«Sorpreso? La bocciatura del referendum abrogativo sull’autonomia può stupire solo i chiacchieroni convinti che la Corte viva alla giornata, improvvisando di volta in volta un orientamento».
Mario Bertolissi, il costituzionalista del Bo che patrocina il Veneto alla Consulta, rientra dalla capitale soddisfatto. Udinese (e alpino) di nascita, padovano d’adozione, è un maestro di diritto incline alla schiettezza.
«Personalmente, dopo la sentenza di novembre sui ricorsi delle quattro Regioni contrarie alla legge Calderoli, nutrivo pochi dubbi al riguardo: suggerendo correzioni mirate al testo originario, i giudici hanno scelto di tutelare l’impianto della riforma, disinnescando la miccia referendaria. Così, dichiarare non ammissibile la consultazione, è stato un gesto di coerenza».
Professore, il giurista Massimo Villone, esponente del Comitato abrogativo, parla invece di «scelta non condivisibile e un po’ cerchiobottista» alla luce delle precedenti, severe, critiche alla legge Calderoli, dichiarata incostituzionale in più articoli e, per alcuni versi, riscritta.
«Ma è proprio questo il nocciolo. La Corte, nell’occasione, aveva adottato il punto di vista dei ricorrenti – Campania, Puglia, Sardegna, Toscana – definendo l’illegittimità di specifiche parti, salvo definire infondato il giudizio di incostituzionalità sull’intera legge. De facto, ha sgombrato il campo dagli ostacoli, salvaguardando l’impianto. I ricorsi? Mi lasci dire che nel caso campano rasentavano la follia, evocando una sorta di apocalisse con l’Italia disgregata, il Sud alla fame. L’invasione delle cavallette…».
Lunedì, all’udienza decisiva, lei ha illustrato la memoria difensiva del Veneto in perfetta solitudine. Assenti le altre Regioni a vocazione autonomista, uccel di bosco anche il governo con la premier Giorgia Meloni lesta a sfilarsi dalla partita. Un po’ strano.
«La verità è che solo al Veneto, terra di confine, sta davvero a cuore l’autonomia, gli altri vanno e vengono. Do atto al presidente di Zaia di avere acconsentito alla costituzione in giudizio: la decisione non era priva di rischi ma Regione non si è tirata indietro e ora può intestarsi il merito del successo».
Ora però governo e Parlamento devono rimettere mano al testo legislativo.
«Sarebbe un’azione opportuna per quanto non strettamente necessaria. Lo ribadisco: a modificare il dettato ha già provveduto la Corte, respingendo la richiesta di cancellazione totale. Ora le strade percorribili sono due: introdurre nuove disposizioni in luogo di quelle bocciate, oppure integrare la normativa applicando con scrupolo le osservazioni della Corte. Non sarà un grande problema».
Lei è il regista della delegazione veneta trattante, quando potrà riprendere il negoziato autonomista con lo Stato?
«Immediatamente, purché rispetti le indicazioni della Corte, il ministro Calderoli può procedere serenamente, Io dico: basta cornici, facciamo il ritratto, serve un dialogo pacato, qui nessuno vuole scappare con la cassa, lavoriamo insieme senza prestare ascolto agli analfabeti di ritorno».
Sembra un percorso in discesa ma la Corte non ha lesinato gli alert in vista delle trattative.
«In realtà ha raccomandato soprattutto il rispetto delle formalità, intese come procedure istituzionali, insistendo sui princìpi di efficienza, efficacia, responsabilità, costi e fabbisogni standard. Nel concreto: si eviti di inglobare nelle prestazioni non essenziali le funzioni che intercettano i diritti civili e sociali, di pertinenza Lep. E si coinvolga appieno il Parlamento in ogni fase della discussione, accantonando la logica del prendere o lasciare».
Uno sguardo a Nordest: alle Regioni speciali, e in particolare al Friuli Venezia Giulia, sarà riservato un ruolo nella fatidica trattativa autonomista?
«No. Queste Regioni sono estranee al campo di applicazione dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione che prevede ulteriori forme e condizioni di autonomia. Ciò perché il loro ordinamento è disciplinato dallo statuto speciale che ha valore di legge costituzionale e le conseguenti funzioni, dal personale ai tributi, sono regolate da decreti di attuazione».
Lei è un veterano del diritto di cultura liberale. Perché difende con tanta passione la causa autonomista?
«Perché le autonomie, i corpi intermedi tra la società e lo Stato, rappresentano le basi della comunità e, non a caso, diventano i primi bersagli dei sistemi autoritari”.
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