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Sono passati 12 mesi da quando il governo italiano ha annunciato di aver finalmente preso di petto la sfida dell’adattamento a un clima che è già cambiato. Il bilancio di quanto fatto è purtroppo pari a zero

Un anno di immagini scolpite nella memoria, dalle catastrofi degli incendi di Los Angeles alle alluvioni di Valencia e in Cina, e di nuovo in Emilia-Romagna, in un pianeta su cui per la prima volta per 12 mesi consecutivi si è superata di 1,5 gradi la media della temperatura rispetto all’epoca preindustriale. Un anno esatto da quando il governo italiano aveva annunciato di aver finalmente preso di petto la sfida dell’adattamento a un clima che è già cambiato, con l’approvazione del primo Piano nazionale e la promessa di segnare un cambio di passo.

Dodici mesi dopo il bilancio di quanto fatto è purtroppo pari a zero. Neanche un euro è stato stanziato nella Legge di Bilancio 2025 per affrontare e ridurre i rischi di esondazioni fluviali e allagamenti, gli effetti del caldo in quartieri che risultano invivibili durante le sempre più frequenti ondate di calore estive. Ma forse più grave è che neanche le promesse a costo zero abbiano visto passi avanti.

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Non è stato infatti neanche nominato l’Osservatorio che nelle intenzioni del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin doveva portare «all’individuazione delle priorità territoriali e settoriali, delle specifiche fonti di finanziamento per l’attuazione delle azioni individuate dal Pnacc». D’altronde, se si guarda all’organigramma di dipartimenti e direzioni sul portale del ministero la parola adattamento climatico non è presente. Come se non fosse la più grande sfida ambientale, sociale, economica che il mondo e il nostro paese hanno di fronte.

Il caso di Catania

Cosa vuol dire concretamente non avere al governo qualcuno che si occupi di questi temi? Prendiamo un grande comune con un Sindaco dello stesso partito della premier Giorgia Meloni, come Catania. Una città martoriata da periodiche alluvioni che ogni anno si ripetono sempre negli stessi luoghi trasformando il centro in un luogo pericolosissimo, con auto alla deriva. Sul web sono impressionanti le foto di palazzi, strade e piazze resi irriconoscibili da fiumi d’acqua. Possibile che non si possa fare nulla?

In Spagna, Francia o Germania i comuni lavorano con il governo su questi temi, ne ricevono il supporto tecnico per capire cosa fare. Perché si tratta di sfide nuove, occorre ripensare spazi pubblici e infrastrutture, gestire enormi quantità d’acqua che scendono in tempi limitati. E poi sanno di poter contare su un sostegno economico, per poter programmare, progettare, realizzare un intervento su una piazza, un quartiere, un fiume. A Catania si può solo aspettare il 5 febbraio, con la festa di Santa Agata per rivolgere una preghiera alla patrona della città. Non per risolvere in modo strutturale i problemi ma perché almeno quest’anno sia risparmiata dall’ennesima pioggia che metterà in ginocchio la città e perché non ci siano vittime.

Lo scenario della siccità 

Un secondo esempio di cui tanto si è discusso quest’estate riguarda l’acqua. Perché la gestione diventa sempre più complicata in ogni parte del paese con tante regioni del sud senza una via d’uscita da una crisi che dura anni, mentre i tecnici preannunciano un difficile 2025 per le regioni del nord dopo le scarse nevicate di questi mesi. Se a questi problemi si guardasse attraverso la chiave dell’adattamento si affronterebbe la siccità non come un’emergenza straordinaria ma dentro lo scenario che ci aspetta nei prossimi anni.

L’errore che si continua a ripetere sta nell’inseguire le solite ricette, nel ripescare investimenti abbandonati da anni, dighe e desalinizzatori dai costi spaventosi. Figuriamoci, tutto serve ma a parte un necessario drastico cambio nella gestione dei progetti, bisogna guardare alle priorità e quindi a come ridurre drasticamente i consumi della preziosa acqua potabile di sorgente e dai pozzi.

Come negli altri paesi del Mediterraneo dove si punta sul riuso dell’enorme quantità di acqua che esce dai depuratori e che, proprio perché depurata, può essere usate per l’agricoltura, l’industria, il lavaggio strade, innaffiare i parchi. È incredibile, ma in Italia nessuno sembra interessato a risolvere l’enorme incertezza giuridica su quando e come possa essere utilizzata e sul come pagare le tubature per portarla a chi potrebbe usarla al posto della preziosa acqua potabile.

Nulla di rivoluzionario, semplice buon senso. In Israele si arriva a utilizzare il 90 per cento dell’acqua depurata per l’agricoltura. A Marrakech i 12 golf club intorno alla città sono verdi tutto l’anno grazie all’acqua che arriva dal depuratore (che hanno contribuito a finanziare). Ma non risolvere un problema così banale crea benefici. Per qualcuno. Come chi la fa pagare a caro prezzo, la porta in giro con le autobotti, o chi gestisce appalti milionari per le solite opere di cui si parla da decenni. Come in Sicilia, una terra che va aiutata ad uscire da un’apparente, ineluttabile destino di desertificazione.

Ideologico?

«No all’ambientalismo ideologico». Era sembrata convinta e convincente Meloni nel suo primo intervento alla Camera da capo del governo, presentando una visione concreta, pragmatica di una leader che vuole occuparsi davvero dei problemi delle persone e dell’ambiente. Due anni dopo si fatica a ricordare un solo intervento significativo.

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Eppure in quel Piano approvato ci stavano delle idee giuste, come quella di occuparsi degli effetti del caldo nei quartieri più poveri delle città italiane, dove vivono le persone più fragili, anziane, sole.

Perché tutti i dati dimostrano che proprio lì numeri di ricoveri e decessi sono in forte crescita. Perché gli effetti del caldo non si distribuiscono democraticamente, dipendono da come sono stati costruiti edifici e spazi pubblici, dal reddito. Perché chi è ricco vive in quartieri con migliori dotazioni di verde e in case con aria condizionata.

Per questo negli altri paesi i ministeri dell’Ambiente e della Salute lavorano assieme per rafforzare le indagini epidemiologiche, analizzare i dati sui ricoveri, capire dove queste situazioni si ripetono. E proprio lì rafforzare la prevenzione, l’aiuto alle famiglie e realizzare interventi per portare verde, acqua, ombre e materiali diversi. Troppo ideologico per la destra sociale italiana?

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