Si riparte da una legge delega per i Lep. La riforma non potrà essere allargata alle Regioni a statuto speciale
L’uscita di scena del referendum consente al governo di procedere su quella che Roberto Calderoli considera la vera questione in campo: la definizione dei costi standard previsti per tutte le funzioni dello Stato. Secondo il ministro, infatti, per gli altri problemi sollevati dalla Corte, il testo stesso è «autoesplicativo»: la Consulta ha indicato come riscrivere il testo della legge. Quanto alla definizione dei Lep, il Parlamento dovrebbe procedere con legge delega. Mentre per le opposizioni la Consulta ha già distrutto l’attuale legge sull’Autonomia.
La Corte costituzionale lunedì ha respinto la richiesta di referendum sulla cosiddetta «legge Calderoli», la legge quadro che fissa i criteri con cui ciascuna Regione potrà chiedere allo Stato forme specifiche di Autonomia. Secondo le opposizioni, il no al referendum si deve al fatto che una precedente decisione della Consulta (192/2024) del 14 novembre — motivazioni depositate lo scorso 3 dicembre — aveva già sollevato sette profili di costituzionalità a cui sarà necessario mettere mano. E dunque, dato che la legge è in parte da riscrivere, secondo la Consulta il referendum per cui i partiti dell’opposizione e la Cgil avevano raccolto 1,3 milioni di firme, ha perso di senso: «Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale». Il che confligge con l’art.116, terzo comma, della Costituzione che «non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale».
Lo scorso novembre la Consulta aveva giudicato «non fondata» la questione di costituzionalità dell’intera legge Calderoli. Ma allo stesso tempo vi aveva individuato sette profili di incostituzionalità, perlopiù legati al principio di sussidiarietà. Questi i sette problemi indicati in quell’occasione dalla Corte: il trasferimento dallo Stato a una Regione non può riguardare intere materie di legge ma soltanto funzioni specifiche; la delega al governo per determinare i Livelli essenziali di prestazione (uno dei concetti chiavi della riforma costituzionale del 2001 su cui è basata la legge Calderoli) ha criteri da chiarire meglio. La loro attuale formulazione comprime il ruolo del Parlamento; per un motivo simile, la limitazione delle prerogative parlamentari, è da rivedere «il metodo di aggiornamento dei Lep attraverso un decreto del presidente del Consiglio»; incostituzionale, secondo la Corte, è anche il principio per cui, in attesa dei decreti legislativi per i Lep, si proceda con le leggi ordinarie di Bilancio.
Di nuovo, i decreti non sono gli strumenti adatti a regolare quelli che sono, concretamente, i diritti civili e sociali, dalla salute all’istruzione; la possibilità «di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite», in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento del gettito è incostituzionale. In questo modo «potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti» che, ricevute le risorse destinate alle funzioni trasferite dallo Stato, poi non sono in grado «di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni»; il fatto che siano facoltativi, e non obbligatori, gli obblighi di partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica possono portare «all’indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica».
Infine, la legge non può essere allargata alle Regioni a statuto speciale: ciascuna può seguire le procedure dei rispettivi Statuti.
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