Libano, ferite profonde e nuovi poveri: il lascito della “guerra sospesa” tra Hezbollah e Israele

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BEIRUT (AsiaNews) – In Libano è iniziato il conto alla rovescia per il ritiro dell’esercito israeliano dalle decine di villaggi (del Sud) occupati alla fine della guerra con Hezbollah, intervenuta al fianco di Hamas all’indomani dell’8 ottobre 2023, e conclusa con un accordo di cessate il fuoco. In base al patto sottoscritto il 27 novembre scorso, è stata accordata una proroga di altri 60 giorni ai militari israeliani per evacuare il Paese e al Hezbollah, il partito filo-iraniano per ritirarsi a Nord del fiume Litani. La zona dovrà poi essere occupata – e sotto il controllo – dell’esercito libanese e della forza internazionale Unifil. Il ritiro è imminente e dovrebbe essere completato entro domani, 26 gennaio, ma al momento tutto lascia pensare che nessuna delle parti in conflitto abbia mantenuto o manterrà i suoi impegni.

Migliaia di persone in attesa di rientrare nelle loro case. Quella del 26 gennaio è una data importante, non solo perché è in gioco la sovranità del Libano, ma soprattutto perché decine di migliaia di libanesi, provenienti dal Sud del Paese attendono con impazienza, in case di parenti oppure in centri di accoglienza, la scadenza per rientrare nelle loro case.

Distrutte 200mila unità abitative. Questo è uno dei principali aspetti umanitari della crisi in Libano, laddove 200mila unità abitative sono state distrutte dagli attacchi israeliani e la ricostruzione di ciò che è stato devastato dalla guerra richiederà anni. E ciò a condizione che il Paese si stabilizzi sul piano politico, un fatto ancora tutt’altro che certo.

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La lista drammatica dei problemi irrisolti. È consapevolezza diffusa il fatto che l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, il cristiano maronita Joseph Aoun, non possa essere da sola la soluzione dei problemi.

L’elenco delle questioni aperte.

1) – Il numero sempre crescente di bambini che non hanno cibo a sufficienza da mangiare: uno su tre, secondo il Programma alimentare mondiale).

2) – Il problema delle famiglie che hanno perso la casa e/o il lavoro

3) – I “nuovi poveri”, i cui risparmi sono bloccati dalle banche

4) – La questione degli oltre 1,5 milioni di siriani che aspettano nelle tende che il loro Paese torni alla normalità; delle centinaia di migliaia di palestinesi che languono in campi insalubri, che vogliono tornare un giorno nella loro patria

5) – Ci sono centinaia di lavoratrici migranti abbandonate al loro destino dai loro datori di lavoro sfollati

6) – Il problema immanente di una classe politica corrotta, che ha rovinato la reputazione di solvibilità del Paese.

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I dati forniti dalla Caritas. Secondo padre Michel Abboud, presidente di Caritas-Libano, più di 200mila libanesi non sono ancora rientrati nelle loro case, a due mesi dalla fine della guerra che ha gettato sulle strade e sulle piazze circa 1,2 milioni di rifugiati libanesi e siriani. Secondo i dati presentati di recente dal ministro degli Affari sociali Hector Hajjar, al termine di una campagna a cui hanno partecipato più di 500 operatori sociali, vi sono 182.189 famiglie che risultano inserite nei programmi di aiuto d’emergenza per i libanesi sfollati a causa della guerra. I bisogni si concentrano maggiormente nei distretti di Saïda, Nabatiyeh, Beirut, Tiro e Aley.

Il crollo dei programmi d’assistenza. A seguito del crollo del valore dei rimborsi del Fondo nazionale di sicurezza sociale (Cnss), dovuto alla svalutazione della moneta libanese, i programmi di assistenza sociale esistenti, in parte finanziati dalla Banca Mondiale, sono limitati. Ad oggi possono beneficiarne solo le famiglie in condizioni di estrema povertà. Di conseguenza, ampie fasce della popolazione sono esposte alla fame, non possono permettersi medicine, tanto meno cure ospedaliere, e sono soggette ad altre privazioni, tra cui l’abbandono della scuola e il lavoro minorile.

Il 55% della popolazione vive con meno di 4 $ al giorno. Secondo Layal Abou Rahal, vicedirettore dell’ufficio di Beirut dell’Afp che rilancia stime delle Nazioni Unite, “il 55% dei libanesi vive al di sotto della soglia di povertà, con meno di 4 dollari al giorno”. Inoltre, secondo lo psicoterapeuta Robert Caracache, responsabile della associazione Foyer de Lumière, le famiglie “lottano per sopravvivere, i bambini rovistano nella spazzatura, lavorano nei negozi o svolgono lavori faticosi per fornire alla casa cibo e prodotti di prima necessità”.

Persi 166mila posti di lavoro. Alle difficoltà subite dai libanesi, in particolare dalle famiglie sfollate, si sono aggiunti la perdita dell’impiego e il crollo occupazionale. Secondo la Banca mondiale (Bm), durante la guerra sono andati persi circa 166mila posti di lavoro, senza contare le perdite agricole e i danni di ogni genere, stimati in circa 1,2 miliardi di dollari.

I nuovi poveri sono la classe media. Dietro lo sfarzo di alcuni quartieri ricchi di Beirut o delle province, i ristoranti chic e le stazioni sciistiche, ci sono anche i “nuovi poveri”, membri di una classe media i cui risparmi sono bloccati nelle banche, vittime del tracollo degli istituti di credito del 2019. C’è stato un tracollo di circa 70 miliardi di dollari di risparmi privati e aziendali.

* Fady Noun – Asianews

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