Gli ordini esecutivi di Trump sull’ambiente

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La linea politica seguita dal neo presidente degli Stati Uniti è chiara: l’ambiente va tutelato solo fino a quando non pregiudica lo sviluppo materiale del Paese

di Ottorino Cappelli*

I recenti ordini esecutivi emanati dall’amministrazione Trump in materia ambientale ed energetica rappresentano un punto di svolta per la politica federale degli Stati Uniti. Sei in particolare evidenziano la convergenza di valori conservatori e una forte impronta retorica pro-business.

In tutti questi documenti, il linguaggio è diretto e combattivo. Parole come unleashing, stopping, declaring, overriding e ending creano un senso di urgenza, quasi bellico: l’obiettivo è liberare l’economia da vincoli e regolamenti considerati inutilmente restrittivi. L’ambientalismo viene definito “radicale” o “oppressivo,” mentre chi ne promuove le istanze viene spesso dipinto come un lobbista fautore di un “globalist environmental agenda” che, secondo l’amministrazione, trascura le esigenze reali dei cittadini e delle imprese.

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Il cardine di questa prospettiva è la protezione dell’interesse economico americano. Nei testi degli ordini esecutivi di Trump l’occupazione e la crescita industriale si ergono a priorità imprescindibili. Qualsiasi regolamentazione ambientale che possa frenare la produzione di energia o ostacolare settori come l’agricoltura e l’estrazione di risorse viene trattata come un freno allo sviluppo. Da qui scaturisce il leitmotiv secondo cui “troppi vincoli uccidono i posti di lavoro”: un messaggio allettante per il mondo degli affari desideroso di ridurre al minimo le interferenze federali in campo ambientale.

L’Ordine “Putting people over fish” per esempio, mette in scena il contrasto tra bisogni idrici della popolazione californiana e la protezione di determinate specie ittiche. L’idea che “il popolo viene prima dei pesci” è una metafora potente: utilizza un principio antropocentrico per sostenere che l’interesse materiale di agricoltori e comunità locali supera ogni considerazione ecologica.

In “Unleashing american energy” invece, si punta sull’autonomia energetica e sulla riduzione delle normative che limitano l’uso di fonti tradizionali come petrolio e gas. Questo tema ricorre anche in “Declaring a national energy emergency” dove si evoca addirittura uno “stato d’emergenza” per giustificare misure eccezionali contro le ingerenze delle lobby ambientaliste che avrebbero “catturato” la regolamentazione burocratica.

Coerentemente, vengono abrogate una serie di provvedimenti pro-ambiente delle precedenti amminstrazioni democratiche. Una visione analoga emerge nell’ordine “Temporary withdrawal of all areas on the outer continental shelf from offshore wind Leasing” che interrompe le concessioni per l’eolico offshore e rivede l’intero processo di leasing e permessi. L’amministrazione conferma così di guardare con diffidenza a tecnologie rinnovabili, preferendo tutelare i combustibili fossili e assumendo che gli iter autorizzativi precedenti fossero troppo “indulgenti” nei confronti delle rivendicazioni ambientaliste. L’effetto pratico è quello di rallentare uno dei settori più promettenti per la transizione verde.

E lo stesso spirito si ritrova in “Unleashing Alaska’s extraordinary resource potential” dove il ritorno alla trivellazione è presentato come fondamentale per la sovranità energetica, con un beneficio in termini di posti di lavoro e di sviluppo industriale.

Infine, ma forse più importante, nell’ordine esecutivo “Putting America first in international environmental agreements” viene rimarcata la volontà di non aderire a quadri internazionali che vincolino la libertà d’azione statunitense. Il nazionalismo energetico emerge con forza, giustificando la nuova uscita dall’Accordo di Parigi sul clima che l’amministrazione giudica dannoso per la competitività delle imprese americane.

Dal punto di vista dello stile del discorso politico, un altro elemento comune a questi ordini esecutivi è la retorica “noi contro loro.” Da un lato, i lavoratori, le famiglie e le imprese americane che, nel racconto ufficiale, desiderano solo produrre, esportare e crescere; dall’altro, un insieme di élite progressiste, gruppi ambientalisti e normative internazionali accusati di frenare o addirittura ostacolare questa missione. Questa polarizzazione si appoggia a un linguaggio che definisce dispregiativamente “radical” ogni istanza di protezione del clima o di conservazione ambientale. Così, la tutela degli ecosistemi viene presentata come un ostacolo, mentre la deregulation acquista una valenza quasi eroica.

L’impianto ideologico di questi documenti mostra dunque un conservatorismo orientato al libero mercato e alla difesa della sovranità energetica. Il cambiamento climatico o la crisi ecologica non hanno diritto di cittadinanza: ciò che conta è preservare la libertà d’azione degli Stati Uniti di fronte a vincoli ritenuti ingiusti o dannosi per lo sviluppo.

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Questo approccio rispecchia un modello di crescita centrato sui combustibili fossili, all’insegna di un nazionalismo economico che vede nelle risorse interne – e nella riduzione delle barriere regolamentari – la chiave per mantenere la supremazia industriale.

In definitiva, i cinque ordini esecutivi lanciano un messaggio chiaro: l’ambiente va tutelato solo fino a quando non pregiudica lo sviluppo materiale del Paese. L’amministrazione Trump si mostra decisa nel portare avanti una visione al tempo stesso pro-business e nazionalista: liberare l’America dai presunti eccessi dell’ambientalismo serve a rimarcare, all’estero, la propria ‘sovranità’ e a riaffermare, all’interno, il comando politico delle forze economiche. È una posizione che incontra il favore dei maggiori settori industriali e di parte dell’opinione pubblica preoccupata per l’occupazione. D’altro canto, solleva quesiti politici fondamentali sulla sostenibilità a lungo termine di questo modello e sulle possibili conseguenze per le politiche climatiche globali. E per la “Politica” tout-court.

*L’autore insegna Politica comparata nell’Università di Napoli L’Orientale

Leggi anche: Trump presidente. Gli Usa sono fuori dagli Accordi di Parigi

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Gli ordini esecutivi di Trump sull’ambiente: nazionalismo energetico, deregulation e supremazia industriale

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La linea politica seguita dal neo presidente degli Stati Uniti è chiara: l’ambiente va tutelato solo fino a quando non pregiudica lo sviluppo materiale del Paese

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Ottorino Cappelli

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