Internet viene spesso celebrato come forza trasformatrice, che colma i divari e dà potere a miliardi di persone. Da nessun’altra parte al mondo questa promessa è così essenziale quanto in Africa, dove un aumento della connettività ha un potenziale enorme per la crescita economica, l’istruzione e la partecipazione attiva dei cittadini. Dietro la promessa di una maggiore connettività in Africa si nasconde una narrativa complessa di controllo straniero, impatto ambientale, sfruttamento dei dati e sovranità digitale limitata, una iterazione delle dinamiche coloniali nel XXI secolo [en, come i link seguenti] sotto le mentite spoglie di una retorica di “connettere chi non è connesso”. Nascono quindi domande sulla proprietà, sostenibilità ed equità: a quale prezzo stiamo colmando il divario digitale dell’Africa e chi è infine a trarre beneficio da queste iniziative?
I costi impari per colmare il divario digitale dell’Africa
L’Africa resta il continente meno interconnesso, con solo il 38% della sua popolazione ad avere accesso a internet, dati aggiornati al 2024. Tale disparità non è puramente tecnologica ma è profondamente radicata in disuguaglianze storiche. Società straniere come Google e Meta e società di telecomunicazioni europee hanno il dominio sulle infrastrutture digitali del continente. I loro cavi sottomarini, come Equiano di Google e 2Africa di Meta, trasportano quasi il 90% di traffico internet, rendendoli in tal modo custodi della connettività globale del continente. Questi cavi che circondano l’Africa piuttosto che integrarsi al suo interno trovano una similitudine nelle rotte commerciali coloniali permettendo alle imprese straniere di aggirare le normative locali, gli obblighi fiscali e le strutture di governance. Tale modello “hub-and-spoke” porta avanti disparità economiche, dal momento che paesi senza accesso diretto a questi cavi devono affidarsi a costosi intermediari per connettersi alla rete globale.
A causa di tale monopolio aumenta il costo dell’accesso a internet. I fornitori locali di servizi internet (ISP) sono sottoposti al peso di tariffe alte per connettersi a tali cavi, un costo che viene inevitabilmente trasferito ai consumatori. Il rapporto sull’accessibilità 2020 dell’Alliance for Affordable Internet riporta che il costo medio di 1 GB di dati in Africa è pari al 5,7% del reddito mensile — molto più alto dell’obiettivo di accessibilità dell’ONU del 2%. Il costo alto della connettività acuisce le disuguaglianze presenti creando un divario digitale che rispecchia le più ampie disparità socio-economiche dell’Africa.
Nonostante siano stati fatti importanti investimenti nelle infrastrutture molte comunità rurali e a basso reddito rimangono escluse dall’economia digitale. Mentre la popolazione elitaria delle città come Nairobi, Lagos e Johannesburg ha il vantaggio di avere accesso a un internet veloce e a un prezzo conveniente, le comunità rurali rimangono disconnesse. Questo divario ha enormi complicazioni per l’istruzione, la sanità e le opportunità economiche. Le scuole in zone rurali, ad esempio, non possono fare affidamento sulla connessione internet per l’apprendimento digitale, togliendo agli studenti la possibilità di accedere a risorse online. Le strutture sanitarie in aree remote hanno difficoltà a implementare soluzioni di telemedicina. Le piccole imprese affrontano ostacoli nel raggiungimento di mercati più ampi a causa di costi di connettività proibitivi. Tale esclusione perpetua cicli di povertà, rendendo il divario digitale una nuova frontiera della disuguaglianza.
L’estrazione dei dati: la nuova frontiera dello sfruttamento
Mentre le sfide legate alle infrastrutture dominano i dibattiti sul divario digitale dell’Africa, preoccupa anche il problema dell’estrazione dei dati. Nell’economia digitale i dati hanno preso lo stesso valore delle risorse tradizionali come il petrolio o l’oro. Tuttavia, proprio come è successo per le sue risorse naturali, i dati dell’Africa sono stati estratti, lavorati e monetizzati da società straniere, con scarsi benefici per il continente.
I giganti tech occidentali sfruttano il loro dominio sull’infrastruttura internet dell’Africa per raccogliere e monetizzare i dati con beneficio minimo per le economie locali. Programmi come Free Basics di Meta, pubblicizzato come serie di iniziative volte a colmare il divario digitale, promettono accesso libero a internet per le comunità meno servite ma offrono accesso limitato a una serie di siti web selezionati, spesso controllati dalle piattaforme di proprietà delle società stesse. I critici convengono sul fatto che tali iniziative non abbiano l’obiettivo effettivo di colmare divari quanto più quello di attirare gli utenti incastrandoli in ecosistemi concepiti per l’estrazione di dati. Questo rispecchia i modelli storici di sfruttamento per cui le materie prime venivano esportate per guadagnare senza un significativo reinvestimento nelle comunità locali.
L’assenza di solidi quadri normativi per la protezione dei dati in molti paesi africani peggiora il problema. L’estrazione di dati incontrollata rafforza il ruolo dell’Africa come fornitore di risorse digitali grezze, negando al contempo al paese l’opportunità di sfruttare i propri dati per l’innovazione locale. Questa dipendenza non solo mina la sovranità economica ma solleva anche notevoli problemi di privacy e sicurezza.
La legge sulla protezione dei dati del Kenya e il regolamento nazionale sulla protezione dei dati della Nigeria (NDPR) rappresentano significativi passi in avanti ma rimangono eccezioni rispetto alla norma nel continente. Anche se le norme ci sono, è la loro applicazione ad essere carente. Le società straniere sfruttano questi divari, estorcendo dati preziosi, evadendo le tasse e aggirando i controlli locali.
I costi ambientali dell’infrastruttura digitale
La costruzione e il mantenimento dei cavi sottomarini, dei centri di elaborazione dati e delle reti in fibra ottica hanno un costo ambientale significativo spesso a carico delle comunità vulnerabili. Questi cavi sottomarini, i centri di elaborazione dati e le reti in fibra ottica hanno bisogno di un’enorme quantità di energia e risorse, contribuendo alle emissioni di gas serra e al degrado ambientale.
Le conseguenze ecologiche vanno oltre le emissioni. Alcuni studi hanno mostrato che l’installazione di cavi sottomarini può alterare gli ecosistemi marini, colpendo la biodiversità e alterando i campi geomagnetici su cui fa affidamento la vita marina. Sulla terra la situazione preoccupa in egual modo. Il cavo in fibra ottica progettato da Google che passa attraverso regioni dell’Africa ricche di minerali mette in evidenza la correlazione tra infrastrutture digitali e l’estrazione delle risorse. Aree come la Repubblica Democratica del Congo, ricca di cobalto e litio, sono già alle prese con le conseguenze ambientali e sociali dell’attività mineraria.
Questi costi ambientali spesso non vengono considerati nelle discussioni sul futuro digitale dell’Africa. Tuttavia, ci sono poche ricerche sugli impatti ecologici a lungo termine dell’espansione digitale dell’Africa e questo lascia domande fondamentali senza risposta. Chi può assicurare che questi progetti siano gestiti in modo etico? E come possiamo trovare equilibrio tra la necessità di connettività e l’imperativo di sostenibilità? Senza norme significative la spinta alla connettività rischia di minare la stabilità ambientale e sociale del continente. Servono urgentemente pratiche etiche e sostenibili per far sì che la connettività non sia permessa alle spese dell’ecosistema e delle comunità vulnerabili.
Decolonizzare gli spazi digitali
Le somiglianze tra il colonialismo e l’espansione digitale moderna sono impressionanti. Proprio come le potenze coloniali consideravano in passato le terre africane come “vuote” e adatte allo sfruttamento, così oggi i colossi della tecnologia vedono il ciberspazio come frontiera per il profitto. Con il pretesto di colmare il divario digitale queste società dominano il futuro digitale del continente, spesso escludendo le voci locali dal processo e lasciandole ai margini.
L’impegno per decolonizzare gli spazi digitali deve dare priorità all’empowerment delle comunità rispetto ai programmi delle aziende, ovvero supportare reti gestite dalle comunità e tecnologie open-source che permettano il controllo a livello locale e l’innovazione. Iniziative ad esempio che danno accesso internet nelle lingue indigene possono aiutare a preservare il patrimonio culturale, promuovendo allo stesso tempo l’inclusione. Per decolonizzare gli spazi digitali dell’Africa è necessario mettere in discussione la narrazione che vede il continente come fruitore passivo di aiuti tecnologici.
Verso una sovranità digitale
Per liberarsi da queste dinamiche di sfruttamento, l’Africa deve dare la priorità alla sovranità digitale, ovvero al controllo della propria infrastruttura internet, sui dati e sulle politiche digitali. Il Rwanda e il Kenya sono esempi promettenti di quello che si potrebbe raggiungere. Il Rwanda ha fatto investimenti nei centri di elaborazione dati gestiti a livello locale e nelle reti in fibra ottica, creando posti di lavoro e riducendo la dipendenza dalle aziende straniere. Il Kenya ha supportato i fornitori di servizi internet attraverso misure di regolamentazione, aumentando la concorrenza e abbassando i costi di internet.
Leggi solide sulla protezione dei dati, come il NDPR della Nigeria e la legge sulla protezione dei dati del Kenya, sono fondamentali per assicurarsi che i dati africani rimangano all’interno dei loro confini. Questi quadri normativi possono frenare le pratiche di sfruttamento e promuovere l’utilizzo equo dei dati. Raggiungere la sovranità digitale però richiede molto più di azioni sporadiche. La collaborazione tra le nazioni africane è essenziale per stabilire progetti condivisi sulle infrastrutture e per negoziare condizioni eque con le aziende straniere.
I processi decisionali devono includere anche le voci degli emarginati per assicurare che il progresso digitale risponda a diverse esigenze. Programmi di capacity-building possono dare forza alle donne, alle comunità rurali e ad altri gruppi sottorappresentati per prendere parte alla creazione del futuro digitale dell’Africa.
Creare un futuro digitale inclusivo
Il viaggio verso l’inclusione digitale è complesso ma è fondamentale per promuovere un futuro dove internet sia davvero al servizio delle persone che ne usufruiscono. La via da percorrere non riguarda semplicemente la costruzione di più infrastrutture, bensì sta nel ripensare chi le controlla, come funzionano e quali interessi stanno servendo. L’Africa è pronta a sfruttare il potenziale di trasformazione della connettività ma deve affrontare le diseguaglianze sistemiche insite nel suo attuale panorama digitale.
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