Per il 2025 sia la banca centrale russa sia il Fondo monetario internazionale prevedono una crescita inferiore all’1,5%
Tra dichiarazioni di amore per i russi e di amicizia per Putin da una parte, e minacce di nuove sanzioni e dazi se la pace con l’Ucraina non arriverà presto dall’altra, nel suo post di mercoledì Donald Trump ha toccato il vero punctum dolens di Mosca: l’economia. Il presidente americano l’ha buttata lì nei consueti modi spicci – spingere per la fine della guerra significa «fare un grande favore alla Russia, la cui economia sta fallendo, e al presidente Putin», ha scritto – ma nella sostanza non ha mancato il bersaglio. Se c’è una questione che può spingere lo Zar di Mosca a dar retta all’Imperatore di Washington, è proprio la situazione economica. Che, come confermano diverse fonti anonime alla Reuters, «lo preoccupa sempre di più».
I tempi in cui i russi potevano dire (e il loro sostenitori in Occidente sbandierare) che il Paese aggressore aveva dato prova di un’enorme resilienza, sono in effetti un ricordo. Dopo la contrazione subita nel 2022 – l’anno dell’invasione su larga scala dell’Ucraina – nel 2023 e nel 2024 il Pil russo – trascinato dall’export di gas, petrolio e minerali nell’ampia fetta di mondo che non ha sanzionato Mosca – è cresciuto più velocemente di quello dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Ma per il 2025, sia la banca centrale russa sia il Fondo monetario internazionale prevedono una crescita inferiore all’1,5%. Il combinato disposto di carovita, tassi di interesse alle stelle e scarsità di manodopera sta creando una situazione in cui è praticamente impossibile individuare una via d’uscita che non abbia contraccolpi pesanti. Sullo sfondo, uno scontro feroce tra l’apparato militare-industriale e la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina, raccontato nei dettagli già due mesi fa da Federico Fubini.
Vediamo dunque le 5 sfide-chiave dell’economia russa nei prossimi mesi, 5 nodi che possono essere decisivi per spingere la superpotenza a terminare l’assalto all’Ucraina.
Inflazione quasi a due cifre
Lo scorso anno l’inflazione annua russa ha raggiunto il 9,5%, trainata dalla spesa militare e per la sicurezza nazionale – che ha raggiunto il 6,3% del Pil, un record nell’era post-sovietica, e quest’anno toccherà il 41% della spesa totale del bilancio statale -, oltre che dai sussidi statali sui prestiti e dalla crescita dei salari causata dalla carenza di manodopera. Considerando l’ultimo quindicennio, solo nel 2022, anno dell’attacco a Kiev, e nel 2014-15, gli anni dell’annessione della Crimea e della crisi economica che ne seguì, l’inflazione era stata più alta. Non sorprende che nei sondaggi i prezzi fuori controllo siano in cima alla lista delle preoccupazioni dei russi: beni come burro, uova e verdure registrano dallo scorso anno aumenti a due cifre. E la prima cifra non è neanche il 2: «Il burro costa il 30% o il 40% più che all’inizio della guerra, milioni di persone non possono più permetterselo e gli scassinatori sfondano i vetri delle latterie a notte fonda per saccheggiarlo», ha scritto Fubini. E come sempre e come ovunque, l’inflazione colpisce anzitutto i ceti deboli, per esempio con un calo delle pensioni reali dello 0,7% da gennaio a novembre 2024. La governatrice ha usato l’unica arma possibile, ma questo ha creato il secondo problema.
Aumento dei tassi di interesse
La banca centrale ha portato i tassi di interesse al 21% in ottobre: per dare l’idea, nel quarto di secolo segnato dal dominio putiniano livelli simili erano stati raggiunti solo all’inizio, quando c’era da gestire l’instabilità post-spvietica. Gli imprenditori del settore civile sono e si sentono i più danneggiati, visto che l’industria militare gode di enormi sovvenzioni. Ma le critiche alla banca centrale, e la richiesta di abbassare i tassi, sottolinea Fubini, arrivano anche da lì: uno dopo l’altro, «i grandi oligarchi dell’apparato militare-industriale attaccano Nabiullina e chiedono a Putin di riportare la banca centrale sotto il controllo del governo. In ottobre Chemezov di Rostec, il produttore dell’80% delle armi usate in Ucraina, ha dichiarato al Consiglio federale che le politiche di Nabiullina minacciano di far fallire gran parte delle imprese dell’apparato militare». Di certo, con un costo del denaro al 30% e margini di redditività che non superano il 20%, scrive la Reuters, «nella maggior parte dei settori, gli investimenti si sono fermati. I tassi elevati stanno aumentando il rischio di fallimenti aziendali, soprattutto in settori vulnerabili come quello immobiliare, che è stato colpito da misure di rallentamento dei prestiti, tra cui l’interruzione dei sussidi statali per i mutui casa».
Rallentamento della crescita
Se le stime del governo dicono che la crescita passerà dal 4% del 2024 al 2,5 quest’anno, l’Fmi si ferma invece all’1,4. La prospettiva, segnalata anche da un think tank filo-governativo come TsMAKP, è quella della stagflazione (alta inflazione combinata a stagnazione economica, l’incubo di governanti ed economisti). Il primo fattore che ostacola la crescita è la carenza di manodopera, dovuta all’arruolamento di centinaia di migliaia di giovani russi, o alla loro fuga all’estero.
Deficit di bilancio
Nel 2024 ha raggiunto l’1,7% del Pil, alla fine di un triennio che ha prosciugato di due terzi il Fondo patrimoniale nazionale del Paese, principale fonte di finanziamento del deficit. Con l’obiettivo di ridurre il deficit allo 0,5%, quest’anno il governo ha aumentato le tasse. Ma la manovra rischia di essere compromessa dal nuovo round di sanzioni americane, che colpisce ulteriormente il settore energetico e ne ridimensiona le entrate. Per questo molti osservatori ritengono inevitabile un’altra strizzata ai contribuenti.
Volatilità del rublo
Anche qui conta eccome l’impatto delle sanzioni, che intralciano il commercio russo e interrompono l’afflusso di valuta estera. Il risultato è che all’inizio dell’anno la moneta russa è scesa al livello più basso dal marzo 2022. È vero che il rublo debole aiuta a contenere il deficit, ma a medio termine contribuisce all’inflazione aumentando il costo dei beni importati. Anche quelli dalla Cina, visto che crolla perfino sullo yuan.
Insomma, sarà la morsa tra tassi e prezzi che lo stringe a spingere con ogni probabilità Putin al tavolo della pace. O a qualcosa che si spera le somigli il più possibile.
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