L’insonnia può essere causa ed effetto di alcune malattie mentali, come ansia, depressione e disturbo bipolare. Poiché condividono meccanismi patogenetici simili, in alcuni casi è possibile contrastarli con un’unica strategia terapeutica o anche con un unico farmaco antagonista in grado di agire sull’orexina (daridorexant), uno dei principali neurotrasmettitori che agisce sul sonno, bloccando la sua attività sui due recettori più importanti. Tuttavia, l’aggiunta di un antagonista a un trattamento in corso, o lo ‘switch’ da un altro farmaco, può avere delle conseguenze, e per questo i cambiamenti terapeutici devono essere graduali e seguire specifici accorgimenti. Questo è il motivo per cui la Società Italiana di Nuro Psico Farmacologia (Sinpf) si è fatta promotrice di una importante iniziativa volta alla creazione del primo documento di consensus sull’argomento in Italia ed Europa che punta ad aiutare il clinico nella pratica quotidiana.
Indicazioni per ridurre, modificare e cambiare i farmaci per l’insonnia
Il lavoro preliminare, presentato in occasione del XXVI congresso nazionale della Sinpf, in corso a Milano, si basa sui dati più aggiornati della letteratura e fornisce delle indicazioni importanti su come ridurre, modificare e cambiare i farmaci per l’insonnia quando si renda necessario. Il paper è in corso di pubblicazione sulla rivista Sleep Medicine. “Si definisce insonnia l’insoddisfazione per la quantità o la qualità del sonno, associata alla difficoltà nell’iniziare e mantenere il sonno da almeno 3 mesi”, spiega Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf. “Questo risulta pertanto perturbato da frequenti risvegli o da problemi di riaddormentamento dopo i risvegli, con un conseguente impatto – aggiunge – sulle ore diurne: sonnolenza, iperattività e un generale peggioramento della qualità della vita sono le conseguenze più evidenti”.
L’insonnia si presenta spesso insieme ad altri disturbi psichiatrici
“Oltre un terzo della popolazione mondiale – continua Mencacci – è colpita da insonnia e/o da disturbi del sonno, il 20% in Italia, in molti casi in forma cronica: sintomi persistenti nell’80% dei casi dopo 1 anno dalla diagnosi e nel 60% dei casi a 5 anni”. Le “notti bianche” possono essere ulteriormente aggravate dalla copresenza di possibili disturbi psichiatrici o psicoemotivi, in prevalenza depressione e ansia. “Molti disturbi del sonno, in particolare l’insonnia, si presentano frequentemente in comorbilità con ansia, depressione e disturbo bipolare, instaurando una relazione bidirezionale che amplifica la sofferenza del paziente”, dichiara Matteo Balestrieri, già Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della SINPF.
Interventi terapeutici mirati possono influenzare la prognosi dei disturbi mentali
“L’insonnia non è solo un sintomo ma può anche agire come un precursore o fattore scatenante di disturbi psichiatrici”, sottolinea Balestrieri. “Studi clinici – prosegue – hanno evidenziato che l’insorgenza di insonnia aumenta significativamente il rischio di sviluppare, nel breve termine, condizioni come depressione maggiore o disturbi d’ansia. Questo la rende un fattore predittivo e perciò importante campanello d’allarme in ambito clinico”. Per questo tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia modifiche dello stile di vita e interventi farmacologici mirati (i DORA, le BDZ e le Z-drugs) possono non solo migliorare la qualità del sonno ma anche influenzare positivamente l’andamento e la prognosi dei disturbi mentali associati.
L’uso di un regolatore dell’orexina può avere benefici ampi
“Integrare il trattamento dei disturbi del sonno nei piani terapeutici di pazienti con disturbi psichiatrici può quindi offrire un beneficio bidirezionale, migliorando il benessere complessivo e riducendo il rischio di ricadute o cronicizzazione della malattia mentale”, sottolineano Mencacci e Balestrieri. Di recente le linee guida europee hanno suggerito come farmaco di prima scelta un antagonista in grado di agire sull’orexina: il daridorexant. “Il trattamento dell’insonnia con un farmaco regolatore dell’orexina potrebbe avere un ruolo importante anche in psicopatologia”, afferma Laura Palagini, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’AUO di Pisa. “Per questo sono stati condotti alcuni studi naturalistici in pazienti con disturbi d’ansia, depressivi bipolari e unipolari, e in pazienti con disturbo da uso di ipnotici-sedativi che hanno dimostrato che l’uso di daridorexant può migliorare non solo i sintomi di insonnia ma anche d’ansia e dell’umore permettendo la riduzione dei farmaci ipnotico sedativi”, aggiunge.
Una guida per combinare i trattamenti
Poiché l’insonnia ha un andamento cronico, per gli esperti si è posto il problema nella pratica clinica di come lasciare un precedente trattamento, oppure di come fare lo ‘switch’ tra una terapia e l’altra, o, infine, come combinare i farmaci attualmente consigliati per il trattamento dell’insonnia. “La sospensione di farmaci ipnotico-sedativi richiede specifici accorgimenti – spiega Palagini – e una riduzione graduale in associazione con terapie cognitive (CBT_I), con altre recenti terapie farmacologiche (farmaci come i DORA, o gli agonisti della melatonina o i modulatori del gaba). Questo può aiutare il clinico e il paziente nei processi di cura e regolarizzazione di un buon sonno”. Servono dunque indicazioni chiare e puntuali. “Questo è esattamente quello che intende fornire il nuovo documento di consensus – concludono i presidenti Mencacci e Balestrieri – e cioè una guida utile per gli specialisti con l’obiettivo di aiutare i pazienti a ottenere benefici di efficacia e sicurezza contro l’insonnia e le altre patologie psichiatriche collegate o concomitanti”.
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