Minacciando dazi punitivi il presidente americano Donald Trump vuole che la Cina produca di più negli Stati Uniti, che l’Europa compri il “made in Usa” e che il Messico combatta l’immigrazione e il traffico di droga.
(Keystone-ATS) Lo sostiene Edmund Shing, responsabile della strategia di investimento di BNP Paribas Wealth Management. A suo avviso l’impatto sull’inflazione rimarrà limitato.
Per quanto riguarda l’Europa, Trump intende ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti facendo sì che gli europei acquistino più armi e gas statunitensi, spiega l’esperto a Le Temps. Il primo punto spiegherebbe perché il 78enne abbia costantemente chiesto ai membri della NATO di spendere almeno il 2% del loro prodotto interno lordo per la difesa, “ponendo addirittura la condizione di continuare a essere protetti in parte dagli Stati Uniti”. Il secondo elemento soddisferebbe il fabbisogno di gas dell’Europa, tenendo conto che a medio e lungo termine i giacimenti di gas della Norvegia cominceranno a svuotarsi. Allo stesso tempo, gli americani hanno investito massicciamente in terminali di gas naturale liquefatto (GNL), in modo da poter aumentare il numero di navi cisterna, mentre anche in Europa sono stati fatti notevoli investimenti per ricevere questo GNL, in particolare in Germania. Lo specialista prevede che i volumi acquistati negli Usa, già in aumento, crescano ancora, poiché non è da aspettarsi che il gas russo torni presto nel Vecchio Continente.
Anche la Cina è minacciata dalle barriere doganali. “Ma Trump potrebbe accettare di ridurre le tariffe sui beni prodotti in parte in Cina ma finiti negli Stati Uniti, il che comporterebbe l’insediamento di impianti di produzione cinesi negli Stati Uniti e sosterrebbe l’occupazione”, sostiene Shing. Così facendo Washington otterrebbe un doppio effetto: le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti verrebbero in qualche modo limitate, mentre allo stesso tempo verrebbero sostenuti la crescita e l’impiego negli Stati Uniti.
Il presidente americano ha chiarito le sue intenzioni ieri durante il suo intervento a distanza al Forum economico mondiale (WEF) di Davos. “Il mio messaggio a tutte le aziende del mondo è semplice: venite a produrre i vostri prodotti in America e beneficerete di tasse tra le più basse al mondo. Ma se non li producete negli Stati Uniti, come è vostro diritto, allora, molto semplicemente, dovrete pagare dei dazi”. Come noto Trump ha minacciato imposizioni dal 20% al 60%: ma a partire dal primo febbraio, e non dal primo giorno del suo mandato, come aveva minacciato di fare in precedenza, uno slittamento volto a guadagnare tempo per negoziare.
Con il Messico, l’obiettivo sarebbe che le autorità del vicino meridionale “controllino più strettamente il confine con gli Stati Uniti, al fine di ridurre il tasso di immigrazione illegale”, osserva il professionista degli investimenti. I 10’000 soldati che la nuova amministrazione vuole inviare al confine sud potrebbero infatti non essere sufficienti ad arginare l’immigrazione.
Un aumento massiccio dei dazi “penalizzerebbe però profondamente le numerose aziende americane con sede in Messico, in particolare i fabbricanti di automobili”. Secondo il Dipartimento del commercio statunitense, l’anno scorso gli Stati Uniti hanno importato 2,7 milioni di veicoli “made in Mexico”, per un valore di 87 miliardi di dollari, e altri 64 miliardi di dollari di pezzi di ricambio tra gennaio e novembre 2024.
Trump potrebbe anche volere che l’esercito statunitense intervenga contro i cartelli della droga messicani, che il presidente ha classificato come organizzazioni terroristiche in un ordine esecutivo pubblicato lunedì, aggiunge Shing. Un’operazione del genere richiederebbe l’approvazione del governo messicano e consentirebbe anche di contrastare l’arrivo del fentanyl, un oppioide prodotto in Cina che sta causando una crisi sanitaria senza precedenti negli Stati Uniti e che transita attraverso il Messico.
Sempre stando all’esperto interpellato da Le Temps i dazi dovrebbero avere un impatto limitato sull’inflazione, poiché probabilmente aumenteranno gradualmente e non tanto quanto annunciato. In attesa di conoscere i dettagli della politica di Trump in questo settore, resta inoltre una realtà elettorale: “L’inflazione è la principale preoccupazione degli americani e se non sarà tenuta sotto controllo dalla nuova amministrazione, i repubblicani potrebbero perdere la loro risicata maggioranza alla Camera dei Rappresentanti nelle elezioni di medio termine del 2026, il che complicherebbe in modo massiccio il resto del mandato di Trump”, conclude Shing.
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