Medici di famiglia nelle Case di comunità: si lavora alla riforma. Numeri in Umbria

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di Chiara Fabrizi

Medici di famiglia nelle Case di comunità. Questa una delle misure a cui stanno lavorando Regioni e Governo per evitare che le nuove strutture socio-sanitarie in corso di realizzazione ovunque coi fondi del Pnrr si trasformino soltanto in un fardello economico per i conti del sistema sanitario.

La riforma al vaglio, che potrebbe diventare decreto a stretto giro, almeno stando al rush di incontri tra Regioni e Governo in corso in questi giorni, prevede novità sostanziali per gli stessi camici bianchi, soprattutto per quelli che si apprestano a prendere per la prima volta servizio. Per i nuovi medici di famiglia, infatti, potrebbe essere superata l’attuale formula della libera professione in convenzione col sistema sanitario in favore di un rapporto di lavoro subordinato: i medici di base, dunque, potrebbero diventare dipendenti delle Usl e quindi essere messi a disposizione dei distretti sanitari, precisamente nelle Case di comunità, allo scopo di potenziare la sanità territoriale. Sul tavolo anche l’ipotesi che le sorti dei nuovi medici di famiglia vengano lasciate alle Regione, che autonomamente potrebbero quindi decidere se introdurre l’obbligatorietà del lavoro subordinato o lasciare facoltà di scelta al professionista.

Anche in Umbria, naturalmente, la partita è particolarmente rilevante. Col Pnrr la Regione ha infatti inteso realizzare 17 nuove case di comunità, con un investimento complessivo di quasi 24,6 milioni di euro, mentre su tutto il territorio nazionale se ne contano circa 1.400 con una voce di spesa di 2 miliardi di euro. Le nuove articolazioni strategiche dei servizi socio sanitari sorgeranno a Città di Castello in via Vasari, a Umbertide in largo Cimabue, a Magione in piazza Simoncini, a Gubbio in piazza Quaranta martiri, a Perugia nella struttura fatiscente di via XIV Settembre e in via Cestellini a Ponte San Giovanni, a Todi in via Matteotti, a Montefalco in via Ringhiera umbra, a Spoleto in via Manna, a Nocera in via Martiri della libertà, a Norcia in viale dell’Ospedale, a Cascia in via Giovanni XXIII, a Terni in viale Trieste, ad Amelia in via Primo maggio, a Narni fuori Porta ternana, a Orvieto in piazza Duomo e a Fabro in via Gramsci.

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Il rischio che le Case di comunità si trasformino, una volta aperte, in scatole vuote ha segnato l’intera gestazione di queste strutture, che dovranno essere pronte per giugno 2026. Ed è per questo che Regioni e Governo guardano ai medici di famiglia che, per quanto riguarda quelli già in servizio, potrebbero essere chiamati, questa l’ipotesi, a prestare servizio per un monte di ore che varierebbe in base al numero degli assistiti. Nelle intenzioni fin qui emerse, i medici che danno assistenza sanitaria a più di 1.500 pazienti, ovvero oltre la soglia, potrebbero essere precettati per 14-16 ore nelle Case di comunità, mentre maggiore sarebbe l’impegno richiesto a chi ha meno assistiti. Ma chiaramente i numeri sono sotto la lente.

Certo è, invece, che in Umbria al primo gennaio 2024 si contavano 633 medici di famiglia a ciclo di scelta che risultano in forte flessione rispetto al primo gennaio 2016 (-13,3 per cento), quando erano quasi cento in più, precisamente 730. Un trend, questo umbro, che replica quello nazionale: nel 2016 se ne contavano 45 mila, che otto anni dopo si sono ridotti a circa 37 mila. L’ultima analisi sulla categoria è stata pubblicata da Gimbe nel marzo scorso su dati del 2022 e segnalava che il 28,2 per cento dei medici di famiglia in servizio in Umbria assisteva più di 1.500 pazienti. Nel caso in cui la riforma definisse l’impegno dei camici bianchi nelle Case di comunità in base al numero degli assistiti, quindi, il contributo di più di un medico di base su quattro sarebbe ridotto. Da tenere in alta considerazione, poi, ci sono anche i pensionamenti, secondo Gimbe in Umbria entro il 2026, anno in cui dovrebbero vedere la luce i 17 nuovi Centri di comunità della Regione, sono 165 i medici di famiglia che raggiungerebbe i 70 anni e quindi il pensionamento.

In questo quadro, il tentativo di riforma, peraltro non inedito per i medici di famiglia, sta vivendo un’accelerazione proprio per l’imminente apertura delle numerose nuove strutture socio sanitarie. Mercoledì c’è stato un incontro al ministero della Salute, che è stato aggiornato alla prossima settimana quando al tavolo è atteso anche il ministro Orazio Schiallaci, che considera centrale la riforma per il potenziamento della sanità territoriale. Quando una prima quadra tra Regioni e Governo sarà trovata al ministero saranno convocati anche i rappresentanti sindacali della categoria.

Ieri i tecnici delle Regioni hanno incontrato quelli del ministero per condividere il percorso verso la riforma e si sono dati appuntamento la prossima settimana al ministero quando ci sarà un nuovo incontro, questa volta alla presenza del ministro Orazio Schillaci che in questi giorni è a Davos per il World economic Forum. Schillaci da mesi predica la necessità di una riforma della categoria, considerata centrale proprio per far decollare la nuova Sanità territoriale, quella più vicina ai cittadini, mancata soprattutto durante la pandemia. Intanto un gruppo di lavoro più ristretto delle Regioni si è portato avanti e ha messo a punto una bozza della riforma con oltre una decina di articoli che dovrebbe diventare la base di partenza di un possibile decreto legge di riforma. I principi cardine sono appunto la strada della dipendenza per i giovani medici di famiglia – si ipotizza però di lasciare poi a ogni singola Regione la scelta se rendere questa strada obbligatoria o facoltativa – e l’obbligo per tutti gli altri medici di famiglia già in servizio e che rimarrebbero in convenzione di destinare un certo numero di ore al distretto e alle Case di comunità: si

ipotizzano almeno 14-16 ore per chi ha già raggiunto il massimale (1500 assistiti) – si tratta di una buona fetta dei 37mila medici di famiglia operativi, che sono in costante diminuzione – mentre per chi ha me- no assistiti il monte ore da assicura- re all’interno delle Case di comunità potrebbe salire. In pista anche una riforma della formazione di questi dottori che diventerebbe universi- taria (oggi è regionale).

Il ministero della Salute comunque prima di far arrivare la riforma in consiglio dei ministri incontrerà i rappresentanti dei medici di famiglia. Che tra l’altro sabato prossimo parteciperanno insieme ai sindacati anche degli altri camici bianchi, in particolare gli ospedalieri, ad una mobilitazione nazionale con una serie di iniziative che al momento escluderebbero un nuovo sciopero dopo quello del 20 novembre scorso. Tra i vari temi sul tavolo sicuramente uno spazio lo avrà anche questa riforma in can- tiere che va detto non è proprio una novità: ci provò infatti, senza suc- cesso, in coda alla pandemia il Go- verno Draghi con l’allora ministro della Salute Roberto Speranza, ma il tentativo finì nei cassetti proprio alla vigilia della caduta di quel- l’Esecutivo. Fino ad ora. Ma il tem- po in questa fase stringe sempre di più: sarà la volta buona?

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