Un’immagine del Po a Boretto durante una fase di siccità nel 2024 – Fotogramma
Gli esperti di meteorologia concordano sul fatto che il clima è cambiato. L’affermazione può sembrare scontata, ma fino a qualche anno fa non lo era. Oggi, la comunità scientifica prende atto degli scostamenti dalle medie storiche delle temperature e delle precipitazioni. Ma ciò non significa che siano tutti d’accordo su entità e tempi. Abbiamo sentito tre esperti di aree diverse: Luigi Mariani (già dirigente dell’Ente Regionale di sviluppo agricolo della Lombardia e condirettore del Museo lombardo di storia dell’agricoltura), Andrea Piazza (meteorologo del servizio prevenzione rischi della Provincia autonoma Trento) e Luigi Pasotti (dirigente del servizio agrometeorologico di Catania).
Tutto cambia nel 1987
In quell’anno si interrompe il calo che in Europa era in atto dagli anni ’50 e le temperature aumentano in modo improvviso di circa 1°C, per continuare poi a salire. Questo brusco cambiamento rientra in una ciclicità climatica da tempo nota, propria dell’oceano Atlantico, che vede 30-40 anni “caldi” seguiti da 30-40 anni “freddi”. A questa ciclicità si associa però la tendenza generale all’aumento delle temperature europee, la cui causa più probabile è l’aumento della concentrazione atmosferica di gas ad effetto serra di origine antropica (global warming). Il cambiamento descritto interessa l’intero areale euro-mediterraneo e ha cause circolatorie: le grandi correnti occidentali si fanno più intense, con un apporto di aria calda subtropicale da sudovest. Dal 1994, la superficie dell’Atlantico Settentrionale assume una temperatura più elevata della norma, dopo un trentennio di valori più bassi, e «la più elevata temperatura dell’oceano stabilizza la nuova fase climatica» osserva Mariani. Cosa avviene sulle Alpi, che sono il nostro “forziere” d’acqua? «Sull’area trentina, come in molte altre – osserva Piazza – le temperature sono aumentate di circa 1,5 °C come mostrano le medie annue della stazione di Trento Laste (serie storica che parte dal 1921). Nel 2024, la temperatura media annua è stata di 14,2 °C a fronte di una media di 12,6 °C e risulta inferiore, di soli 0,2 ° C, a quella record registrata sia nel 2022 che 2023».
Realtà e percezione
La percezione del cambiamento non è sempre univoca. «Giocano un ruolo determinante i mezzi di informazione: ogni volta che le temperature sono sopra la media, rimarcano come causa il riscaldamento globale spesso anche quando i fenomeni sono tipici della normale variabilità meteorologica» osserva Piazza, il quale, pur confermando «la maggior frequenza di registrazione di record di temperature elevate rispetto alle ondate di freddo» ricorda che «in Trentino l’onda di calore più lunga si è misurata nel ’45».
Due cambiamenti in uno
Mariani sostiene che «il cambiamento climatico ha interessato le temperature e che sono state molto meno influenzate le precipitazioni dell’areale mediterraneo, le quali hanno continuato a manifestare quella consistente variabilità che è una caratteristica del nostro clima. Le temperature più elevate a valle del 1987 sono state accompagnate da una maggior frequenza delle ondate di caldo con un aumento delle condizioni di stress per i vegetali, gli animali domestici e l’uomo». Piazza condivide: «Le precipitazioni non mostrano variazioni apprezzabili». In Trentino, i dati delle falde freatiche sono rilevati nei fondovalle e, al momento, non si osservano variazioni sistematiche.
Le conseguenze sulla vita
Statisticamente parlando, i morti di freddo continuano ad essere più numerosi delle vittime del caldo, ma con temperature più elevate i vegetali traspirano di più e in caso di siccità vanno in stress; per contro, si ha un anticipo delle fasi di sviluppo e si possono coltivare varietà a ciclo più lungo, aumentando le rese. «Nella vite, la fioritura, l’invaiatura e la maturazione si verificano in media con 10-15 giorni di anticipo rispetto agli anni 50-70. Se consideriamo la stagione vegetativa e cioè il periodo di tempo che intercorre fra l’ultima gelata primaverile e la prima gelata autunnale, ci accorgiamo che negli ultimi 30 anni la sua durata è aumentata di circa 20 giorni – 1 mese» dice Mariani. Piazza conferma che «alla luce dell’aumento delle temperature, si sta valutando di sostituire alcune varietà e portare più in alto le coltivazioni. Le varietà di vite per gli spumanti che necessitano di temperature non troppo elevate potranno essere coltivate a quote più elevate». L’aumento delle temperature, aggiunge Mariani, porta quello dei consumi per evapotraspirazione delle colture: in Val padana le temperature sono aumentate di circa 1.5-2°C rispetto agli anni ‘70 il che comporta un aumento di circa una irrigazione per il mais. Se poi è vero che la viticoltura si sposta a quote maggiori (gli 1-2°C di aumento delle temperature medie annue significano un possibile aumento di quota di 200-400 metri), alzandosi aumenta il rischio di danni da gelate tardive.
La tropicalizzazione
Per il meteorologo trentino «stanno aumentando le notti tropicali, con temperature minime superiori a 20 °C, tant’è che Trento sud, dove negli anni ’80 erano rare, sono circa 20 volte all’anno», tuttavia, su un piano strettamente scientifico, «l’aumento degli eventi estremi è molto più difficile da rilevare e, al momento, non è possibile affermare con certezza che tali eventi siano in aumento». Mariani osserva che «le serie storiche delle precipitazioni sull’Italia sono nella gran parte dei casi stazionarie (grandi oscillazioni da un anno all’altro ma assenza di tendenze significative). Quel che si nota è un aumento della variabilità; nel Nordovest il 2022 è stato l’anno meno piovoso dell’ultimo secolo, seguito dal 2024, che a Milano è stato l’anno più piovoso dal 1764». Oggi, sull’Italia piovono in media 260 miliardi di metri cubi mentre le fonti idriche disponibili per il consumo umano sono pari a 20 Miliardi di metri cubi (meno del 10% rispetto alle piogge). Di questi 20 miliardi l’agricoltura usa 6-8 miliardi (30-40%).
L’anomalia siciliana
La vera anomalia pluviometrica è la Sicilia. Così si esprime il dirigente del servizio agrometeorologico di Catania, Luigi Pasotti: «si susseguono frequenti anomalie, anche di segno opposto; nel 2018 sono stati registrati i mesi di giugno e di agosto più piovosi della storia meteorologica della Sicilia; nel 2020, il bimestre gennaio-febbraio più asciutto; nel 2023, il maggio più piovoso; nel 2023, l’ottobre più asciutto e contemporaneamente il semestre luglio-dicembre più asciutto. Relativamente all’intensità di precipitazione, si sono registrati una serie di eventi estremi, pensiamo al nubifragio di Palermo del 15/07/2020 (134 mm in circa 2 ore e mezza) o al fenomeno alluvionale di Giarre del 13 novembre scorso (oltre 500 mm in 6 ore)».
Quanta acqua è caduta
«Secondo mie stime – dice Mariani – nel 2022 sull’Italia sono piovuti 169 miliardi di metri cubi (-36% rispetto alla norma) con un -39% al Nord, -38% al Centro e -29% al Sud». E cosa è successo in Sicilia? «A livello di precipitazioni annuali – dichiara Pasotti –, il trentennio 1991-2020 ha permesso una ripresa delle precipitazioni medie annuali regionali, dopo che i trentenni di riferimento precedenti avevano visto un calo notevole della precipitazione media annuale rispetto alla prima parte del XX secolo. Nel 2024 per il terzo anno consecutivo (569 mm, 588 mm, 615 mm) le precipitazioni medie sono state inferiori alla norma del trentennio 1991-2020 (679 mm). Ma il deficit è molto più marcato nelle aree interne rispetto alle fasce costiere e la quota di precipitazioni cadute nei mesi “caldi” (da aprile a settembre), quando l’acqua evapora più velocemente, aumenta a scapito dei mesi “freddi”».
Le riserve
Se non piove meno, perché c’è la siccità? Con la temperatura media, in questi anni, è salito di 200-400 metri lo zero termico: i ghiacciai si sciolgono e i nevai durano meno. «Anche la superficie e la massa dei ghiacciai trentini sta costantemente diminuendo» denuncia Piazza. «Quello dello scioglimento dei ghiacciai non è un fenomeno senza precedenti. Circa 7000 anni fa, quelli alpini scomparvero quasi del tutto – ricorda Mariani – ma ciò deve indurci ad ampliare le riserve stoccate nei laghi alpini e prealpini (Maggiore, Como, Iseo, Garda, Idro) e investire in laghetti artificiali sull’areale appenninico, mentre mi convince meno la strategia dei dissalatori». Pasotti evidenzia l’effetto temperature: «A parità di pioggia caduta, si è ridotta quella disponibile per la riserva idrica del suolo a causa delle temperature più elevate, che fanno aumentare le perdite per evaporazione; abbiamo meno riserve idriche anche perché i suoli arrivano più difficilmente a saturazione e rilasciano meno acqua nel reticolo idrografico che alimenta gli invasi».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link