Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dell’Italia dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024
di Maralice Cunha Verciano
Sommario: 1. Premessa: Il riparto di competenza del potere di mitigazione climatica tra Stati e UE – 2. I limiti al potere di mitigazione climatica dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024 – 3. Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dello Stato tra diritto UE e CEDU – 4. La competenza della UE in merito al doppio limite esistente – 5. Conclusione 1: il rispetto dei requisiti CEDU non viola il diritto UE – 6. Conclusione 2: i requisiti CEDU garantiscono anche il neminem laedere.
1. Premessa: Il riparto di competenza del potere di mitigazione climatica tra Stati e UE
Com’è noto, il potere statale di mitigazione climatica trova fondamento nell’art. 2 UNFCCC del 1992, con riguardo all’obiettivo definitivo da conseguire attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra, e nell’art. 2 dell’Accordo di Parigi del 2015, con riguardo alla soglia concordata del pericolo da non superare nell’aumento delle temperature medie globali[i].
Queste due fonti vincolano tutte le parti aderenti ai due accordi.
Di conseguenza, vincolano sia l’Italia e che la UE, in quanto entrambe hanno ratificato l’UNFCCC e l’Accordo di Parigi.
Nella UE, il potere di mitigazione climatica è previsto anche dall’art. 191 TFUE, in un quadro di competenze concorrenti con gli Stati membri, contraddistinto altresì dalla clausola di miglior tutela ambientale e della salute, prevista dall’art. 193 TFUE.
Questo significa che la distribuzione dei contenuti della competenza è retta dal principio di sussidiarietà fra UE e Stati, ma fatta salva comunque la facoltà statale di integrare in melius i contenuti del proprio potere di mitigazione, alla luce appunto dell’art. 193 TFUE.
2. I limiti al potere di mitigazione climatica dopo le sentenze CEDU del 9 aprile 2024
Tuttavia, dopo le due sentenze della Corte europea dei diritti umani del 9 aprile 2024 “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera” (53600/20) e “Duarte Agostinho et al. vs. Portogallo et al.” (39371/20), la materia del potere statale di mitigazione climatica statale è stata acquisita anche all’interno dell’art. 8 CEDU.
In particolare, la Corte di Strasburgo ha stabilito che tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, indipendentemente se aderenti o meno alla UE, sono tenuti a rispettare una serie di “requisiti necessari” di esercizio del potere di mitigazione climatica, che fungono da limite esterno al loro margine di apprezzamento, in quanto servono a garantire la tutela intertemporale e intergenerazionale dei diritti umani presidiati dall’art. 8 CEDU, ai fini dell’effettivo rispetto degli obiettivi di cui agli artt. 2 UNFCCC e 2 Accordo di Parigi.
Il contenuto di questi “requisiti necessari” è descritto e scandito nei §§ 441-444, 543, 550 e 571 della sentenza “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera”.
Infatti, nel § 441 si legge che «ogni Stato ha la propria quota di responsabilità nell’adottare misure per affrontare il cambiamento climatico e che l’adozione di tali misure è determinata dalle capacità dello Stato stesso piuttosto che da un’azione (o omissione) specifica di un altro Stato», mentre, nel § 444, si specifica che il «test rilevante» [della capacità dello Stato nella sua mitigazione climatica] è quello di «avere una reale prospettiva di alterare l’esito o di mitigare il danno [del cambiamento climatico antropogenico]». Collegato al § 444 è poi il § 571, dove si riconosce che l’IPCC «ha sottolineato l’importanza dei bilanci del carbonio» (ossia il Carbon Budget residuo), nel quadro del «principio delle responsabilità comuni ma differenziate ai sensi dell’UNFCCC e dell’Accordo di Parigi», che «richiede agli Stati di agire sulla base dell’equità e in conformità con le rispettive capacità». Infine, nel § 550 si elencano i cinque “requisiti” necessari affinché quanto indicato nei §§ 441-444 e § 571 sia concretamente realizzato. Eccoli elencati: «[Spetta a ciascuno Stato individuare]
(a) il carbon budget residuo, o un altro metodo equivalente di quantificazione delle future emissioni di gas serra, in linea con l’obiettivo generale degli impegni nazionali e/o globali di mitigazione dei cambiamenti climatici;
(b) [gli] obiettivi e percorsi intermedi di riduzione delle emissioni di gas serra (per settore o altre metodologie pertinenti) che siano ritenuti in grado, in linea di principio, di soddisfare gli obiettivi nazionali complessivi di riduzione dei gas serra entro i tempi stabiliti nelle politiche nazionali;
(c) [le] prove che dimostrino che si stanno debitamente rispettando, o si è in procinto rispettare, gli obiettivi di riduzione dei gas serra pertinenti;
(d) l’aggiornamento degli obiettivi di riduzione dei gas serra pertinenti con la dovuta diligenza e sulla base delle migliori prove disponibili;
(e) [la descrizione delle azioni per intervenire] tempestivamente, in modo appropriato e coerente nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle misure pertinenti».
Tutto questo, conclude il giudice europeo, limita dall’esterno il “margine di apprezzamento” dello Stato membro, a garanzia appunto dell’effettività intertemporale e intergenerazionale dell’art. 8 CEDU.
La Corte, inoltre, ha specificato che tutte «le autorità nazionali competenti, siano esse a livello legislativo, esecutivo o giudiziario», devono tenere «in debita considerazione» tali “requisiti necessari”, affinché lo Stato operi «entro il suo margine di apprezzamento».
Pertanto, questo compito di accertamento e verifica spetta anche al giudice nazionale, come chiarito pure dalla sentenza “Duarte Agostinho et al. vs. Portogallo et al.”.
La tesi che tale vincolo non sussisterebbe per l’Italia, in nome della separazione dei poteri, risulta priva di fondamento costituzionale[ii].
Al contrario, il potere di mitigazione climatica dello Stato aderente alla CEDU conosce un limite assoluto, riguardante i “requisiti necessari” indicati dalla Corte, finalizzato – tale limite – a garantire nel tempo l’art. 8 CEDU e l’effettivo conseguimento degli obiettivi dell’art. 2 UNFCCC e dell’art. 2 Accordo di Parigi.
In più, questo limite assoluto è pienamente conforme con la Costituzione italiana (nello specifico, con gli artt. 9, 32 e 41 Cost.), come risulta dal quadro di confronto sinottico, elaborato dall’Osservatorio di comparazione interformanti sul contenzioso climatico italiano[iii].
3. Il doppio limite del potere di mitigazione climatica dello Stato tra diritto UE e CEDU
Per gli Stati aderenti alla Consiglio d’Europa (CoE) e alla CEDU, ma contemporaneamente membri della UE, i limiti ai sensi dell’art. 8 CEDU si aggiungono ai limiti di competenza, fissati dagli artt. 191 e 193 TFUE, con la puntualizzazione, però, che, mentre i limiti CEDU sono assoluti perché posti come vincoli esterni al margine di apprezzamento dello Stato, in nome per l’appunto dei diritti umani, quelli della UE sono invece relativi, perché riguardanti non i vincoli esterni bensì i contenuti interni delle competenze concorrenti, una volta esercitate secondo sussidiarietà e integrazione in melius ex art. 193 TFUE.
Il quadro che ne consegue può essere così di seguito rappresentato.
4. La competenza della UE in merito al doppio limite esistente
La coesistenza di questo doppio limite (assoluto esterno e relativo interno) riguarda solo ed esclusivamente gli Stati aderenti al CoE che sono anche membri della UE.
Su siffatta coesistenza, la UE non ha alcun titolo a intervenire, per diverse ragioni:
– perché la UE non è membro della CEDU e dunque non soggiace a “requisiti necessari” sui limiti assoluti del margine di apprezzamento, indicati dalla Corte di Strasburgo;
– perché qualsiasi intervento della UE su tali limiti assoluti CEDU si porrebbe in contrasto con l’art. 4 n. 2 TUE, in merito al rispetto, da parte dalla UE, delle identità nazionali degli Stati e, con esse, dalla loro sovrana sottoposizione ai vincoli di tutela dei diritti, indicati dalla Corte di Strasburgo;
– perché qualsiasi intervento della UE violerebbe anche l’art. 6 n. 2 TUE, attivando una competenza europea non prevista dai Trattati sui poteri statali di mitigazione climatica, per di più in assenza di adesione unionale alla CEDU;
– perché la tutela dei diritti umani (anche se di matrice convenzionale) funge comunque da controlimite a qualsiasi potere UE;
– perché, infine, l’art. 193 TFUE consente allo Stato membro di fare comunque meglio della UE e il rispetto dei limiti assoluti a tutela dell’art. 8 CEDU è indubbiamente un’integrazione in melius del potere statale di mitigazione climatica.
5. Conclusione 1: il rispetto dei requisiti CEDU non viola il diritto UE
Si deve, allora, concludere che l’Italia, in quanto Stato membro sia della UE che del CoE,
– soggiace ai limiti assoluti esterni della CEDU,
– è dunque tenuta a rispettare i “requisiti necessari”, scanditi dalla Corte di Strasburgo nei §§ 441-444, 543, 550 e 571 della sentenza “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera”,
– indipendentemente dai contenuti delle competenze esercitate dalla UE, che operano, invece, come limiti relativi interni,
– nei cui confronti l’Italia è comunque abilitata a un potere di mitigazione climatica in melius, nei termini dell’art. 193 TFUE,
– sicché il rispetto, da parte dell’Italia, dei “requisiti necessari” CEDU del potere statale di mitigazione climatica non viola il diritto UE.
Del resto, qualsiasi tentativo mirante a ridimensionare i vincoli CEDU, anche in nome del diritto UE e magari al fine di eludere o disapplicare i “requisiti necessari” dei §§ 441-444, 543, 550 e 571 della sentenza “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera”, dovrebbe comunque passare al vaglio della Corte costituzionale, eccependo ipotesi di violazione di un qualche parametro costituzionale.
Il che, sia detto per inciso, apparirebbe assai improbabile e incomprensibile dopo la riforma degli artt. 9 e 41 Cost. e l’interpretazione “monito”, su di essi fornita dalla Consulta nella sentenza n. 105/2024, dove si parla di nuovi “vincoli” e “limiti” al potere pubblico e privato, in nome dell’interesse delle generazioni future[iv].
6. Conclusione 2: i requisiti CEDU garantiscono anche il neminem laedere
Al contrario, i limiti assoluti esterni al “margine di apprezzamento” degli Stati membri del CoE risultano funzionali alla persistenza del principio del neminem laedere, anch’esso limite esterno a qualsiasi potere pubblico e privato secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e come richiesto persino dal Green Deal europeo che sul “non nuocere” fonda la propria normativa di mitigazione climatica conforme agli artt. 191 e 193 TFUE[v].
Valgano, in merito, i seguenti riscontri costituzionali italiani.
La Consulta, non da ieri, ha osservato che l’art. 2043 Cod. civ. risulta funzionare da «norma in bianco» che, da un lato, espressamente e chiaramente indica l’obbligazione risarcitoria, conseguente al fatto doloso o colposo, ma, dall’altro, non individua i beni giuridici la cui lesione è vietata, essendo l’illiceità oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere della detta obbligazione, indicata unicamente attraverso l’“ingiustizia” del danno prodotto dall’illecito. La disposizione codicistica, di conseguenza, «contiene una norma giuridica secondaria», ha chiarito la Corte (sent. n. 184/1986, rimasta da allora immutata[vi]) la cui applicazione «presuppone l’esistenza di una norma giuridica primaria», da rinvenire nelle disposizioni costituzionali, a partire dall’art. 32 Cost. ma anche, in virtù dell’art. 117 comma 1 Cost., anche nella CEDU e, per il caso specifico della mitigazione climatica, nell’art. 8 CEDU.
Ecco, allora, che i “requisiti necessari”, scanditi dalla Corte di Strasburgo nei §§ 441-444, 543, 550 e 571 della sentenza “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera”, altro non rappresentano che il catalogo degli elementi di integrazione dell’art. 2043 Cod. civ. in ordine ai beni giuridici (ex art. 8 CEDU) la cui lesione è vietata nelle misure statali di mitigazione climatica.
1 Cfr. M. Cunha Verciano, La discrezionalità del potere nella lotta al cambiamento climatico, in www.federalismi.it, n. 28/2023.
2 Da ultimo, su questa tesi ma ignorando i citati §§ 441-444, 543, 550 e 571 della sentenza “Verein KlimaSeniorinnen vs. Svizzera”, cfr. G. Scarselli, Contenzioso climatico e giurisdizione, in questa Rivista, 26 novembre 2024.
3 Cfr. Comparazione interformanti tra la sentenza del caso “Giudizio Universale”, le decisioni “climatiche” CEDU e ITLOS del 2024 e la giurisprudenza costituzionale (Rapporto 1/2024), in https://www.contenziosoclimaticoitaliano.it/osservatorio-e-bibliografia/.
4 Su questo “monito” della sentenza costituzionale n. 105/2024, cfr. i commenti del 25 giugno 2024, nell’ “Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale” (OCA) della rivista DPCE online, rispettivamente di M. Carducci e di G. Giorgini Pignatiello, nonché, da ultimo, G. Vivoli, L’eterna provvisorietà di misure straordinarie è (ed era) incostituzionale, in AmbienteDiritto, 4/2024.
5 Cfr. il Considerando n. 9 del Regolamento UE n. 2021/1119.
6 Cfr. M. Carducci, I sei contenuti di tutela del diritto alla salute e l’inabrogabilità dell’obbligazione riparatoria e della risarcibilità per via giurisdizionale, secondo la Corte costituzionale (2024), in https://www.contenziosoclimaticoitaliano.it/la-dottrina-giuridica/m-z/ (sub voce: Neminem laedere e art. 2043 Cod. civ. (nella giurisprudenza costituzionale).
Questo contributo è frutto del lavoro di sintesi, svolto per Contenzioso climatico italiano, Osservatorio di comparazione interformanti a cura degli Studenti magistrali di Diritto comparato dei cambiamenti climatici dell’Università del Salento, e messo a disposizione alle lettrici e ai lettori di Questa Rivista. Si veda anche Istituzione dell’Osservatorio di comparazione interformanti sul contenzioso climatico italiano.
Foto via Wikimedia Commons.
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