Diocesi Alto Adige, il teologo Renner: «Il vescovo Egger fu timoroso e non prese decisioni. Golser tarpato dal Parkinson»

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di
Silvia M.C. Senette

Il teologo: «Provo profonda tristezza. Interi paesi omertosi. Lavoriamo per la prevenzione, oggi i preti sono meno soli»

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Don Paul Renner, teologo, parroco e direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Bolzano, commenta «II coraggio di guardare», la prima indagine indipendente realizzata in Italia sugli abusi sessuali su minori in ambito ecclesiastico commissionata dalla diocesi di Bolzano e Bressanone a uno studio legale specializzato di Monaco di Baviera. Il report porta alla luce una realtà drammatica: 67 i casi, 59 le vittime e 29 i sacerdoti responsabili di abusi in Alto Adige dal 1964 al 2023.

Qual è stata la sua prima impressione ascoltando questo report?
«Di profonda tristezza, perché sentire quante persone sono state oggetto di attenzioni malevoli da parte di chierici mette tutti a disagio. Ci si sente in qualche modo colpevoli di non aver capito certi fenomeni, di non essere intervenuti a sufficienza. Il problema grosso è che in passato il fenomeno non era molto avvertito come grave e quindi, purtroppo, si è gestito con gli spostamenti dei responsabili. È come se trent’anni fa uno avesse avuto un infarto in piazza: non potremmo dire “perché non avete usato il defibrillatore?”. Non esisteva. Allo stesso modo, non c’era questa mentalità del prendersi cura, del rispettare profondamente».




















































Come legge il fenomeno più ampio degli abusi?
«L’estate scorsa ho tradotto il libro “Noi rompiamo il silenzio”, pubblicato a Bolzano, con i racconti di otto vittime di abusi di vario genere. Solo uno di questi otto casi si è verificato in ambiente ecclesiale; gli altri sette erano avvenuti in famiglia, nel parentado, con i vicini di casa, in associazioni. È giusto che la Chiesa si assuma le sue responsabilità, ma bisogna stare attenti a non ridurre il problema alla sola Chiesa perché si rischierebbe di lasciar fuori il 95% dei casi. In questo modo si crea un alibi collettivo: l’orco cattivo è il parroco, e intorno invece c’è un mondo che deve cambiare».

Cosa l’ha colpita di più di questa indagine?
«Una sessantina di casi nei 60 anni esaminati rappresenta un campione abbastanza limitato. Certamente colpisce il fatto che in passato si siano avuti degli atteggiamenti conniventi o omertosi. Però era omertosa l’istituzione, ma anche interi paesi. È stato citato il caso di un parroco che avrebbe celebrato il funerale di una sua vittima di abusi morta suicida. Conoscendo il parroco, e avendolo anch’io messo in guardia dal fatto che giravano voci non buone sul suo conto, sapevo di questo maestro che si era suicidato impiccandosi sotto il ponticello davanti alla scuola. Un modo di porre fine alla propria vita veramente raccapricciante. Capisco che la vittima fosse sofferente, ma aumentare l’onda della sofferenza non risolve il proprio dramma. In ogni caso c’è da fare ancora chiarezza su tanti casi: ne sono stati citati alcuno che così scontati non sono e bisogna che tutti collaborino per fare luce su questi episodi».

Come è cambiata la situazione oggi?
«Mi dà serenità sapere che attualmente in seminario abbiamo pochi studenti ma seguiti molto più attentamente dal punto di vista pedagogico e psicologico. Un tempo il prete viveva isolato, oggi abbiamo molto più contatto con le persone. Un tempo c’era il forte problema della solitudine che oggi non c’è più: tutti hanno diverse parrocchie, diversi incarichi, c’è molta collaborazione con i team pastorali di laici impegnati».
Come si è arrivati alla decisione di commissionare questa indagine?
«Il progetto è stato molto caldeggiato da don Gottfried Ugolini, responsabile del settore abusi. Ha proposto al vescovo di accettare questa verifica da parte di una fonte esterna e Muser era in dubbio. Ha chiesto consiglio ad alcuni di noi e tutti abbiamo detto: sarà una cosa spiacevole ma necessaria. C’era un problema di costi, sicuramente una cifra molto sostanziosa, però è stato più forte il bisogno di cambiare nettamente rotta».

Come giudica i riferimenti non lusinghieri ai vescovi precedenti Golser ed Egger e agli ex vicari Mazneller e Michaeler?
«Il vescovo Golser fin dall’inizio ha lanciato il progetto “tolleranza zero” ma è stato purtroppo tarpato dal Parkinson. I vicari Mazneller e Michaeler utilizzavano la vecchia prassi degli spostamenti anziché intervenire a sradicare il male e questo è andato avanti fino agli anni ‘90. Il vescovo Egger, purtroppo, era molto timoroso nel prendere decisioni, è stato un po’ pavido. Ma è facile fare i conti a cose chiarite. Ed è facile prendersela con i morti che non possono né giustificare le loro azioni né chiedere perdono, se riconoscono di aver sbagliato».

C’è la speranza che altre diocesi italiane seguano il vostro esempio?
«Sebbene ci sia globalmente la volontà di mettere ordine, uno studio come questo ha un costo notevole e non credo siano molte le diocesi che possono permetterselo. Ma si lavora, soprattutto per la prevenzione».

Da teologo, reato a parte, cosa pensa di questi sacerdoti?
«Mi chiedo dov’è la fede, ma soprattutto la carità, perché questo allontana dal Vangelo. Peccatori lo siamo tutti, però ci sono peccati e peccati: imporre atteggiamenti sbagliati ad altre persone è terribile, va contro ogni morale. Questi abusi toccano la dimensione evangelica che viene disattesa. Si vorrebbe il massimo della coerenza e invece non si trova il minimo della responsabilità. Errori che feriscono le persone così profondamente non dovrebbero essere concessi e vanno stigmatizzati con chiarezza. Grazie a Dio si sta facendo del lavoro e bisogna proseguire; siamo appena all’inizio di un processo delicato ma assolutamente necessario».

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