Claudiano, il ritorno dei Giganti mentre Roma si dissolve

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Ultima sfida all’acerba autorità degli Olimpi ed episodio cruciale nel consolidamento del potere divino di Zeus sulle forze primigenie dei figli della Terra, la ribellione dei Giganti è citata dai poeti sin dalla Teogonia esiodea, ma conobbe una fortuna limitata nell’ambito della letteratura greca arcaica e classica, dove emerge piuttosto come tema secondario, spesso evocato in modo indiretto o allusivo: nulla di paragonabile, per quanto è possibile giudicare, rispetto alla centralità simbolica rivestita nella processione delle Panatenee, in cui la Gigantomachia era istoriata sul peplo confezionato dalle ergastine ateniesi per la statua di Atene Poliàs. Benché sia ragionevole ipotizzare, per l’età ellenistica, la composizione di poemetti oggi perduti, forse legati al contesto delle recitazioni e comunque non sufficientemente fortunati da eguagliare le opere di cui conosciamo il titolo o almeno parte del contenuto, è solo il Tardoantico a consegnarci opere interamente dedicate al racconto della lotta fra i figli della Terra e gli dèi celesti.

Momento decisivo per il recupero del mito nella letteratura tarda è la Gigantomachia latina di Claudiano, recentemente tradotta e commentata da Giovanni Andrisani per la collana «Saturnalia» dell’editore La Vita Felice (La guerra dei giganti, testo latino a fronte, pp. 138, € 12,00). Trasmesso nel corpus dei carmina minora – assemblaggio editoriale postumo della produzione d’occasione e non rifinita del poeta di Alessandria d’Egitto – e giuntoci mutilo, il poemetto racconta in 128 esametri la nascita dei Giganti «nemici del cielo» dalla piana tessala di Flegra, l’esortazione della madre Terra a combattere gli Olimpi per vendicare le torture subite dai Titani, il concilio degli dèi in cui Giove organizza la resistenza e sprona alla battaglia, il tentativo di assalto al cielo e le brevi aristie di Marte e Minerva, arrestandosi in corrispondenza dello scontro fra il gigante Porfirione e Apollo.

Nella Gigantomachia latina si ritrovano, condensate e come accelerate, tutte le caratteristiche della tecnica epica di Claudiano, comuni anche all’altro suo poemetto epico-mitologico ‘puro’, il De raptu Proserpinae: innanzitutto la predilezione per la modalità descrittiva su quella diegetica, che risolve il racconto nella giustapposizione di singole scene dalla spiccata plasticità visiva; quindi l’ampio ricorso ai discorsi diretti, che traducono espressivamente l’ethos dei personaggi; infine il dialogo intertestuale con gli auctores, che – secondo modalità ben indagate da Andrisani nel suo commento – fa del poema «una libera rielaborazione» di temi e giunture attinti da Virgilio e Ovidio, ma anche da Lucano e Stazio. Anche nella versione minore della Gigantomachia, in cui si visto talvolta l’abbozzo di un’opera di più ampio respiro e che è probabilmente rimasta incompiuta a causa della morte, Claudiano si rivela uno degli autori più rappresentativi della poesia latina di IV-V secolo, a lungo ritenuta derivativa e calligrafica ma oggi pienamente riconosciuta nelle sue autonome tendenze estetiche.

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La Gigantomachia latina non è peraltro l’unico caso in cui questo tema mitologico trova spazio nella poesia claudianea, come ben dimostra da ultima Clare Coombe nel suo Claudian the Poet (Cambridge University Press, 2018), che meritava di figurare nella bibliografia. Andrisani dedica attenzione soprattutto alla frammentaria Gigantomachia greca, recitata ad Alessandria e ben nota a Nonno di Panopoli, che è probabilmente da annoverare fra i primi tentativi poetici dell’autore, ma i figli della Terra compaiono anche nel De raptu, dove la loro rivolta fa da fondale metaforico al racconto del rapimento di Proserpina, e nel Panegirico per il sesto consolato di Onorio, in cui Claudiano sogna di cantare la loro sconfitta da parte di Giove per ritrovarsi invece a celebrare il trionfo del suo patrono Stilicone sui Goti di Alarico.

Fra i grandi archetipi mitologici, del resto, pochi altri si prestano come la Gigantomachia a simboleggiare lo scontro fra ordine e caos, fra legge e violenza, in breve fra civiltà e barbarie. Come spiega Andrisani nell’Introduzione, la valenza politica gioca infatti un ruolo centrale nel recupero del mito alla fine della stagione delle guerre civili, quando «il parallelismo tra il principe e Giove plasma la propaganda letteraria del mecenatismo augusteo» nell’ottica di un potere sempre più teologizzato, e ancor più in età tardoantica, quando «il ritorno dei Giganti» in Claudiano – ma più tardi anche in Sidonio Apollinare – trova le sue ragioni nella crescente inquietudine per il dissolversi del potere di Roma. Poeta della lotta contro le tendenze centrifughe che, a tutti i livelli, minacciavano la stabilità di un impero ormai in bilico, Claudiano non poteva non finire «ossessionato» – così Jean-Louis Charlet – dal racconto della Gigantomachia (e della Titanomachia); e che nel mito si rispecchiasse la storia, se non proprio la cronaca, pare testimoniato dalla similitudine ‘enniana’ dell’assalto al cielo: «Come quando una macchina d’assedio minaccia una città, / da ogni parte gli abitanti accorrono a difendere la rocca, / così gli dèi associandosi in gruppi di ogni genere / vennero alla dimora del padre».



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