Roma Capitale vuole valorizzare (anche vendendolo) il suo patrimonio disponibile

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Una ricognizione totale del patrimonio disponibile, tra case negozi e pertinenze, per procedere poi alla sua valorizzazione. L’obiettivo di Roma Capitale, e nello specifico dell’assessore Tobia Zevi, è chiaro: mettere fine a una malagestione (come detto dallo stesso Zevi) degli immobili di proprietà pubblica, senza però lasciarsi prendere dal “demone” della dismissione. C’è chi, però, teme che il risultato possa essere lo stesso deleterio per il settore sociale. 

Il nuovo regolamento sul patrimonio di Roma Capitale

La delibera in questione introduce un nuovo regolamento per la gestione del patrimonio disponibile. In base ai numeri resi pubblici dall’assessore Zevi, si tratta di circa 1.500 immobili: un terzo appartamenti, un terzo negozi, un terzo pertinenze tra cantine e garage. Nel testo si spiega che lo scopo primario è quello di valutare la permanenza di realtà sociali e singole famiglie (spesso ormai senza contratto), ma non si disdegna l’affitto sul mercato libero e la vendita ai privati, quindi al miglior offerente. 

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Le critiche di associazioni e sindacati a Zevi

Le associazioni di inquilini e i sindacati, però, storcono il naso. E annunciano un muro, qualora non si mettesse mano al documento discusso ultimamente in commissione Patrimonio. Sunia, Sicet, Uniat, Unione Inquilini e FederCasa hanno firmato un comunicato che lascia poco spazio alle interpretazioni: “Inaccettabile l’adozione di qualunque procedura di vendita della componente residenziale – dicono – e dove si svolgono funzioni di utilità sociale, o di procedure di affitto applicando canoni a valori di mercato. Vista la ormai pluridecennale mancata gestione amministrativa e manutentiva del  patrimonio disponibile, si rende necessario un accurato censimento dello stato  occupazionale degli immobili per andare a determinare puntualmente le condizioni di regolarizzazione”.

Una posizione espressa anche dalla rete Caio del IX municipio, che negli ultimi due anni e mezzo ha concentrato le sue battaglie soprattutto sul campo del patrimonio indisponibile (per lo più palestre date in concessione negli anni ’90 e oggi occupate senza titolo, e con pendenze economiche importanti), e dal sindacato Asia Usb. Posizione in parte condivisa, però, anche da chi è nella stessa squadra di Zevi, in particolare dal consigliere Yuri Trombetti del Pd, presidente della commissione Casa e Patrimonio.

Il consigliere Pd apre alle modifiche

“Voglio rassicurare i sindacati e tutti i soggetti coinvolti – ha fatto sapere – che le loro preoccupazioni sulla nuova delibera che regolamenta l’utilizzo del patrimonio ‘non Erp’ di Roma Capitale sono state recepite e sono in larga parte condivisibili. Condividiamo l’importanza di tutelare la funzione sociale del patrimonio disponibile di Roma Capitale, soprattutto in un momento di grave crisi abitativa come quello attuale. Proprio per questo, abbiamo avviato un confronto costruttivo per analizzare le criticità evidenziate e apportare le modifiche necessarie alla delibera in discussione. Il nostro obiettivo è garantire che il patrimonio disponibile non perda la sua finalità sociale e che possa continuare a rispondere alle esigenze dei cittadini. Il confronto con le parti sociali è per noi fondamentale e rimaniamo aperti al dialogo per costruire insieme una soluzione condivisa che favorisca inclusione e rigenerazione urbana”.

La “resistenza” dell’assessore Zevi

Non si sa quanto sia d’accordo invece lo stesso Tobia Zevi. Che ha fretta di vedere approvata la delibera e ha respinto, in commissione, gran parte delle critiche arrivate: “Innanzitutto non credo sia il caso di mettere in mezzo la questione abitativa – ha detto – perché stiamo parlando di circa 500 case, quasi tutte occupate. Non mischierei a questo il discorso dei 18mila in graduatoria Erp o di chi vive in strada. Il testo che stiamo discutendo dà un indirizzo chiaro e mette in primo piano l’interesse pubblico: se esiste un negozio nel quale riteniamo sia più importante aprire una classe di italiano per stranieri, la delibera prevede che è questo interesse a prevalere”. 

A Roma ci sono 1.500 immobili di proprietà del Comune considerati patrimonio disponibile: 500 case, 500 negozi e 500 tra cantine e garage

Respinte dall’assessore anche le accuse di voler vendere ai privati: “Per decenni si è svenduto per fare cassa – ricorda – noi diciamo basta, perché il patrimonio pubblico è un valore fondamentale per i cittadini. Però, se per una casa dobbiamo spendere 150mila euro di ristrutturazione, è normale considerare che forse non conviene farlo. C’è fame di casa, noi vogliamo affittarle, è la priorità. E bisogna insieme portare a termine un difficile lavoro di negoziazione per costruire un contratto che tenga conto delle ragioni sociali di chi sta dentro queste case. Tenendo conto dell’Isee del nucleo, delle condizioni dell’immobile e della zona in cui si trova”.

“Facciamo in fretta, ci sono situazioni urgenti da risolvere”

Infine, un messaggio chiaro, che però potrebbe costituire un punto di scontro anche con una parte della maggioranza in Campidoglio: “Lavoriamoci bene – conclude l’assessore – cerchiamo di limare gli aspetti più urgenti, ma consideriamo che il documento deve essere approvato in tempi brevi, per motivi prettamente gestionali. Ci sono situazioni che vanno affrontate, penso per esempio alle case di via del Colosseo vuote e chiuse, che sono un cazzotto nell’occhio. Si appianino le divergenze, perché da questa delibera dipende anche la gestione del patrimonio indisponibile e la proroga dei termini per la custodia di quei beni”.  



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