Salari al palo e un rinnovo che ancora non arriva. I numeri sul mondo dell’istruzione nella ricerca della Flc-Cgil

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Salari fermi al palo, precarietà e mancata valorizzazione. Non è roseo il quadro per il mondo dell’istruzione descritto dalla ricerca della Flc-Cgil presentata a Roma presso la Fondazione Metes. “Siamo all’ultimo posto dei paesi Ocse per le retribuzioni – ha detto la segretaria generale della Flc, Gianna Fracassi, nel corso della conferenza stampa -. Se non investiamo in un comparto strategico come questo a risentirne non saranno solo i lavoratori, ma anche gli studenti e tutto il sistema economico e sociale del paese”.

Anche sul rinnovo del contratto siamo alle prime schermaglie. Gli altri rinnovi del pubblico, sanità e funzioni  locali, non hanno portato bene all’unità sindacale che è venuta meno. La numero uno della Flc si augura che questo non si verifichi per l’istruzione. “Faremo le nostre valutazioni -spiega – non solo sulla parte economica ma anche sui contenuti dell’atto di indirizzo che al momento non conosciamo. Anche questo sarà un elemento dirimente. Se nell’atto di indirizzo ci fossero differenziazioni tra lo stesso personale, elementi di gerarchizzazione o interventi che favoriscono pochi a discapito di molti, allora credo che si porrebbe un tema che tocca tutte le organizzazioni sindacali. Ma prima di esprimere giudizi aspettiamo di avere del materiale sul quale confrontarci”.

A questi problemi la legge di Bilancio 2025 non dà risposte. La finanziaria, infatti, ha incrementato solo dello 0,22%, che corrisponde mediamente a 5 euro, le risorse per il rinnovo contrattuale. Gli stipendi, si legge nel documento, avranno un aumento medio di 145 euro mensili, ossia del 6% rispetto a un inflazione che nel triennio 2022-2024 è stata superiore al 17%. Concretamente, per un pieno recupero del potere di acquisto, lo stipendio di un docente di scuola prima sarebbe dovuto crescere di 403 euro, a fronte dei 140 euro reali, quello di un insegnante delle medie di 438 euro rispetto ai 152 e quello di un docente delle superiori di 450 a fronte dei 156 euro messi sul piatto dal governo.

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Tra i paesi dell’aria Ocse, le retribuzioni dei docenti italiani sono il fanalino di coda. Un insegnante delle medie con 15 anni di servizio guadagna 32.892 euro annui rispetto ai 74mila e 77mila euro dei colleghi di Germania e Paesi Bassi. Ma anche all’interno della nostra pubblica amministrazione, la retribuzione annuale media del personale dell’istruzione e della ricerca è la più bassa di tutti i comparti.

Lo studio presenta, inoltre, due esempi per illustrare come il mancato adeguamento dei salari al costo della vita pesi sul benessere dei lavoratori. Il primo riguarda l’incidenza di un affitto per una casa di 70 mq sulla base dei dati storici delle principali agenzie immobiliari. Nel 2019 l’affitto si mangiava il 56% di una mensilità di un collaboratore scolastico, il 38% per un docente di scuola media e il 32% quella di un ricercatore di secondo livello. Nel 2024 le percentuali sono rispettivamente salite all’80, 54 e 47 per cento. Il secondo è il numero di stipendi necessari per l’acquisto di una Panda. Nel 2010 un collaboratore scolastico poteva portarsi a casa l’utilitaria con 8 mensilità, un professore delle medie con 5,4 e un ricercatore di terzo livello con 4,5. Nel 2024 allo stesso collaboratore non basta un anno di lavoro, sono infatti 13 le mensilità occorrenti, 8,8 per il professore e 7,7 per il ricercatore.

C’è, ancora, il grande tema della precarietà. Nella scuola il 2023-2024 si è chiuso con  il record di contratti a tempo determinato pari a 250mila. Su questo fronte, spiega la ricerca, anche i sette concorsi avviati più quello nell’ambiato del Pnrr non hanno rappresentato una soluzione soddisfacente visto che le immissioni in ruolo sono state bel al di sotto del 50% dei posti vacanti. Anche nell’università le cose non vanno meglio. Su 52.700 posizioni stabili i precari sono quasi 29mila. A preoccupare anche il taglio di 513 milioni del Fondo per il finanziamento ordinario, che andrà a impattare prevalentemente sui piccoli atenei che saranno costretti a innalzare le tasse o a ridurre l’offerta formativa.

Anche sugli atti normativi promossi dal ministro Valditara la Flc esprime forti critiche perché guardano a una privatizzazione della scuola, a un impostazione autoritaria e a un passato ormai superato. La revisione dei programmi annunciata dal ministro, oltre a essere sbagliata nel metodo perché non tiene conto di un confronto con i soggetti preposti, spiega il sindacato, dimostra anche un totale distacco dal mondo della scuola visto che l’insegnamento del latino è già presente in molte primarie di secondo grado. Anche la sperimentazione della filiera tecnologico-professionale, oltre al fallimento delle iscrizioni per l’anno scolastico in corso, presente ancora molti punti interrogativi a partire dalla volontà di abbassare a 15 anni l’alternanza scuola-lavoro visto che, secondo i dati Inail, su 17mila infortuni accorsi a minori 14mila interessano gli studenti.

Per il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, “il diritto alla conoscenza e alla formazione deve essere garantito a tutti. È un diritto necessario per i cambiamenti che sono in atto. Quando non si investe si precarizza e si svalorizza il lavoro. Questo non è solo un tema della categoria ma di tutta la confederazione. Il governo poteva trovare maggiori risorse tassando la rendita immobiliare e finanziaria, invece ha deciso di ridurre il debito bloccando all’1,5% la spesa sociale per i prossimi sette anni”.

Proprio per ridare centralità e dignità al lavoro nella prossima primavera “si aprirà una grande stagione di mobilitazione, non solo per eleggere le RSU nel pubblico impiego ma anche per portare il 50%+1 dei votanti ad abolire con i referendum leggi, a partire dal Jobs Act, che hanno creato un modello sbagliato del lavoro”. Manca ancora una data per il voto, ma Landini ritiene auspicabile un accorpamento con le prossime elezioni amministrative.

“La nostra scelta – ha proseguito il numero uno di Corso d’Italia – può apparire contro corrente in un momento di forte astensionismo. Vogliamo ridare voce alle partecipazione democratica. Attraverso il referendum i cittadini non delegano, ma decidono direttamente cosa vogliono cambiare”.

Per il leader della Cgil l’attuazione di una legge sulla rappresentanza è un obiettivo ancora più urgente “alla luce di tutto quello che sta accadendo in tutti i comparti del lavoro pubblico. Vogliamo che tutti i lavoratori possano eleggere i propri delegati per avere la rappresentanza reale di ogni organizzazione sindacale. Ma chiediamo anche che i lavoratori abbiano il diritto di voto sugli accordi che li riguardano per stabilirne la validità. Non deve essere la controparte che sceglie con chi fare gli accordi come sta tentando di fare il governo”.

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Tommaso Nutarelli



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