I macro-trend che trasformeranno il mondo del lavoro

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Entro i prossimi cinque anni, il mercato del lavoro sarà molto diverso da quello attuale: 92 milioni di posti di lavoro non esisteranno più, ma in compenso ne verranno creati altri 170 milioni, per una crescita netta di 78 milioni di impieghi.

È una delle previsioni contenute nel Future of Jobs report 2025 del World economic forum (Wef), un’ampia indagine condotta tra oltre 1000 tra aziende e imprenditori a livello globale. Combinando le previsioni di crescita e declino occupazionale degli intervistati con i dati concreti sull’occupazione globale raccolti dall’ILO (International labour organization), il report stima dunque che, entro il 2030, la creazione di nuovi posti di lavoro e la sostituzione di quelli esistenti sono fenomeni che riguarderanno complessivamente il 22% dei posti di lavoro attuali: quasi un quarto.

Ma quali sono i macro-fenomeni responsabili di queste grandi trasformazioni? È uno dei punti su cui si sofferma il report, che analizza anche come questi macro-trend impattano sull’evoluzione delle competenze e approfondisce le strategie che le aziende pianificano per affrontare questi cambiamenti. In questo articolo ci soffermiamo sulle principali forze trasformative che, secondo il Future of jobs report 2025, plasmeranno il mondo del lavoro da qui al 2030.  

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I cinque macro-trend che stanno trasformando il lavoro

Il report del World economic forum identifica cinque macro-trend principali che stanno plasmando il futuro del lavoro:

  1. il cambiamento tecnologico;
  2. l’incertezza economica;
  3. la frammentazione geoeconomica;
  4. la transizione verde;
  5. i cambiamenti demografici.

A differenza di altri report che si concentrano su trend che riguardano esclusivamente la dimensione lavorativa – come ad esempio l’engagement dei lavoratori, l’evoluzione del ruolo dei manager  o la gestione dei talenti, elementi su cui si sofferma un report di Gartner –, i macro-trend evidenziati dal report del Wef sono fenomeni che riguardano a un livello più ampio la società, la politica, l’economia e il pianeta.

Si tratta di tendenze già in atto, che non operano in modo isolato ma si influenzano e si rafforzano reciprocamente, creando un effetto domino che sta accelerando la trasformazione del mondo intero e hanno impatti anche sul mercato del lavoro. Analizziamoli dunque più nel dettaglio.     

Il cambiamento tecnologico

Il cambiamento tecnologico è considerato il driver più significativo della trasformazione delle aziende e del mondo del lavoro nei prossimi cinque anni. Il 60% degli intervistati si aspetta che l’ampliamento dell’accesso digitale trasformerà la propria attività, una percentuale che è superiore rispetto a qualsiasi altra tendenza e che non mostra significative differenze tra industry e regioni geografiche diverse.  

All’interno di questo macro-trend, il report identifica nove tecnologie chiave che si stima avranno un maggiore impatto trasformativo, ordinate di seguito secondo il peso specifico assegnato loro dai rispondenti:   

  • AI e tecnologie di elaborazione delle informazioni (86%)
  • Robot e sistemi autonomi (58%)
  • Generazione, stoccaggio e distribuzione di energia (41%)
  • Nuovi materiali (30%)
  • Tecnologie dei semiconduttori e di calcolo (20%)
  • Tecnologie di rilevamento, laser e tecnologie ottiche (18%)
  • Quantum computing e crittografia (12%)
  • Biotecnologie e tecnologie genetiche (11%)
  • Tecnologie satellitari e spaziali (9%).  

Dalle risposte si evince il grande scarto tra l’intelligenza artificiale (AI) e le altre tecnologie, dovuto probabilmente ai cambiamenti che l’AI sta già apportando all’interno delle aziende.

L’intelligenza artificiale generativa (Gen AI), in particolare, ha registrato un rapido aumento sia negli investimenti che nell’adozione in vari settori. Il report evidenzia come, dall’uscita di Chat GPT nel novembre 2022, i flussi di investimenti nell’AI siano aumentati di quasi otto volte.

Il focus si sposterà nei prossimi anni sempre più sull’adozione di queste tecnologie, che sebbene rimanga relativamente bassa sta crescendo rapidamente, anche se in modo diseguale tra i settori: è più marcata nel settore dell’information technology, mentre è meno marcata in settori come l’edilizia.

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Anche a livello geografico ci sono grandi disparità: le economie avanzate e a medio reddito stanno sperimentando una diffusione senza precedenti delle tecnologie di AI generativa tra gli utenti individuali, con la comparsa anche di fenomeni come il BYOAI (Bring your own AI, cioè l’utilizzo a livello individuale di tool vietati o non codificati all’interno delle aziende) che devono essere governati. Al contrario, le economie a basso reddito rimangono largamente ai margini, con un uso attualmente minimo di questa tecnologia.

Incertezza economica

Costo della vita sempre più alto, prezzi in crescita e inflazione: sono questi gli ingredienti principali dell’instabilità economica che figura al secondo posto tra i driver trasformativi più rilevanti secondo il Future of jobs report.

Nonostante un generale rallentamento dell’inflazione, che nel 2024 è diminuita a livello globale, le pressioni sui prezzi persistono in molte economie e in particolare nel settore dei servizi, dove i livelli rimangono quasi doppi rispetto al periodo pre-pandemia.

Un’altra preoccupazione legata al prossimo futuro è legata alla crescita economica più lenta, che secondo il 42% degli intervistati impatterà sulle loro operazioni. Per il 2025 i dati del Fondo monetario internazionale prevedono che, a livello globale, la crescita si manterrà stabile al 3,2%, anche se nelle economie in via di sviluppo a basso reddito queste stime sono riviste al ribasso.

La frammentazione geoeconomica

L’instabilità economica è strettamente legata alla frammentazione geoeconomica, altro driver di grandi trasformazioni nel mondo del lavoro (e non solo). Circa un terzo (34%) dei datori di lavoro intervistati dal Wef vede le crescenti tensioni geopolitiche e i conflitti come un fattore chiave della trasformazione organizzativa.

Altri fenomeni che si ritiene plasmeranno le operazioni delle aziende nei prossimi 5 anni sono l’aumento delle restrizioni al commercio e agli investimenti (23%) e i sussidi e le politiche industriali (21%).

Le crescenti tensioni geoeconomiche sono una minaccia per il commercio e le catene di approvvigionamento. La risposta all’instabilità geoeconomica è, molto spesso, imporre restrizioni commerciali e agli investimenti, aumentando i sussidi e adeguando le politiche industriali.

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Gli annunci a tal proposito del neo insediato presidente degli Stati Uniti Donald Trump non sono un’eccezione, né una novità: l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) riporta infatti che le restrizioni commerciali sono raddoppiate tra il 2020 e il 2024, con il valore delle restrizioni alle importazioni che ha raggiunto quasi il 10% delle importazioni globali nel 2024.

Secondo il report del Wef, queste crescenti misure protezionistiche potrebbero rappresentare un rischio a medio termine per la crescita economica globale, poiché riducono le opportunità di innovazione aperta e trasferimento tecnologico.

 Le preoccupazioni geoeconomiche variano a seconda delle economie e anche dei settori industriali.

L’Asia orientale e il Nord America ritengono la crescente frammentazione geoeconomica un fattore trasformativo chiave per i mercati del lavoro e sono molto preoccupate anche dalle restrizioni al commercio globale e agli investimenti, anche se in misura minore rispetto al Medio Oriente e al Nord Africa.

A livello di industry, i settori con un alto grado di dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali, come l’automotive e l’aerospaziale o il settore minerario e dei metalli, si aspettano una trasformazione del settore guidata dalle restrizioni commerciali. Al contrario, settori più orientati al mercato interno come l’ospitalità, la ristorazione e il tempo libero si aspettano un impatto minimo da queste politiche.

La transizione verde

Uno dei primi atti del neo insediato presidente degli Usa Trump è stato l’uscita dagli accordi sul clima sottoscritti a Parigi da 196 Paesi nel 2015. Non è la prima volta: era già accaduto in occasione della prima presidenza Trump.

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Questa decisione arriva proprio dopo un anno in cui, secondo il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea Copernico, per la prima volta il nostro pianeta ha superato la soglia dell’aumento di 1,5 gradi centigradi al di sopra dei livelli preindustriali, che è il principale punto degli accordi di Parigi.

Allo stesso tempo, quando mancano ormai meno di 5 anni al 2030, solo il 17% degli obiettivi dell’Agenda 2030 (che riguarda più in generale altri temi di sostenibilità e uguaglianza, inclusa la lotta al cambiamento climatico) sono stati raggiunti.

Nonostante il quadro per un intervento globale sul clima sia sempre più complesso, la transizione verde resta però una priorità per molte organizzazioni a livello globale. Due fenomeni su tutti sono ritenuti profondamente trasformativi dalle aziende nel prossimo futuro: l’intensificazione degli sforzi e degli investimenti per ridurre le emissioni di carbonio e i maggiori sforzi e investimenti per adattarsi al cambiamento climatico, che si classificano rispettivamente al 3° e 6° posto tra i driver della trasformazione aziendale.

Sulla green transition segnaliamo anche un altro trend che emerge dal report Futurescape 2025 di frog (parte di Capgemini Invent). È l’invito, rivolto alle aziende, a passare dalle parole all’azione, smettendo di cercare di vendere più prodotti attraverso promesse astratte di purpose. La trasformazione legata alla green transition dovrà dunque essere sostanziale, e non di facciata.

Bisognerà ad esempio dare priorità alla formazione “verde” delle persone, soprattutto di quelle industry, come l’automotive, l’aerospaziale, il settore minerario e dei metalli, in cui la decarbonizzazione avrà un impatto più significativo.

L’upskilling e il reskilling saranno fondamentali per consentire ai lavoratori di questi settori di transitare verso lavori alternativi e a tutte le altre persone di acquisire le competenze necessarie per sfruttare appieno le opportunità create dalla transizione verde e da un futuro a zero emissioni.

L’impatto dei cambiamenti demografici

Nelle economie ad alto reddito, il calo dei tassi di natalità e l’aumento dell’aspettativa di vita causano un progressivo invecchiamento della popolazione, anche di quella in età lavorativa. Ma spostando lo sguardo verso i Paesi a basso reddito si assiste al fenomeno inverso: la popolazione in età lavorativa aumenta, perché i più giovani entrano progressivamente nel mercato del lavoro.

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Questi due fenomeni contrapposti sono i principali driver di trasformazione nell’ambito del macro-trend dei cambiamenti demografici, secondo il Future of jobs report 2025. L’invecchiamento e il declino delle popolazioni in età lavorativa produrrà un impatto significativo per il 40% dei datori di lavoro a livello globale, posizionandosi al 7° posto tra tutti i driver trasformativi. L’aumento della popolazione in età lavorativa produrrà invece un impatto per il 25% dei rispondenti.

Nei Paesi in cui la popolazione invecchia, aumentano i rapporti di dipendenza: un bacino più ristretto di persone in età lavorativa è sottoposto a una maggiore pressione, ci sono preoccupazioni sulla tenuta del sistema pensionistico e si spalancano opportunità, ma anche rischi, legati all’assistenza e alla cura dei più anziani.

Ma anche i Paesi che assistono all’incremento della loro popolazione lavorativa fronteggeranno sfide importanti. Secondo la Banca Mondiale, nei prossimi 10 anni 1,2 miliardi di giovani entreranno nel mercato del lavoro nelle economie emergenti, che però riusciranno a creare solo 420 milioni di posti di lavoro aggiuntivi. Il rischio è dunque che quasi 800 milioni di giovani restino nell’incertezza economica.

I cambiamenti demografici non si limitano però a queste due tendenze contrapposte. Un tema molto sentito anche in Italia è quello della compresenza, in azienda, di diverse generazioni: non era mai successo che quattro diverse generazioni (dai Baby boomers alla Gen Z) collaborassero insieme. Queste dinamiche intergenerazionali vanno governate per far sentire ascoltate tutte le persone, ridurre i bias legati all’età, trasferire efficacemente la conoscenza e rendere proficua ed efficace la collaborazione.  

Occorre, però, anche una riflessione sul concetto stesso di generazione. Pew research, uno dei principali istituti di ricerca nel mondo, già nel 2023 invitava i suoi lettori a essere scettici riguardo le etichette generazionali, in quanto queste categorie non sono scientificamente definite e possono portare a stereotipi e semplificazioni eccessive.

Anche l’istituto di ricerca italiano Ipsos sta rivedendo tutte le etichette generazionali alla luce di nuove prospettive e del fatto che alcuni fenomeni, come la digitalizzazione, sono intergenerazionali.

Si parla poi sempre più spesso di Perennials, che è anche il titolo di un saggio dell’economista Mauro F. Guillen. L’invito è a vedere le generazioni come un qualcosa di fluido, meno lineare rispetto al passato, definite non dall’età di nascita ma da ciò che le persone fanno, dal loro mindset, dalla propensione all’apprendimento continuo.

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Anche la design company Logotel, in una ricerca sugli scenari del 2025, ha individuato nella necessità di disfarsi delle lenti generazionali tradizionali una delle chiavi per intercettare nuove aspettative: come i bisogni delle persone over 55 che hanno davanti a sé ancora una lunga carriera lavorativa o le esigenze della Gen Z, ancora non comprese, ma che diventeranno cruciali nel prossimo futuro.        

Di certo, una delle chiavi per affrontare le trasformazioni indotte dai cambiamenti demografici sul mondo del lavoro risiede nella capacità, da parte delle aziende e anche degli individui, di concentrarsi su upskilling e reskilling.

Ed è incoraggiante che, secondo il report del Wef, il 92% dei datori di lavoro che identificano la crescita delle popolazioni in età lavorativa come un driver di trasformazione pianificano di dare priorità alla riqualificazione e al miglioramento delle competenze entro il 2030.

Conclusione: prepararsi al cambiamento

La trasformazione del mercato del lavoro è già in atto e accelererà nei prossimi anni, guidata, secondo il Future of Jobs report 2025 del Wef, da cinque macro-fenomeni: cambiamenti tecnologici, incertezza economica, frammentazione geoeconomica, transizione green e cambiamenti demografici.

Per affrontare queste trasformazioni, le organizzazioni dovranno concentrarsi su tre aspetti fondamentali:

  • investire significativamente nell’upskilling e reskilling dei propri dipendenti, con particolare attenzione alle competenze digitali e green;
  • sviluppare una maggiore agilità organizzativa per adattarsi rapidamente ai cambiamenti geopolitici ed economici;
  • abbracciare l’innovazione tecnologica in modo responsabile, utilizzando l’AI e le nuove tecnologie come strumenti di potenziamento delle capacità umane piuttosto che di sostituzione.

Le aziende che sapranno anticipare e gestire proattivamente questi cambiamenti, investendo nelle persone e nell’innovazione sostenibile, saranno quelle meglio posizionate per prosperare in questo nuovo scenario lavorativo in rapida evoluzione.

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