Ora trema l’export pugliese: «Impensabili altri mercati»

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Francesco Divella, vicepresidente Confindustria Bari-Bat con delega all’internazionalizzazione, il neo insediato presidente degli Usa Donald Trump ha annunciato la volontà di imporre una serie di dazi che potrebbero determinare un calo per l’export italiano stimato in più di 11 miliardi. A essere maggiormente esposte sarebbero le piccole e medie imprese, in base all’allarme lanciato dalla Banca d’Italia. Confindustria Bari e Bat è preoccupata?

«Il mondo delle imprese, grandi e piccole, guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Trump, che ha annunciato, l’intenzione di introdurre dazi del 10 o 20% sui beni importati dalla Ue. Secondo analisi autorevoli l’applicazione di dazi del 10% abbasserebbe il Pil italiano dello 0,23%. Questo significa che, considerata la attuale crescita stentata del nostro Paese, una ulteriore riduzione del Pil è preoccupante. Eventuali dazi di ritorsione da parte della Ue verso gli Usa peggiorerebbero ulteriormente la situazione, perché aumenterebbero l’inflazione e deprimerebbero i consumi già deboli. Questo è uno scenario assolutamente da evitare».

Le regioni più esposte sono Lombardia (20,5% del totale nazionale), Emilia-Romagna (16,3%), Toscana (15,6%), Veneto (10,9%), Piemonte (7,9%) e Lazio con (5,1%): dunque la Puglia non sembra correre grandi rischi. Paradossalmente può essere una notizia rassicurante?

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«Non è propriamente una notizia rassicurante. È vero che le regioni più internazionalizzate del nostro Paese sono quelle più esposte alle turbolenze internazionali e per questo potrebbero risentire di più di una politica protezionistica rispetto alla Puglia, che attualmente incide sull’export italiano solo per il 2% circa, con un ruolo trainante dell’area metropolitana di Bari. Ma è vero anche che nel quadro dell’export regionale, gli Stati Uniti hanno un peso considerevole. Infatti sono il secondo mercato dei nostri prodotti, dopo la Germania. Comunque il nostro export regionale nei primi 9 mesi del 2024, ha dimostrato una buona tenuta, segnando solo un – 0,8% rispetto del Mezzogiorno (-1,8%), né ci mancano ulteriori potenzialità di crescita, che secondo l’Ice si aggirano intorno ai 4,8 miliardi».

Qual è il giro di export delle imprese pugliesi verso gli Stati Uniti e quali settori potrebbero risentirne maggiormente?

«Secondo Sace nel 2023 la Puglia ha esportato nel mondo beni per un valore di 10,1 miliardi. Di questi 10 miliardi il 16,64% si è diretto in Germania e ben il 9,3% si è diretto verso gli Stati Uniti. Se consideriamo i settori industriali più coinvolti, vediamo che le produzioni dell’economia pugliese che maggiormente esportano in America settentrionale sono, al primo posto, la produzione di macchinari, al secondo posto quella degli alimenti e delle bevande e al terzo posto quella dei mezzi di trasporto».

Migliorare ulteriormente la qualità delle produzioni del made in Italy potrebbe essere una soluzione da adottare per rendere le produzioni ancora più concorrenziali?

«Il made in Italy, il Bello e Ben Fatto della nostra industria comprende tutti quei prodotti che sono riconosciuti nel mondo per la loro qualità e italianità, e per i quali i consumatori esteri sono disposti a pagare un prezzo superiore rispetto i prodotti di altri competitor. Innovare e innalzare la qualità però è un imperativo categorico anche per le imprese italiane, ma questo non basta. Ci sono condizioni di contesto che rischiano di penalizzare persino le imprese più innovative. Mi riferisco al costo dell’energia che, come ha sottolineato qualche giorno fa il Centro Studi di Confindustria, in Italia è molto più alto rispetto a quello dei nostri competitors europei e americani. I costi del gas e dell’elettricità rappresentano una zavorra che, aggiunta dazi doganali, può affossare la competitività dei nostri prodotti».

Una politica così ferrea potrebbe causare lo spostamento verso altri mercati? Nel caso, quali?

«Credo che le nostre imprese avranno da ora in poi un motivo in più per cercare nuovi sbocchi commerciali, soprattutto nei Paesi emergenti, ma ritengo che uno spostamento forte verso altri mercati sia impensabile, perché la relazione economica fra Italia, Europa e USA è fortissima. Dobbiamo considerare che l’Europa è un mercato importantissimo: un mercato di mezzo miliardo di persone con redditi fra i più alti del mondo, e a nessun Paese, nemmeno agli Stati Uniti dell’era Trump, converrebbe penalizzarlo».



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