La Tuscia no nuke si mobilita

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Dai Monti Cimini al mar Tirreno: tutta la Tuscia rifiuta di ospitare il Deposito nazionale e parco tecnologico (Dnpt) destinato a mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi di tutta Italia derivanti dagli impianti nucleari dismessi (Caorso, Latina, Trino vercellese e Garigliano), dai settori della medicina, della ricerca, dell’industria. Alla provincia di Viterbo appartiene il 40% dei 51 siti italiani che la Sogin – la società pubblica che si occupa dello smantellamento delle quattro centrali nucleari italiane e della gestione dei rifiuti radioattivi di varia fonte – ha inserito nella proposta di una Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), pubblicata alla fine del 2023 dal ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase).

I 21 SITI «IDONEI» del viterbese appartengono ai seguenti comuni: Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Piansano, Arlena di Castro, Tessennano. Le altre aree individuate si trovano in Basilicata, Puglia, Piemonte, Sicilia e Sardegna. L’autorizzazione al Dnpt arriverebbe nel 2029; la struttura, su una superficie di 150 ettari, diventerebbe operativa entro il 2039.

CIRCA 95.000 METRI CUBI di rifiuti radioattivi verrebbero definitivamente sistemati nel deposito unico nazionale che li riceverebbe per 40 anni e li custodirebbe per 300 anni. Per i materiali di bassa o molto bassa attività si stimano 78.000 metri cubi, fra quelli già prodotti e quelli previsti per il futuro. Ma, ed è lì l’allarme, in un’area del Dnpt verrebbero stoccati, in attesa di un deposito geologico, 17.000 metri cubi di scorie a media e alta attività. Le più pericolose.

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ATTUALMENTE, secondo l’Inventario 2023 dell’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione), 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di varia tipologia si trovano in una ventina di depositi «temporanei» (in otto regioni italiane), diversi dei quali in corrispondenza delle ex centrali nucleari. Ma a parte l’origine e al volume dei rifiuti, è la carica radioattiva che conta (si parla di cinque categorie di rifiuti radioattivi: di vita media molto breve, di attività molto bassa, di bassa attività, di media attività, di alta attività). E quanto alla distribuzione dei rifiuti nazionali in termini di radioattività, è il Piemonte a ospitarne la gran parte, compresi elementi di combustibile irraggiato. Il combustibile esaurito delle ex centrali è la tipologia che genera di gran lunga la maggior quantità di radiazioni sul totale. Dato Sogin: il 99% del combustibile esaurito è stato inviato a impianti francesi, belgi e inglesi per essere ritrattato. Ma i materiali dovrebbero tornare al più presto, ridotti ma sempre molto radioattivi. Solo un deposito geologico (come quelli realizzati in alcuni paesi) può custodirli definitivamente, non il Dnpt. Intanto il governo scommette sul rilancio del nucleare.

LA VALUTAZIONE DI IMPATTO ambientale strategica (Vas) sulla proposta Sogin dei siti è stata avviata dal Mase il 27 novembre 2024. Dovrebbe garantire, ha detto il ministro Gilberto Pichetto Fratin, «un elevato livello di protezione ambientale nell’atto dell’elaborazione, adozione e approvazione della Cnai»; e la partecipazione degli enti locali al processo decisionale. Il ministro ha vantato in Parlamento i «possibili benefici economici e di sviluppo territoriale della realizzazione del deposito nazionale». Ma malgrado la suggestiva definizione di «parco tecnologico»: nessun comune italiano si è fatto avanti con un’auto-candidatura, come auspicato dal governo. Il sindaco di Trino ha desistito dopo le proteste di cittadini e comuni limitrofi.

IL RIFIUTO DELLA TUSCIA vede unite le istituzioni comunali e provinciali, i comitati No scorie, i biodistretti (è la provincia italiana che ne ha di più, ben cinque); e la stessa presidenza della regione Lazio. Il 25 febbraio 2024 si è svolta la prima marcia unitaria. Dopo l’avvio della Vas, l’impegno accelera. Il 16 gennaio 2025 all’affollata assemblea pubblica ospitata dal comune di Civita Castellana sono intervenute istituzioni e associazioni, dopo due relazioni tecniche introduttive. Per Famiano Crucianelli, presidente del distretto biologico della Via Amerina e delle Forre, «la battaglia si può vincere solo con la mobilitazione di tutta la Tuscia. La partecipazione è l’unica garanzia». In programma due grandi manifestazioni, il 6 aprile a Montalto di Castro, l’11 maggio a Corchiano. Claudio Ricci, sindaco di Fabrica di Roma, si è fatto portavoce dell’idea che tutti i sessanta sindaci del viterbese manifestino pacificamente il dissenso nella capitale, insieme ai presidenti della Provincia e della Regione. Ci si rivolgerà anche alle istituzioni europee.

UNA PETIZIONE IN DIECI PUNTI motiva il no viterbese. I rifiuti radioattivi sono un’ipoteca sul futuro che «compromette il nostro patrimonio agricolo, economico e sociale, insieme alla salute dei cittadini» (allarme lanciato da tempo dall’Ordine provinciale dei medici). Fra le criticità: il deposito è incompatibile con i biodistretti e le altre strategie di sostenibilità in cammino; il territorio ha già un alto grado di radioattività naturale ed è primo per incidenza dei tumori fra tutte le province del centro Italia; diversi fattori moltiplicano i rischi di contaminazione radioattiva, come l’origine vulcanica, la ricchezza delle falde di superficie, la problematica sismica e la vicinanza ai centri abitati; la selezione è avvenuta senza il coinvolgimento delle comunità locali e dei biodistretti, malgrado le tante osservazioni presentate da esperti. In generale poi si contesta il previsto stoccaggio delle stesse scorie ad alta pericolosità in un deposito in superficie.

IN UN DOCUMENTO COMUNE, i sindaci di Corchiano, Civita Castellana, Gallese, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello rivolgendosi al Mase contestano la «procedura autocratica» adottata da Sogin e chiedono il rispetto del principio di precauzione. In un lungo elenco di osservazioni, spiegano perché «gli obiettivi operativi per la sicurezza nucleare non possono dirsi raggiunti», oltre a essere «completamente mancato il coinvolgimento dei portatori di interesse» (salvo un seminario nazionale come mero passaggio burocratico). Secondo i sindaci, la vocazione dei territori verrebbe pregiudicata per sempre dalla localizzazione di un Dnpt, incompatibile con la legge n. 23 del 9 marzo 2022 (l’articolo 13 sui distretti biologici prevede la protezione contro fonti di rischio) e con altre norme. Il documento chiede attenzione per i vincoli naturalistici, storici, archeologici; e parallelamente «criteri di valutazione relativi alla salute dei cittadini sulla base della presenza di problematiche ambientali dovute all’origine stessa del territorio» (la presenza naturale di gas radon nel suolo, quella di arsenico nelle acque). SI

SOTTOLINEA POI IL RISCHIO legato al fatto di prevedere (lo dice la Guida tecnica 30 dell’Isin) che nel medesimo deposito nazionale di superficie siano stoccati, in via provvisoria ma di lunga durata (almeno 100 anni), «rifiuti radioattivi ad alta attività, oltre a quelli di media attività non conferibili allo smaltimento superficiale e di combustibile irraggiato a secco, provenienti dalla pregressa gestione degli impianti nucleari, per i quali, vista la maggiore capacità di irraggiamento e il lunghissimo periodo di decadenza, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) raccomanda fortemente lo smaltimento in siti geologici di profondità». Rischi anche nei trasporti dei rifiuti ad alta radioattività, sulla base della loro attuale posizione sul territorio italiano.

E NON E’ LA SINDROME Nimby, sottolineano i viterbesi. Non solo perché, oltre alle tante controindicazioni suindicate, in fatto di discariche e opere impattanti «la nostra provincia ha già dato», come hanno detto in assemblea i sindaci Emanuela Socciarelli di Montalto Di Castro e Giuseppe Casetti di Canino. Antonio Mancini del Comitato No scorie di Gallese ha precisato: «Vogliamo essere un esempio per gli altri territori». Del resto, tutti i siti potenzialmente candidati al Dnpt nelle varie regioni italiane sembrano determinati a dare battaglia. Cosa succederà? Crucianelli indica l’ipotesi sulla quale operare: «Le scorie ad alta pericolosità dovranno essere destinate a un sito geologicamente sicuro ed europeo; in Italia non è stato possibile individuarne uno in profondità che abbia le garanzie necessarie. In attesa, debbono essere messe in sicurezza dove stanno. Per quelle a bassa intensità si può avere una gestione regionale. Circa le ipotesi avanzate da Sogin, aggiungiamo che è inaccettabile che regioni con il Pil pro capite più alto d’Italia e una elevata presenza industriale non abbiano indicato neppure un sito». Ci sono anche falsi problemi utilizzati strumentalmente, come i rifiuti di origine sanitaria: «Sono di bassa intensità, decadono rapidamente, già oggi si possono utilizzare altre tecnologie».



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