Agonisti Glp-1, neuropsicofarmacologi: “Gli studi escludono nessi con pensieri suicidari”

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 


Roma, 24 gennaio – Le evidenze scientifiche non confermano a oggi l’esistenza di un nesso di causalità tra i nuovi farmaci anti-diabete e obesità (agonisti del recettore Glp-1), come semaglutide, liraglutide e dulaglutide, e l’insorgenza di pensieri suicidi.

La sintesi di quanto emerge dalla ricerca sui questi farmaci arriva dal XXVI congresso nazionale della Sinpf, la Società di Neuro psico-farmacologia (Sinpf) che si chiude propri oggia Milano dopo tre intensi giorni di lavoro, dedicati al tema Orizzonti della Neuropsicofarmacologia nell’era dell’intelligenza artificiale: dal genoma alla clinica.

I farmaci anti-diabete dimagranti, da mesi sotto i riflettori, sono stati e sono oggetto di un’infinità di studi e ricerche. Dai quali, almeno finora, non sono emerse evidenze che leghino l’impiego di questi medicinali con l’insogenza di pensieri suicidi, Per contro, dall’ormai doviziosa letteratura su Semaglutide&Co  spuntano lavori che suggeriscono la possibilità di estendere le applicazioni di questi medicinali contro alcune patologie neuropsichiatriche, come i disturbi dell’alimentazione, la depressione, le dipendenze e l’Alzheimer.

Contabilità

Buste paga

 

“Si tratta di composti simili a ormoni naturalmente presenti nel nostro organismo, detti agonisti o analoghi del glucagon like peptide 1 (Glp-1), per i quali sono disponibili evidenze crescenti in termini di efficacia, oltre che per il trattamento del diabete e dell’obesità, anche per altre patologie neuropsichiatriche” spiega Bernardo Maria Dell’Osso (nella foto), professore di Psichiatria all’università di Milano e direttore del Dipartimento salute mentale e dipendenze dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano. “La ricerca ha evidenziato infatti una serie di effetti di particolare interesse a livello del sistema nervoso centrale, con implicazioni nell’area della salute mentale potenzialmente non inferiori a quelli visti in endocrinologia. Sempre più numerosi report nel trattamento dei disturbi depressivi, neuro-cognitivi e del comportamento alimentare, solo per menzionarne alcuni, portano la comunità scientifica ad interessarsi in misura crescente ai trial che stanno testando l’uso dei Glp-1 agonisti nella terapia di alcuni disturbi psichiatrici”.

“I timori iniziali circa gli effetti collaterali stanno iniziando a essere progressivamente sostituiti da nuove speranze” aggiunge al riguardo Claudio Mencacci (nella foto), direttore emerito di Psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf.

Fra gli studi che aprono nuovi possibili scenari, gli esperti della Sinpf ne citano uno del National Institute on Drug Abuse (Nida) americano, pubblicato recentemente su Nature Medicine, che ha dimostrato come le persone che assumono semaglutide – e non hanno una storia pregressa di ideazione suicidaria – sembrano avere fino a 4 volte di probabilità in meno di avere pensieri suicidari. Mentre nei pazienti con una storia di ideazione suicidaria che assumono semaglutide, risulta un rischio dimezzato.

Ma si sta anche “studiando la possibilità di utilizzare i Glp-1 anche nel trattamento del binge eating disorder, il disturbo da alimentazione incontrollata” informa Matteo Balestrieri (nella foto), già ordinario di Psichiatria all’università di Udine e co-presidente Sinpf. “Le prime ricerche suggeriscono che i Glp-1 possono fornire un nuovo approccio farmacologico, agendo sulle vie di segnalazione della sazietà e della ricompensa alimentare coinvolte nell’ingestione di grandi quantità di cibo. Piccoli studi pilota e case report indicano riduzioni promettenti della frequenza delle abbuffate”, per esempio. I primi risultati “sono incoraggianti ma la fattibilità dei Glp-1 come nuova direzione terapeutica per il binge eating disorder non può essere confermata senza ulteriori ricerche cliniche di alta qualità”.

Un altro studio, pubblicato da Epic Research, ipotizza un possibile ruolo di semaglutide per  ridurre le probabilità di soffrire di ansia o depressione: nel lavoro in questione, i pazienti non diabetici che lo assumevano avevano il 37% in meno di probabilità di ricevere una diagnosi di depressione, mentre i pazienti diabetici che assumevano il farmaco avevano un rischio ridotto del 45%. La differenza più significativa nell’incidenza dell’ansia è stata notata tra i pazienti diabetici che assumevano tirzepatide, altro farmaco Glp-1, collegato a una riduzione del 60% del rischio di ansia. “I dati di questo studio suggeriscono che i farmaci Glp-1 potrebbero avere un effetto positivo sulla salute mentale”  analizza Mencacci. “Tuttavia, non identificano una chiara relazione causale tra l’uso di questi farmaci e una riduzione dell’incidenza di ansia e depressione. Sono necessarie ulteriori informazioni per valutare i fattori che contribuiscono a queste correlazioni”.

Altro campo di esplorazione, quello delle dipendenze: uno studio della Case Western Reserve University School of Medicine (Cleveland, Ohio), pubblicato su Nature Communications, rileva che i pazienti obesi che assumono semaglutide hanno un rischio ridotto di sviluppare disturbi da abuso di alcol. I ricercatori hanno replicato lo studio anche su pazienti con diabete di tipo 2 e hanno trovato risultati simili.

Un altro lavoro della stessa università, pubblicato su Jama Network Open, ha invece dimostrato che semaglutide sembra ridurre il rischio di overdose da oppioidi. Ancora preliminari sono i dati circa il legame dei farmaci Glp-1 con l’Alzheimer: in uno studio pubblicato a ottobre scorso sulla rivista Alzheimer’s & Dementia, sempre i ricercatori della Case Western Reserve University, hanno analizzato le cartelle cliniche di oltre un milione di persone affette da diabete di tipo 2, considerato un fattore di rischio per l’Alzheimer, e hanno scoperto che coloro a cui era stato prescritto solo semaglutide avevano un rischio inferiore del 67% di sviluppare la malattia durante un follow-up di tre anni rispetto a chi assumeva solo insulina. Andranno ora approfonditi i meccanismi alla base di queste osservazioni.



Source link

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link