«Emergenza nazionale», «invasione» per descrivere lo stato dell’immigrazione negli Stati Uniti. E poi «i voli delle espulsioni sono iniziati. Promessa mantenuta», sotto la foto di uomini in catene che si avviavano negli aerei militari che li avrebbero riportati nei loro Paesi. Donald Trump affianca l’arma letale della comunicazione a quella militare per galvanizzare la sua base. Le immagini che abbiamo visto nei giorni scorsi, diventeranno la quotidianità, ha assicurato Tom Homan durante una intervista a Abc News. Lo zar dei confini ha infatti spiegato che i voli militari saranno usati a cadenza giornaliera per rimpatriare i migranti. Non era mai successo. Ma è quello che serve per mettere in atto «la più grande espulsione della storia americana». I voli sono però solo uno strumento di un piano molto più complesso. Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, il Pentagono ha messo in allerta più di 5.000 soldati appartenenti a unità di combattimento di alto profilo. La fanteria armata della 10ª Divisione da Montagna e le truppe della 82ª Divisione Aviotrasportata potrebbero esser inviate al confine già nei prossimi giorni. A dare l’annuncio del dispiegamento degli uomini, che andrebbero ad aggiungersi ai 1.500 soldati già presenti, sarà il neo eletto segretario della difesa Pete Hegseth.
IL DOSSIER
Secondo un documento citato sempre dal Wsj, l’obiettivo potrebbe essere quello di raggiungere il numero di 10mila soldati in totale. È questa un’altra rottura rispetto alle amministrazioni precedenti che fino a ora hanno rafforzato i confini inviando soprattutto riservisti. Il rischio dell’invio di queste truppe è che in caso di necessità la difesa potrebbe ritrovarsi scoperta difronte ad altre «emergenze globali», ha raccontato al giornale un ex marine. Se i primi due voli diretti in Guatemala rimpatriavano persone senza documenti che avevano commesso dei crimini, l’amministrazione ha chiarito che presto le azioni verranno allargate a tutti. Anche la presidente del Messico Claudia Sheinbaum, ha fatto capire di essere pronta a collaborare dopo che uno dei voli diretti nel Paese era stato bloccato: «Accetteremo sempre a braccia aperte l’arrivo dei messicani nel nostro territorio», ha dichiarato il ministero. Agli agenti dell’Ice, l’agenzia americana che si occupa di mantenere la sicurezza al confine, sono stati dati più poteri e anche il permesso di potere di arrestare e poi espellere chiunque si trovi nel Paese senza documenti. In tutto, sono circa 11 milioni. Le associazioni umanitarie sono sul piede di guerra, soprattutto perché le forze dell’ordine federali hanno avuto il lasciapassare di poter fare incursioni anche in luoghi fino a ora sacri come le scuole e le chiese. Anche all’interno delle città santuario, che rischiano di vedersi tagliare i fondi se non collaboreranno. Sono in pochi a credere che una espulsione totale sia veramente nei piani del presidente Trump. Si tratta di un piano che richiederebbe risorse finanziarie ingenti, che richiederebbero l’approvazione del Congresso.
L’ALLARME
Non solo sarebbe molto costoso, ma il presidente repubblicano sa bene che sarebbe anche controproducente per l’economia del Paese, poiché gli illegali costituiscono una forza lavoro importante e pagano le tasse. Ma a tremare non è solo chi è entrato illegalmente, ci sono anche molti italiani impiegati nella ristorazione, o quelli che stanno per nascere da genitori senza documenti, a cui Trump vuole togliere il diritto alla cittadinanza immediata. Stanno vivendo momenti di ansia anche quel milione e mezzo di immigrati in fuga da Cuba, Nicaragua, Venezuela e Haiti, a cui l’amministrazione Biden aveva dato il permesso di entrare temporaneamente. Ora il presidente ha deciso di chiudere anche la app che permetteva di fissare gli appuntamenti per ottenere l’autorizzazione ad entrare nel Paese. Due programmi, criticati dai repubblicani, che però il leader democratico aveva attivato proprio per ridurre il flusso di clandestini al confine. E nella tagliola potrebbero rientrare anche i richiedenti asilo arrivati dall’Afghanistan e dall’Ucraina. Ma in queste prime cento ore, Trump è riuscito ad aprire anche altri “campi di battaglia”: contro i programmi federali dedicati all’inclusione, contro gli ispettori generali dei ministeri che ha licenziato, e poi contro l’aborto. Il neo segretario di Stato, Marco Rubio, ha infatti annunciato che gli Stati Uniti sono rientrati nel patto anti-aborto che vuole essere a livello globale. Si chiama “Geneva Consensus Declaration” ed era stato lanciato proprio da Trump durante il primo mandato. Il principio è che non esiste un diritto internazionale all’interruzione di gravidanza e per questo la pratica deve essere ostacolata.
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