Osservando la sfida in corso nel girone B del campionato di Promozione tra la sua Vis Nova Giussano ed il suo Seregno, con i giussanesi che, dall’alto dei loro nove punti di vantaggio, sembrano aver posto le basi per la fuga decisiva, avrebbe probabilmente accompagnato il traguardo del suo centodecimo compleanno con un sorriso. Sì, perché Aldo Boffi, che delle due piazze calcistiche appena nominate, Giussano e Seregno appunto, è stato un beniamino assoluto, a Giussano è nato il 26 gennaio 1915 e lì oggi riposa, insieme alla moglie Eugenia Ballabio, in una tomba del cimitero di Paina, dopo la sua scomparsa, datata 25 ottobre 1987. Il suo è un nome che ai giovani appassionati, probabilmente, dirà poco o nulla, ma se chiedete di argomentare di lui a qualche tifoso sull’ottantina, allora è probabile che il viaggio all’indietro nella memoria possa essere impreziosito da lacrime di nostalgia.
Amarcord: la parabola di un principe del gol
Centravanti longilineo, dotato di un tiro potente come pochi, Aldo Boffi inizia a giocare prestissimo nella Vis Nova Giussano. All’età di 19 anni lo ingaggia il Seregno, impegnato nella sua prima parentesi sul palcoscenico della serie B. Stiamo parlando del Seregno di Umberto Trabattoni, presidente mecenate, che decide di costruire uno stadio nuovo di zecca, pagandolo di tasca propria, avendo compreso come il vecchio campo di via Correnti sia ormai insufficiente alla bisogna, e lo dedica al figlioletto Ferruccio, deceduto poco meno di 20 anni prima, il giorno di capodanno del 1918, in un incidente domestico. L’esordio nella cadetteria è contradditorio: la squadra retrocede, ma Aldo Boffi trionfa nella classifica dei marcatori, avviando quella che sarà una costante della sua carriera. In azzurro rimane anche in serie C, nella stagione 1935-’36, ed a Casale si merita le luci della ribalta. Scrive di quell’incontro il “Calcio Illustrato”: «Campionato di serie C 1935-’36, a Casale, contro i nerostellati, calcio di punizione. Tira Boffi ed il portiere Ceresa si slancia per la parata. Agguanta la sfera, fa la presa e.. vola direttamente in porta. Lui ed il pallone. Una cosa sbalorditiva!». Il giovanotto scatena un’asta tra Bologna, Fiorentina e Milan, che si aggiudica le sue prestazioni. Il contesto è prestigioso, ma i meneghini non vincono un campionato dal 1907 e, per conquistare un nuovo scudetto, dovranno aspettare fino al 1951, quando al titolo tricolore li condusse guardacaso proprio Umberto Trabattoni, che nel frattempo aveva terminato l’esperienza nella sua Seregno e si era trasferito nel capoluogo. Boffi fatica a calarsi nella nuova realtà, ma, quando ingrana, asfalta tutti i concorrenti. A Milano disputa nove annate, le prime sei delle quali sono superlative. Di trofei di squadra non vi è traccia, ma per tre volte si laurea capocannoniere del campionato di serie A e firma in totale centotrentasei reti. Meglio di lui, in rossonero, hanno fatto solo Gunnar Nordhal, Andriy Shevchenko, Gianni Rivera e Josè Altafini, mentre Marco Van Basten, tanto per citare un fuoriclasse più familiare anche a chi Boffi non l’ha visto esibirsi per ragioni di età, si è fermato a quota centoventicinque.
Amarcord: il trionfale ritorno allo stadio Ferruccio
Quando l’incidere della Seconda guerra mondiale obbliga le autorità ad interrompere l’attività agonistica, perché c’è altro cui pensare ed il territorio è dilaniato a livello infrastrutturale, la parabola del bomber brianzolo pare avviata al declino. A conflitto terminato, Boffi ricomincia con l’Atalanta, ma il matrimonio non è felicissimo e dura un sospiro. Nel 1946 torna così a Seregno, in serie B, dove era diventato presidente Romeo Mariani, giovane ed ambizioso ingegnere, alla testa di un’azienda che si muove nella meccanica, nel pieno della sua fioritura. I tifosi lo amano, ma qualche dubbio affiora: «Presidente, non è che ci ha preso un bollito?». Lui incassa e scarica la rabbia per quelle perplessità in campo. Realizza trentatré gol, che gli regalano l’ennesimo successo in una classifica dei marcatori, e trascina i suoi al terzo posto, exploit mai vissuto prima e mai più ripetuto in seguito. La linea d’attacco con Attilio Marazzini, Gino Gallanti, Mario Bandirali e Franco Canali fa sognare quegli stessi tifosi che, inizialmente, avrebbero preferito un altro al posto suo. Gli azzurri giocheranno poi altre stagioni nel secondo campionato nazionale, prima di capitombolare in serie C nel 1949, in coda ad un torneo scandito da parecchi errori arbitrali. Romeo Mariani, amareggiato, si accomiata. Boffi sembra sul punto di abbandonare il calcio, ma in autunno rientra e, con i suoi gol, è determinante nella conquista della promozione in serie B. La gioia è però effimera, perché il Seregno retrocede di nuovo e lui, a 36 anni, stavolta dice davvero basta, dopo centonovantanove presenze e centodiciotto marcature in azzurro. Saluta con l’unico rammarico, forse, di aver avuto meno spazio di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi in nazionale, ma nel suo momento migliore in circolazione c’erano fenomeni come Giuseppe Meazza e Silvio Piola e, purtroppo, il regolamento ancora non prevedeva la possibilità delle sostituzioni a partita in corso.
Amarcord: gli aneddoti che tramandano la leggenda
Di lui oggi rimangono alcuni aneddoti che hanno fatto epoca. «Il rigore ideale -ha confidato l’amico e compagno di squadra Franco Canali– va calciato basso, piano ed angolato, per mandare fuori tempo il portiere. Volete sapere se io calciavo così? A dire il vero, i rigori per noi erano tutti pane per Boffi e lui, con la sua potenza, poteva permettersi anche di limitarsi ad inquadrare lo specchio della porta. Tanto, se il portiere si fosse trovato suo malgrado sulla traiettoria, sarebbe stato scaraventato in rete insieme al cuoio». Pierino Romanò, a lungo cantore delle vicende calcistiche seregnesi, raccontava infine «che una volta lo vidi calciare una punizione dal limite dell’area. Il pallone si stampò sulla traversa e, dal tanto che la conclusione era stata violenta, ricadde quasi a metà campo…».
Amarcord: le immagini di un mito
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