto qual è stato?
«Nel 1994, quando stavo in America, mi chiamò Ugo Porcelli, storico autore di Renzo, per dirmi che mi volevano per un programma in prima serata su Rai1. Io dissi, no grazie. “Non c’è musica e qui la sto facendo ai massimi livelli”. “Te ne pentirai”, mi rispose. Il programma era I cervelloni, che poi fece Paolo Bonolis».
Pentito?
«No. Neanche quando dissi di no quando durante la seconda stagione di Doc alcuni dirigenti della Pioneer, che stavano lanciando un nuovo prodotto giapponese, mi chiesero di fare un programma per promuoverlo in giro per le piazze italiane. Era il Karaoke, che poi condusse Fiorello in maniera straordinaria».
C’è stato un momento in cui ha pensato di mollare e fare altro?
«Nei primi Anni 90, alla fine del periodo in tv e prima di andare negli Usa. Le cose si potevano mettere davvero male. Per la stagione estiva mi chiamarono a fare la direzione artistica di un resort a Baia Sardinia. Organizzai eventi eccezionali con Giorgia, che aveva solo 17 anni, Sergio Cammariere, Aldo, Giovanni e Giacomo, Mike Francis… Vicino a noi c’era Umberto Smaila con la sua band sgangherata che faceva il pienone e incassava quello che voleva. Io dopo tre mesi con quei talenti guadagnai praticamente niente. Non sapevo più che cosa fare. Per fortuna, mi chiamò Renzo per mettere in piedi il progetto Orchestra Italiana».
Fin qui ha raccolto quanto meritava?
«Io so che ho lavorato tanto, con serietà ed entusiasmo. Forse avrei potuto ottenere di più, ma sono un uomo libero e faccio quello che voglio. Sono una testa di cazzo, lo so».
Gira questa voce?
«Sì, perché scelgo sempre da solo. E questo non sempre piace a tutti».
Mai pensato di fare musica pop, o andare a Sanremo?
«No. Io vengo dal blues, dal jazz, dal bebop. Quella è la musica che mi gira nella testa».
L’errore che le brucia di più?
«Dopo tanti anni con l’Orchestra Italiana di Renzo, dopo la nascita di mia figlia fui costretto un giorno, dopo un concerto, a dirgli che me ne andavo. Lui ci rimase malissimo, non se lo aspettava, ma io non stavo bene né fisicamente né mentalmente. Non potevo più stare fuori casa 250 giorni l’anno».
Litigaste?
«No, ma per un po’ se la legò al dito. Lui mi aveva dato tantissimo e io l’avevo abbandonato all’improvviso, lasciandolo solo. Questa è una delle cose che più mi dispiace aver fatto, ma fui costretto ad agire così perché dovevo assolutamente riprendermi e ritrovare il centro della mia vita».
Quanto ci avete messo per recuperare i rapporti?
«Io sparii per un bel po’. Non stavo bene, poi le cose sono andate meglio e abbiamo recuperato. Adesso più di prima. Ora ci sentiamo tutti i giorni e ci confrontiamo su tanti argomenti. E continuiamo a ridere e a progettare. Renzo vuole fare da tempo Tele Puglia International con Albano, Checco Zalone, Michele Mirabella, Lino Banfi, Emilio Solfrizzi, Giuliano dei Negramaro, Serena Brancaleone e tanti altri».
È vero che la sua attuale compagna vive in Camerun?
«Sì, a Yaoundè. Lavora per l’ Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu. Prima stava ad Amman, in Giordania. Io vado a trovarla spesso. E anche lì trovo musicisti straordinari con cui suonare».
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