Cosa possiamo imparare dall’incendio nella piattaforma petrolifera Rospo Mare, in Adriatico

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Partiamo da lontano per capire le ragioni dell’incendio che si è verificato ieri pomeriggio sulla piattaforma “Rospo Mare” che, ricordiamolo, costituisce uno dei principali giacimenti petroliferi offshore italiani ancora attivi, in concessione ad “Energean Oil & Gas”, che estrae petrolio a circa 1600 metri di profondità. La piattaforma, o meglio il complesso offshore, è visibile in lontananza dal porto di Vasto.

Il campo petrolifero offshore Rospo Mare, articolato su tre piattaforme, si trova posizionato a circa 12 miglia delle coste tra l’Abruzzo e il Molise. Da un punto di vista prettamente geologico questo giacimento sfrutta una particolarità del sottosuolo, una caratteristica condizione di intrappolamento del petrolio, per cui risulta incuneato nei calcari “carsificati” del periodo giurassico.

Il lavoro estrattivo delle tre piattaforme converge sulla Fso “Floating storage and offloading” Alba Marina, una ex petroliera modificata e che funge da cervello a tutto il campo offshore. Infatti, la Fso consente lo stoccaggio e la successiva commercializzazione del greggio estratto dal giacimento, oltre anche per il controllo da remoto del funzionamento delle tre piattaforme. Da lontano, appare una piccola sagoma remota e dimenticata in mezzo al mare.

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La Rospo Mare risulta operativa fin dal 1982, e costituisce, senza dubbio, uno degli impianti offshore più rilevanti dell’Adriatico, con una produzione giornaliera di circa 2.500 barili di greggio; l’impianto risulta essere composto da tre strutture principali (Rsma, Rsmb e Rsmc), collegate tramite condotte sottomarine per convergere sulla Fso per il trattamento finale. L’impianto nel passato è già stato al centro di episodi critici come uno sversamento di petrolio del 2013, fortunatamente contenuto.

L’episodio di ieri  è da ricondurre ad un incendio divampato sulla piattaforma petrolifera “Rospo Mare B”, partito da una vasca di contenimento situata sulla piattaforma stessa ma, fortunatamente, non si è esteso al resto degli ambienti vicini ed è rimasto circoscritto nella medesima area in cui si è sviluppato, fino ad essere successivamente estinto sia dall’impianto antincendio di bordo che dai vigili del fuoco arrivati a bordo trasportati dalla motovedetta della Capitaneria di porto di Termoli, immediatamente intervenuti.

Le 19 persone presenti sulla struttura sono tutte riuscite a mettersi in salvo su un’imbarcazione di emergenza, in dotazione alla piattaforma stessa.

Fortunatamente, tutto è finito bene, senza causare né vittime né feriti e, in apparenza, non sono si registrano inquinamenti significativi nell’area del campo offshore. Naturalmente tutte le attività estrattive sono state temporaneamente bloccate.

Quali ammonimenti possiamo trarre?

Partiamo, dunque, dal “Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare delle attività minerarie in mare nel settore degli idrocarburi” (ex d.lgs. 18 agosto 2015, n. 145).

Nel 2010 si verificò un avvenimento che resterà impresso nella storia dell’upstream mondiale: il gravissimo incidente avvenuto al pozzo “Macondo” della piattaforma di perforazione “Deep water horizon” nel Golfo del Messico, che costrinse l’opinione pubblica mondiale e conseguentemente l’industria petrolifera in ogni sua componente, a riflettere sui limiti dello sviluppo e sulla piena attuazione del principio di precauzione.

Da questo incidente (Macondo) trae origine la direttiva 2013/30/Ue sulla sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, fissandone gli standard minimi di sicurezza al fine di ridurre le probabilità di accadimento di incidenti gravi, limitandone le conseguenze, e aumentando la protezione dell’ambiente marino vero e proprio.

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Saldo e stralcio

 

La direttiva comunitaria venne recepita in Italia con il decreto legislativo 18 agosto 2015, n.145 dal quale nasce anche il “Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare”, che assume anche le funzioni di Autorità competente con poteri di regolamentazione, vigilanza e controllo al fine di prevenire gli incidenti gravi nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e limitarne le nocive conseguenze per l’ambiente marini; questo Comitato ha sede presso il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e si occupa di tante cose, tra cui emerge, per importanza, la sicurezza delle attività estrattive e dell’ambiente marino.

Prima di formulare un qualsiasi giudizio, in un caso simile, occorre aspettare le conclusioni delle attività di verifica del Comitato, oltre alle conclusioni delle (eventuali) inchieste amministrative e/o giudiziarie che verranno effettuati dalle competenti Autorità.

Anche senza apparenti ripercussioni sui lavoratori e sull’ambiente marino, l’accadimento in sé richiama l’importanza della sicurezza ambientale, chiamando in causa gli organismi preposti alla costante verifica dei livelli di sicurezza, che strutture del genere devono avere nell’immediata disponibilità; pertanto, nell’esprimere un ringraziamento agli organi dello Stato prontamente intervenuti, Guardia costiera e Vigili del fuoco in primis, confidiamo che le strutture emergenziali e i rispettivi piani esecutivi possano sempre rivelarsi all’altezza delle situazioni chiamati a fronteggiare, specialmente in mare che per sua stessa natura tende ad ampliare i fattori di rischio.



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