La spinta di Trump alla destra populista

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A ben vedere, la vera cerimonia di insediamento di Donald Trump non è stata quella ufficiale di lunedì 20 gennaio, nella Rotonda del Campidoglio, davanti ai notabili della politica, primo fra tutti un Joe Biden dall’impeccabile fair play istituzionale, e a quelli dell’economia, con in prima fila i più ricchi tra i ricchi, ovvero Elon Musk, Mark Zuckerberg e Jeff Bezos.

L’insediamento trumpiano per definizione era stato quello del giorno prima, alla Capitol Arena, davanti a decine di migliaia di seguaci adoranti che hanno simbolicamente celebrato la riconquista di Washington da parte del movimento Maga, ovvero Make America Great Again. E simbolo per simbolo, chissà quanta malizia c’è stata nel far suonare «Gloria», lo stesso pezzo sulle cui note, accennando passetti di danza, Trump nel 2021 aveva seguito l’assalto al Campidoglio della folla che aveva creduto al mito dell’elezione rubata.

E infatti ieri, sotto le volte storiche della Rotonda, Trump non ha fatto che ripetere, in toni appena più moderati, gli argomenti già riservati ai fan. Si apre una nuova età dell’oro per l’America. Fine della politica green, più trivellazioni per ridurre i prezzi dell’energia e bando alle auto elettriche per salvare l’industria americana. Dazi sulle esportazioni altrui per favorire il benessere delle famiglie americane. Espansione territoriale degli Stati Uniti, che si riprenderanno il Canale di Panama anche per fermare l’espansione della Cina. Emergenza nazionale al confine Sud ed espulsione immediata di milioni di immigrati irregolari. Fine del gender, in futuro solo maschio o femmina.

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Messi tutti in fila questi punti fanno impressione ma sono quelli che l’hanno portato trionfalmente, e per la seconda volta, alla Casa Bianca. E Trump ha già preparato una scarica di ordini presidenziali esecutivi per applicarli, con particolare durezza per quanto riguarda il tema immigrazione, per il quale tra l’altro si prevede di ripristinare il programma Remain in Mexico (chiede ai richiedenti asilo di rimanere in Messico durante l’elaborazione della pratica) che Biden aveva sospeso e di abolire la concessione automatica della cittadinanza Usa ai figli di immigrati irregolari che siano però nati negli Usa.

Detto che in politica tra il dire e il fare corre sempre un’opera di mediazione che spesso smorza gli entusiasmi e corregge gli eccessi, che cosa possiamo davvero aspettarci da questo Trump bis? Intanto è questo bis che dovremmo analizzare meglio. Tornare alla Casa Bianca otto anni dopo la prima elezione, con l’intervallo di un presidente di segno politico opposto, è un’impresa straordinaria. Che stupisce solo se non si ricorda che per battere Trump nel 2020 Biden dovette fare il record storico di voti popolari. Pur sconfitto, Trump anche allora aumentò in modo significativo i suoi consensi. Questo vuol dire che il trumpismo non è più un fenomeno sporadico ma una corrente politica di vasta portata e lunga durata, che ha già cambiato la politica americana (il Partito repubblicano come lo conoscevamo prima di Trump non esiste più) ma è destinata ad avere un’influenza molto pesante anche fuori dagli Usa.

Sarebbe difficile non cogliere un nesso tra quanto predica Trump e ciò che chiedono i movimenti della destra populista che, dalla Francia alla Germania, dall’Austria all’Olanda, stanno avanzando in tutta Europa. E visto che l’unico politico europeo di governo presente all’insediamento era la nostra premier Giorgia Meloni. Soprattutto ora che Elon Musk si è assunto il ruolo di ufficiale di collegamento tra la locomotiva trumpiana e i vagoni europei, tra l’una e l’altra sponda dell’Atlantico.

È stato fin troppo facile, durante il quadriennio 2016-2020, trattare Trump da pasticcione incapace. Solo il 6% dei funzionari da lui nominati sono arrivati alla fine del mandato, 14 ministri si sono dimessi in corso d’opera (record di ogni tempo per gli Usa), quattro Consiglieri per la sicurezza nazionale sono stati avvicendati. E poi la disastrosa gestione del Covid. Ma l’economia funzionava a pieno ritmo ed era già stato il democratico Bill Clinton a dire «It’s the economy, stupid», per spiegare quanto conti il portafoglio al momento di votare. Questo secondo mandato, che promette di essere anche più “violento” del primo, è peraltro cominciato con l’influenza decisiva di Trump nella stipula della tregua a Gaza. Ennesima dimostrazione di quanto il personaggio The Donald sia difficile da decifrare e, come ben sanno i democratici, da fermare.

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