Vittime delle mafie in Senato per chiedere il diritto alla verità

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Diritto alla verità e vittime innocenti di mafia. Tra memoria e diritti mancati” è il seminario che si è tenuto ieri in Senato per discutere di sostegno alle famiglie danneggiate dalla violenza mafiosa. La storica Moroni: “Sappiamo tantissimo su mafie e terrorismo”, ma nel nostro paese si parla di “mistero”, anche quando si tratta in realtà di “segreti, omissioni e falsificazioni”

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Redazione
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23 gennaio 2025

 “Siamo qui ancora una volta insieme a chiedere diritti, non benefici o favori”. Ha parlato con chiarezza don Luigi Ciotti, mercoledì pomeriggio nella sala Zuccari del Senato, intervenendo al convegno “Diritto alla verità e vittime innocenti di mafia. Tra memoria e diritti mancati“, voluto e organizzato da Enza Rando, già vicepresidente di Libera e ora senatrice del Pd. Un momento per rilanciare la battaglia per il diritto alla verità, che “dovrebbe essere sancito dalla Costituzione”, ha affermato Rando: “Dopo il riconoscimento della tutela delle vittime, che ha visto il primo voto del Senato proprio nei giorni scorsi, bisogna colmare i diritti negati dei familiari”.

Familiari delle vittime di mafia: “Diritti, non benefici”

Paletti rigidi ai diritti dei parenti delle vittime di mafia

Diritti negati, a volte, per dei paletti rigidi nelle norme. Li ha ricordati Daniela Marcone, referente nazionale di Libera per l’area Memoria: “La parola ‘benefici’ porta con sé un significato ambiguo, come se fosse una concessione”, ha ricordato. Tra i limiti, ci sono dei parametri temporali che bloccano i sostegni ad alcuni familiari delle vittime: “Le leggi italiane prevedono che soltanto gli omicidi avvenuti dopo il gennaio 1961 possano essere riconosciuti come delitti di mafia. Questo limite deve cadere”, ha affermato ricordando, ad esempio, gli omicidi dei sindacalisti che si battevano per i diritti dei braccianti contro i mafiosi, avvenuti prima del 1961 e quindi non riconosciuti dallo Stato come vittime delle mafie.

C’è poi il requisito del quarto grado di parentela, cioè quello che esclude i “benefici” a chi sia “parente o affine entro il quarto grado” di persone sottoposte a misure di prevenzione (sorveglianza speciale, sequestri e confische) o coinvolte in procedimenti per reati gravi, come quelli di mafia. “Dentro il decreto legge Sicurezza abbiamo inserito – e speriamo che passi – la revisione del principio del quarto grado a fronte di una sentenza della Corte costituzionale”, ha ricordato la senatrice Rando. La proposta – approvata dalla Camera e ora al vaglio del Senato – prevede che il requisito non si applichi chi non ha mai avuto frequentazioni o a chi le abbia troncate definitivamente. “Come fa Angelica Pirtoli, morta a due anni sbattuta contro il muro a non essere vittima di mafia perché sua madre aveva un rapporto sentimentale con un boss? Aveva due anni”, ha chiesto pubblicamente Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Riconoscere le vittime dei reati nella Costituzione

Vittime delle mafie come quelle del terrorismo

“Dobbiamo tirare una linea netta: quale è il legame tra terrorismo e mafia? Che entrambi hanno fatto la guerra allo Stato, hanno ammazzato innocenti e lacerato la nostra nazione”Chiara Colosimo – Presidente commissione parlamentare antimafia

Esistono ancora altri ostacoli ai diritti dei familiari delle vittime e dei sopravvissuti. “Siccome sono considerati benefici e non diritti, le richieste sono soggette a prescrizioni e decadenze” e spesso, per ottenerli, bisogna “intraprendere un procedimento giudiziario ulteriore” che è “una grande fatica e vale solo per la persona che ricorre, anche se fa giurisprudenza”, ha aggiunto Marcone. Le assunzione dei familiari di vittime in posti pubblici per chiamata diretta “non avvengono più”. Fratelli e sorelle di chi è caduto per mano mafiosa, a differenza di genitori e figli, non ricevono il sostegno dallo Stato, “un’attenzione che invece c’è nella legge siciliana”.

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Daniela Marcone sprona anche all’equiparazione tra vittime delle mafie con quelle del terrorismo e del dovere, a cui sono riconosciuti alcuni diritti in più. “Dobbiamo tirare una linea netta: quale è il legame tra terrorismo e mafia? Che entrambi hanno fatto la guerra allo Stato, hanno ammazzato innocenti e lacerato la nostra nazione”, ha affermato la presidente dell’Antimafia Colosimo nel suo intervento. “Non ci siamo mai dimenticati delle vittime del terrorismo e del dovere – ha aggiunto don Luigi Ciotti nel suo intervento –. Non ci possono essere requisiti, modalità e interventi di serie A e di serie B, l’equiparazione è necessaria. Camera e Senato ascoltate: hanno perso tutti la vita per la nostra libertà, per il paese e il bene di tutti”.

Il diritto alla verità

“Esiste un diritto autonomo alla verità? Noi pensiamo di sì”, ha aggiunto la referente del settore Memoria di Libera, ricordando come molte famiglie conoscano soltanto una verità parziale, e alcune per nulla. “Dobbiamo fare il possibile affinché il diritto alla verità acquisti il giusto peso nel paese, per contribuire a non perpetuare l’impunità e rafforzare la democrazia – ha spronato Ciotti – L’80 per cento dei familiari delle vittime non conosce la verità: vi pare possibile? Eppure le verità passeggiano per le vie delle nostre città”. 

Dopo l’introduzione di strumenti di giustizia riparativa nell’ordinamento italiano, Libera vorrebbe che si guardasse a questa modalità “dalla parte delle vittime”, ha detto ancora Marcone: “Abbiamo chiesto alle persone che cosa possa riparare il dolore subito, e molte risposte attengono alla verità, al conoscere la verità. Stiamo pensando a una proposta che possa tradursi in disegno di legge”.

“Il diritto vivente italiano ha contribuito a segnare dei punti cardinali sul diritto alla verità, come la sentenza Ustica o la sentenza Agostino sul risarcimento dei danni dei congiunti di una vittima che lamentavano nei confronti di alcuni soggetti di aver impedito l’accertamento della verità”, ha aggiunto Giovanni Roberto Conti, magistrato della Corte di Cassazione. “Serve una consacrazione normativa del diritto alla verità” perché non basta sia riconosciuto, “ma è necessario che sia protetto e garantito”. Ci sarebbe però un problema: a chi spetta il dovere di tutelarlo? “A volte la giustizia non riesce a ‘realizzare’ la verità”, ha aggiunto il magistrato. Si “rischia di delegittimare chi ha il ruolo nel sistema di ricercare la verità, cioè la giurisdizione”. Per questa ragione sono importanti “gli altri costruttori di verità: associazioni, giornalisti, pubblici ministeri, avvocati delle vittime…”.

Un collaboratore di giustizia è un “potentissimo strumento di conoscenza delle associazioni criminali e viene da quei criminali che hanno vissuto all’interno le dinamiche”Franca Imbergamo – Magistrato Dnaa

“Comprendo le difficoltà di chi dice che non occorre cristallizzare in una norma ad hoc il diritto alla verità, perché quel diritto è il filo rosso che lega tutte le leggi della Costituzione”, ha affermato Franca Imbergamo, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, aggiungendo però che potrebbe essere utile per il lavoro dei pubblici ministeri – che “perseguono con grande difficoltà la ricostruzione di fatti storici” come le stragi – “avere la disponibilità di una sponda alta, un alto diritto inalienabile”. Oltre a questo aspetto, Imbergamo ha voluto focalizzarsi sull’importanza che possono avere nella ricerca delle verità il trattamento penitenziario e i percorsi di collaborazione con la giustizia, un tema delicato per molte famiglie delle vittime: “Siamo riusciti a sconfiggere bande criminali e famiglie mafiose anche con l’aiuto delle collaborazioni di giustizia, anche con una normativa che aveva previsto che alcuni soggetti all’interno del carcere avessero un trattamento penitenziario diverso a seconda della loro volontà di collaborare o meno con la giustizia”. Un collaboratore di giustizia, un pentito, è un “potentissimo strumento di conoscenza delle associazioni criminali e viene da quei criminali che hanno vissuto all’interno le dinamiche”.
Per questo parlare di benefici penitenziari (permessi premio, libertà condizionata…) legati alla collaborazione deve essere visto come un utile strumento nel percorso per la verità. “Legare la possibilità di ottenere determinati benefici penitenziari, solo se il condannato aiuta questo percorso di verità e giustizia non mi sembra impossibile da sostenere – ha spiegato ricordando che – quando la Corte costituzionale ha giustamente limitato il cosiddetto ergastolo ostativo e ha invitato il legislatore a modificare quella normativa ha però sottolineato la necessità che i benefici penitenziari venissero subordinati all’accertamento (…) di un percorso di rieducazione”. Ma per farlo, servono mezzi adeguati ai controlli.

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“C’è una cultura del mistero nel nostro paese, ma noi sappiamo tantissimo su mafie e terrorismo nel nostro paese”Ilaria Moroni – Rete degli archivi per non dimenticare

La storica Ilaria Moroni, della Rete degli archivi per non dimenticare, ha spiegato la difficoltà delle declassificazioni dei documenti dello Stato, nonostante le direttive dei governi Prodi, Renzi e Draghi: “Abbiamo un problema di trasparenza, un evidente problema di tenuta democratica legata alla trasparenza delle amministrazioni del nostro paese. Abbiamo vissuto con depistaggi costanti, e solo nel 2016 è arrivata una legge”. Ha ricordato che “c’è una cultura del mistero nel nostro paese, ma noi sappiamo tantissimo su mafie e terrorismo nel nostro paese”, ed è dovuta ai depistaggi avvenuti. “Ci sono tanti segreti, omissioni e falsificazioni”. Ma ci sono anche documenti che mancano: “Pensiamo ai sindacalisti uccisi dalla mafia in Sicilia: non ci sono neanche i verbali e le autopsie, sono storie cancellate, vittime del nulla, cittadini uccisi di cui nessuno si fa carico. Dobbiamo farci carico di questa storia perché più il tempo passa, più si sfilacciano le cose. Dobbiamo farci portatori di verità e giustizia”.

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