Studiare ad Haiti tra pallottole e violenze

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di Federico Piana

Ad Haiti anche portare i figli a scuola ti può costare la vita. Se ti va bene e non muori colpito dalle pallottole vaganti esplose dai gruppi armati che ogni giorno si fronteggiano per il controllo del territorio, rischi di arrivare davanti alla porta del complesso scolastico ed essere costretto, se vuoi far entrare i tuoi bambini, a pagare un riscatto a dei “signori” con al collo un mitra ed in tasca una pistola. Nessuno se ne scandalizza più, nel Paese adagiato nel Mar dei Caraibi: da quando la violenza tra gang rivali si è impadronita delle strade e ha paralizzato la politica e la società, scene come questa sono diventate la più tragica normalità.

Basta dare un’occhiata ai numeri che si riescono a recuperare da fonti ufficiali governative per farsi venire un brivido lungo la schiena: sono stati 500.000 i bambini che, fino ad ora, hanno perso le lezioni a causa della guerra mentre nella sola area metropolitana della capitale, Port-au-Prince, gli istituti scolastici chiusi per evitare che si trasformassero in bersaglio delle milizie paramilitari sono stati oltre 1.700.

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Chiedere una conferma a don Pierre Lephene è come sfondare una porta aperta. Il religioso di origine haitiana, nato e cresciuto nel comune di Fort-Liberté, quando parla con «L’Osservatore Romano» addirittura rincara la dose: «I gruppi armati hanno mantenuto un saldo controllo sulle scuole. I presidi, per garantire la sicurezza delle loro strutture, hanno dovuto pagare perfino i capibanda. Chi non ha potuto più farlo ha chiuso i battenti e la sua scuola è stata occupata dagli sfollati».

Lui che da diversi anni è direttore della comunità salesiana che anima la Fondation Vincent di Cap Haïtien — una missione d’educazione popolare fondata nel 1955 come scuola professionale per giovani in condizioni difficili e che oggi conta anche un istituto secondario, un kindergarden per bambini dai 3 ai 5 anni, una scuola professionale con un settore tecnico e un oratorio — è a conoscenza di un meccanismo orribile e perverso, ormai sotto gli occhi di tutti: «I minori che non vanno a scuola o che sono a rischio di abbandonarla vengono reclutati dalle gang che li pagano a settimana. Lo ha denunciato spesso anche l’Unicef».

Ma non sono solo le pallottole e il pizzo scolastico da pagare alle bande a privare migliaia di giovani del loro diritto all’istruzione: c’è anche l’estrema povertà in cui da sempre versa la nazione. «Solo il 68% dei figli delle tante famiglie più povere frequenta la scuola primaria contro il 92% dei figli delle poche famiglie più ricche. Inoltre, solo il 63% dei bambini di età compresa tra i 36 ed i 59 mesi frequenta un programma di istruzione prescolare. Così, il livello di apprendimento generale rimane molto basso».

Fare l’insegnate, ad Haiti, di questi tempi non è poi il più bel mestiere del mondo. Oltre a rischiare la pelle ogni giorno, maestri e professori devono fare i conti con la precarietà e le basse retribuzioni che li costringono ad avere più di un lavoro compromettendo la qualità del loro ruolo educativo. Don Pierre Lephene conosce tanti ragazzi promettenti che non si sognerebbero mai di intraprendere la carriera scolastica, almeno per ora: «Gli insegnati haitiani sono agenti del cambiamento con il potere d’influenzare positivamente la vita dei loro studenti e di contribuire allo sviluppo del Paese: per questo vanno aiutati aumentando le retribuzioni, fornendo risorse didattiche adeguate e offrendo loro una formazione professionale continua».

La crisi del sistema di istruzione haitiano ha radici lontane. Non solo è imputabile ai problemi di governance istituzionale ed amministrativa che hanno generato deboli politiche educative ma è da ricondurre anche all’estrema privatizzazione delle scuole: solo una su dieci è pubblica e quelle gestite dallo Stato, spesso, sono in pessime condizioni. Il religioso salesiano aggiunge un altro tassello: il problema dell’acculturazione: «Gli studenti sono costretti, da sempre, ad imparare il francese, una lingua che non conoscono, mentre tutti conoscono il creolo. Questa acculturazione deriva in particolare dal fatto che i primi educatori e dirigenti scolastici di Haiti erano francesi che insegnavano in francese negando il creolo. Così si è dato origine alla creolo-fobia che persiste ancora oggi. È un peccato che questa situazione ancora non sia stata sanata».

A ben guardare, le prime scuole fondate ad Haiti furono quelle messe in piedi dagli ordini religiosi francesi e da allora gli istituti cattolici sono comunque rimasti i più affidabili. Lo Stato, però, deve impegnarsi di più. Don Lephene spera che «il ministero dell’istruzione riesca a dare priorità alla costruzione delle infrastrutture necessarie per accogliere i bambini in età scolare e possa creare le condizioni per una politica di gestione della scuola pubblica adeguata alle caratteristiche specifiche di ogni area nazionale, tenendo conto di ogni singola situazione economica, sociale e culturale». Prima di tutto, però, bisognerebbe fermare la guerra.



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