Bancarotta fraudolenta per distrazione o preferenziale nel caso di restituzione dei finanziamenti concessi dai soci in favore della fallita? (Riccardo Radi)

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La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 1923/2025 ha stabilito che assume natura distrattiva la restituzione ai soci di somme di denaro che erano state da loro versate quando la società si trovava in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, tale da fare ragionevolmente assumere a tale immissione di denaro la sostanziale natura di conferimento.

In assenza di tale requisito, il finanziamento del socio avente carattere acclarato e comunque non contestato di mutuo ex art. 1813 c.c., dà luogo al diritto alla restituzione nei termini convenuti.

Con l’effetto che il rimborso avvenuto prima della liquidazione e in violazione della par condicio creditorum, può dar luogo alla meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale, volta a sanzionare anche prelievi o rimborsi che siano effettuati in epoca di difficoltà della società.

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Nel caso esaminato, il ricorrente sostiene che le somme prelevate dall’imputato costituirebbero una compensazione con i crediti vantati dall’amministratore verso la società, in relazione a somme di denaro da lui concesse a titolo di mutuo.

Il fatto, pertanto, alla luce della giurisprudenza di legittimità, andrebbe riqualificato come bancarotta preferenziale.

Al riguardo, va rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato differenti orientamenti in ordine alla qualificazione giuridica da attribuire alle restituzioni dei finanziamenti concessi dai soci in favore della fallita.

Secondo un primo orientamento, tale fatto integra il reato di bancarotta preferenziale, atteso che si tratta della restituzione di crediti liquidi ed esigibili, fatta in pregiudizio degli altri creditori (Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Rv. 239487 – 01; Sez. 5, n. 1793 del 10/11/2011, Rv. 252003; Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Rv. 254985 – 01; Sez. 5, n. 5186 del 02/10/2013, Giamundo, Rv. 260196; Sez. 5, n. 10117 del 22/01/2018, Bartolini, n.m.).

Secondo un diverso orientamento, integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale la condotta dell’amministratore di una società che, in un periodo di difficoltà della società, proceda al rimborso di finanziamenti erogati dai soci.

La restituzione di un finanziamento, in un periodo di difficoltà della società, invero, oltre a violare il divieto di postergazione di cui all’art. 2467 cod. civ., assume un significato diverso e più grave rispetto alla mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri (Sez. 5, n. 25773 del 20/02/2019, Scarpaci, Rv. 277577; Sez. 5 n. 50495 del 14/6/2018, Sestili, Rv. 274602; Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Allia, Rv. 271464).

Decisiva, dunque, in base a tale orientamento, è la situazione di difficoltà finanziaria della società “al momento della restituzione” delle somme di denaro.

Secondo un più recente orientamento, in una prospettiva convergente con il primo orientamento, si è richiamata l’attenzione dell’interprete sulla necessità di delineare con precisione la natura del versamento che era stato effettuato dal socio e, in particolare, di verificare se esso avesse costituito un conferimento o anche un versamento finalizzato a un futuro aumento di capitale oppure, piuttosto, un finanziamento a titolo di mutuo.

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Nei primi due casi il rimborso può configurare la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti a un credito esigibile nel corso della vita della società, mentre, nel terzo caso, il prelievo di somme quale restituzione dei versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale (Sez. 5, n. 27446 del 08/03/2024, Rondinelli, Rv. 286623; Sez. 5, n. 32930 del 21/06/2021, Provvisionato, Rv. 281872; Sez. 5, n. 8431 del 1/2/2019, Vesprini, Rv. 276031).

I versamenti a titolo di mutuo, infatti, comportano il sorgere, in capo ai soci, di un credito chirografario, effettivo ed esigibile, senza che dalla sua restituzione consegua un effettivo depauperamento dell’asse patrimoniale.

A sostegno di tale tesi, è stato richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza civile di legittimità (Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557), secondo cui i versamenti operati dai soci in “conto-capitale“, pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti a una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti versamenti, dunque, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo in caso di scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione.

I versamenti operati dai soci in favore della società a titolo di mutuo fanno, invece, sorgere il diritto alla restituzione della somma mutuata anche durante la vita della società, ove nel corso di essa maturi la scadenza del credito.

In una recente pronuncia è possibile cogliere un’ulteriore puntualizzazione da parte della giurisprudenza penalistica in materia (Sez. 5, n. 29670 del 20/06/2024, Vantaggiato, n.m.).

In tale sentenza – pur senza contraddire «l’indiscussa distinzione tra versamenti in conto capitale, in conto futuro aumento di capitale e finanziamenti del socio a titolo di mutuo», operata dalla giurisprudenza formatasi negli ultimi anniè stato affermato che assume, in ogni caso, rilievo decisivo la situazione finanziaria della società “nel momento in cui il socio aveva effettuato il versamento di denaro“.

In particolare, se in quel momento la società si trovava «in un periodo di significativo squilibrio finanziario», all’immissione di denaro nella società, «in qualsiasi forma effettuata», deve essere riconosciuta la veste di finanziamento «sostitutivo del capitale» e come tale deve essere assoggettato alla medesima disciplina dei conferimenti o dei versamenti a salvaguardia del capitale di rischio.

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Dalla sostanziale equiparazione legale (ex art. 2647 comma 2, c.c.) di tali immissioni di denaro ai conferimenti discende (sotto tale profilo, in coerenza con i recenti approdi della giurisprudenza di legittimità) la conseguenza della natura distrattiva del prelevamento effettuato a fini di restituzione al socio.

Tale orientamento trova fondamento, appunto, nel secondo comma dell’art. 2467 cod. civ., che prevede che tutti i finanziamenti effettuati in un momento in cui la società si trova in una situazione di grave squilibrio finanziario vengano sottoposti alla disciplina della postergazione, che determina per i creditori una situazione non molto diversa da quella in cui essi si trovano rispetto a un conferimento in conto capitale.

Tali forme di finanziamento, sostanzialmente, rispetto alla posizione dei creditori, sono ex lege equiparate agli apporti destinati al capitale.

La cassazione ritiene di valorizzare quest’ultimo orientamento, che, come detto, non si contrappone alla maggior parte di quelli precedentemente esposti, ma, sotto certi profili, risulta coerente a essi e li completa.

Tali precedenti orientamenti, invero, ritengono che abbia natura distrattiva la restituzione ai soci di somme che erano state versate a titolo di conferimento.

Ebbene, è l’art. 2647 cod. civ. a equiparare sostanzialmente – quanto meno rispetto alla posizione dei creditori – i versamenti dei soci, effettuati in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, ai conferimenti.

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In tal senso, appare quantomai significativo che l’art. 2467, comma 2, cod. civ. faccia riferimento non solo allo specifico momento in cui «risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto», ma anche più genericamente alla «situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento».

Dalla lettera della norma emerge in maniera evidente che non rileva la forma che gli interessati abbiano dato al versamento («in qualsiasi forma effettuati»), ma la situazione finanziaria della società al momento del versamento; rileva, in particolare, la situazione che consente, in base alla presunzione del legislatore, di attribuire a quell’immissione di denaro la sostanza di un conferimento.

Siccome di sostanziale conferimento si tratta, il legislatore come tale lo disciplina, quantomeno con riferimento alla posizione dei creditori della società.

Va sottolineato che, trattandosi di qualificare condotte di bancarotta fraudolenta, quel che rileva è proprio la posizione dei creditori e non assume rilievo che il versamento del socio venga disciplinato, sotto altri profili, in maniera differente dal conferimento.

In altri termini, considerato che la riconduzione delle operazioni in esame alla fattispecie della bancarotta distrattiva è subordinata alla natura di conferimento riconosciuta alla somma versata dal socio e che il legislatore – per quel che riguarda la posizione dei creditori, la cui tutela assume primario rilievo in materia di bancarotta – ha sostanzialmente equiparato ai conferimenti le immissioni di denaro effettuate in situazioni di grave squilibrio finanziario della società, appare coerente ritenere che l’intempestiva restituzione di tali versamenti di denaro assuma il rilievo di una distrazione.

La sostanziale equiparazione tra conferimenti e versamenti dei soci, effettuati in un momento di eccessivo squilibrio finanziario della società, trova fondamento non solo nella lettera dell’art. 2467 cod. civ., ma anche nella ratio della norma, come ricostruita dalla giurisprudenza e dalla dottrina civilistica.

Entrambe, invero, hanno evidenziato che il legislatore, introducendo tale norma, ha inteso occuparsi del problema della c.d. sottocapitalizzazione nominale (molto diffusa nelle società a ristretta compagine o a carattere “familiare”), in presenza della quale la società dispone sicuramente dei mezzi per l’esercizio dell’impresa, ma questi sono in minima parte imputati a capitale, perché risultano per lo più concessi sotto forma di finanziamento.

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La giurisprudenza civile, nel ricostruire il «fondamento della disposizione», ha richiamato anche «la Relazione alla riforma del diritto societario del 2003», che significativamente «parla di “capitale di credito formale”, contrapposto alla “sostanza economica di capitale proprio”» (cfr. Sez. civ. 1, n. 12994 del 15/05/2019).

La ratio della norma è stata individuata «nell’intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell’attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento» (Sez. civ. 1, n. 12994 del 15/05/2019; Sez. civ. 1, n. 16291 del 20/06/2018, Rv. 649534; Sez. civ. 1, n. 14056 del 07/07/2015, Rv. 635830).

Il legislatore ha così inteso «reagire alla possibile traslazione del rischio d’impresa dalla società al mercato: il finanziamento è “anomalo” o “sostitutivo del capitale”, in quanto un creditore sul mercato del credito non lo avrebbe concesso, o non a quelle condizioni, a causa della situazione finanziaria della società» (Sez. civ. 1, n. 12994 del 15/05/2019).

La dottrina, in particolare, ha evidenziato come, con l’introduzione di questa norma, si sia ridotta la rilevanza sotto il profilo pratico della distinzione tra finanziamenti e conferimenti in conto capitale, in conseguenza della sottoposizione di entrambe le operazioni alla regola della postergazione, quando il versamento del socio venga fatto nel periodo di grave squilibrio finanziario.

Tale sostanziale equiparazione non può non ripercuotersi anche sulla natura da riconoscere alla restituzione dei versamenti in questione, prima della avvenuta liquidazione: se alla restituzione dei conferimenti deve essere riconosciuta natura distrattiva, uguale natura, coerentemente, deve essere riconosciuta alla restituzione del versamento che fu effettuato nel periodo di grave squilibrio finanziario della società.

In conclusione, la cassazione nel caso esaminato ritiene che assuma natura distrattiva la restituzione ai soci di somme di denaro che erano state da loro versate quando la società si trovava in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, tale da fare ragionevolmente assumere a tale immissione di denaro la sostanziale natura di conferimento.

In assenza di tale requisito, il finanziamento del socio avente carattere acclarato e comunque non contestato di mutuo ex art. 1813 c.c., dà luogo al diritto alla restituzione nei termini convenuti.

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Con l’effetto che il rimborso avvenuto prima della liquidazione e in violazione della par condicio creditorum, può dar luogo alla meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale, volta a sanzionare anche prelievi o rimborsi che siano effettuati in epoca di difficoltà della società.

A tale principio, non si sono attenuti i giudici di merito, che hanno attribuito natura distrattiva alla restituzione effettuata in favore dell’imputato, in base al solo elemento che tale restituzione era avvenuta in un periodo di dissesto della società (cfr. pagina 5 della sentenza impugnata).

I giudici di merito, in altre parole, hanno guardato solo al momento della restituzione, quando, invece, in considerazione dell’art. 2467, comma 2, cod. civ., possono assumere rilievo determinante – ai fini della collocazione del discrimine, nella materia de qua, tra la bancarotta distrattiva e quella preferenziale – il momento in cui il socio aveva effettuato il versamento in favore della società e la situazione finanziaria in cui quest’ultima versava in quel momento.



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