Secondo la recente ricerca dell’NIH statunitense, non tutti i periodi della gestazione sono buoni per prendere peso. Nei primi tre mesi di gravidanza, infatti, l’aumento di peso è stato collegato a un eccesso di grasso nell’addome e nelle braccia del nascituro.
Prendere chili durante la gravidanza è del tutto normale. Anzi, entro certo parametri, l’aumento di peso è indice di una gestazione che sta procedendo per il verso giusto. Tale incremento di massa corporea non dovrebbe però avvenire nel primo trimestre, periodo dove è consigliato che la futura mamma mantenga il più possibile il proprio peso forma.
A ribadirlo è una nuova ricerca condotta dai National Institutes of Health (l’agenzia del Dipartimento della Salute degli Stati Uniti), la quale ha rilevato una forte connessione tra l’aumento di peso materno nel primo trimestre di gravidanza e l’accumulo di grasso nel feto, una condizione che può compromettere la salute a lungo termine del nascituro.
La scoperta, pubblicata sull’American Journal of Clinical Nutrition, apre una finestra sul ruolo cruciale dei primi mesi di gestazione nel determinare la composizione corporea del bimbo, anche perché i ricercatori non si sono limitati a quantificare l’impatto del peso materno sul futuro bebè, ma hanno indagato a fondo il legame tra specifici momenti della gravidanza e lo sviluppo fetale.
L’importanza di primi mesi
Tradizionalmente, l’attenzione medica si è concentrata sull’aumento complessivo di peso durante la gravidanza. Tuttavia, lo studio ha evidenziato come il primo trimestre rappresenti un periodo particolarmente sensibile, in cui un aumento ponderale eccessivo può avere effetti più marcati sulla composizione corporea del feto. L’associazione tra un maggiore peso alla nascita e il rischio di obesità o malattie metaboliche è nota, ma ora emerge un quadro più dettagliato: non è solo la quantità di peso a contare, ma anche la sua distribuzione temporale.
La ricerca ha coinvolto oltre 2.600 gravidanze singole, concentrandosi sull’incremento ponderale trimestre per trimestre. I risultati sono chiari: le donne che hanno guadagnato più di 2 chilogrammi nel primo trimestre – le linee guida dell’Institute of Medicine consigliano per i primi tre mesi un aumento massimo che oscilla tra gli 0,5 e i 2 kg – hanno avuto feti con misurazioni addominali più ampie e uno spessore maggiore di grasso nelle braccia rispetto a coloro che hanno mantenuto l’aumento di peso entro i limiti raccomandati. Tale fenomeno è emerso già nelle prime fasi della gravidanza e si è protratto fino al termine, indipendentemente dall’aumento ponderale successivo.
Per ottenere simili misurazione il team di ricerca si è avvalso anche di un’avanzata tecnologia ecografica 3D che ha consentito di analizzare la composizione corporea fetale con una precisione senza precedenti.
Non solo peso, ma distribuzione del grasso
Proprio grazie all’accuratezza degli strumenti d’indagine, gli scienziati hanno notato come il grasso in eccesso tenda a concentrarsi principalmente nell’area addominale e nelle braccia del feto, senza influenzare significativamente le dimensioni di fegato, reni o altri organi. Questo modello di accumulo può rappresentare un indicatore precoce di futuri rischi metabolici. Gli studiosi ipotizzano che i cambiamenti osservati possano avere ripercussioni durature sulla salute del bambino, aumentando la probabilità di sviluppare obesità o patologie correlate in età adulta.
Verso nuove strategie di prevenzione
Gli autori della ricerca hanno sottolineato la necessità di interventi precoci per gestire il peso materno fin dalle prime fasi della gravidanza. Sebbene lo studio non abbia esaminato interventi specifici, i risultati suggeriscono che mantenere l’aumento ponderale entro linee guida adeguate potrebbe ridurre l’accumulo di grasso fetale, contribuendo a migliorare gli esiti di salute per madre e bambino. Futuri studi si concentreranno sulle implicazioni funzionali di questi cambiamenti, cercando di chiarire se e come il grasso fetale precoce influenzi lo sviluppo di obesità e patologie metaboliche.
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