È intervenuto ai microfoni di “QTBR – Quinto Tempo Bianco Rosso” podcast che parla a 360° del mondo della Pallacanestro Varese, Andrea De Nicolao, playmaker ora in forza alla Pallacanestro Cantù che ha trascorso 2 anni sotto al Sacro Monte tra le stagioni 12-13 e 13-14. De Nicolao nella chiacchierata con Erica e Nicolò, i fondatori del podcast (la puntata disponibile a fine articolo), ha ripercorso la sua carriera partendo dagli inizi, di come ha iniziato a giocare a pallacanestro, dall’esordio in prima squadra e in Serie A con la maglia dell’allora Benetton Treviso, passando per Varese e raccontando soprattutto di quella stagione, la 12-13, dove arrivò vicinissimo alla conquista della Coppa Italia prima e dello scudetto poi, perso solo a Gara 7 contro la Montepaschi Siena. Ma non solo, De Nicolao ha anche raccontato del suo anno alla Scaligera Verona e della scelta di scendere di grandino come quello fatto oggi con la Pallacanestro Cantù, per poi proseguire prima alla Pallacanestro Reggiana sfiorando lo scudetto in finale Play-off con l’Armani Milano e dei suoi 7 anni in forza alla Reyer Venezia, anni dove ha vinto uno scudetto, una coppa Italia e una Fiba Europe Cup. Non poteva mancare il tema nazionale italiana, dove Andrea ha raccontato della sua esperienza vissuta in azzurro. Infine, Andrea ha lasciato spazio anche ad alcuni ricordi delle sue stagioni passate alla Pallacanestro Varese, chiudendo la chiacchierata raccontando del suo rapporto col fratello Giovanni, anch’esso ex Varese ora in forza al Napoli Basket.
Come sta andando a Cantù – “Sto bene, quest’anno è il mio primo anno a Cantù. Anno un po’ particolare per me, ho deciso di scendere in A2 con una società storica che non ha bisogno di presentazione. Sono orgoglioso di fare parte di un progetto ambizioso, di rivalsa, di risalita e con un unico obiettivo. Ed è bello così, c’è la pressione. Mi piace quando c’è in palio qualcosa di importante, le motivazioni sono altissime, come il senso di responsabilità e per un giocatore come me è bellissimo. Sono grato di dare quasi una svolta alla mia carriera passando per Cantù. Ad oggi abbiamo avuto un campionato discreto, ci sono tanti giocatori che si sono approcciati a questo campionato per la prima volta. Si tratta di un campionato molto competitivo, potrei citarne 7/8 che si meriterebbe di stare in Serie A. Per il livello del giocatore, della piazza, dei tifosi. Ora siamo al giro di boa, a metà. Devo dire che ho trovato sempre campi caldissimi. Un campionato veramente bello, lo stiamo affrontare con qualche difficoltà, qualche sfortuna. Ma siamo lì, secondi a due punti dalla prima con i quali abbiamo vinto. I presupposti ci sono per fare bene, speriamo di avere un girone di ritorno un po’ più fortunato. Un’annata diversa, sto prendendo “lezioni”, cose nuove da imparare, sono contento perché mi apre anche il mondo a altre vedute. Sto imparando a conoscere più giocatori italiani che prima non conoscevo. In A2 ci sono tanti giocatori giovani che potrebbero crescere e dire la loro anche al gradino superiore. Questo campionato è un bello spot del campionato di A2″.
I primi passi e l’esordio con Treviso – “Vengo da una famiglia di cestisti. Il mio compianto zio è stato un grandissimo giocatore veneto. Mio padre anche lui ad alto livello. Mio cugino è capo allenatore a Padova in B. I fratelli giocano. La mia famiglia ha fatto presto a darmi la palla in mano. Andavo a vedere mio padre e mio zio giocare. Sono partito di lì. Con grande caparbietà ho sempre cercato di trovare soluzioni diverse per essere migliore degli altri. Sono un po’ testardo, ma da piccolo volevo essere il migliore. Ovviamente sempre in modo competitivo e sportivo così affrontavo i miei fratelli. Il mio percorso passa un po’ da Padova, per un anno o due con le giovanili a Treviso dove vincemmo anche lo scudetto giovanile, poi la fortuna di avere un progetto che aveva la Treviso targata Benetton, dove i giovani erano al centro di tutto. Ricorderò sempre che 4/5 di noi dell’U19 esordimmo in Serie A neanche a 18 anni compiuti. Il mio esordio ufficiale fu al Pianella di Cantù. Era il 2009. Era Benetton vs Pallacanestro Cantù. Me lo ricordo benissimo, giocai una decina di minuti, vincemmo. All’epoca Treviso era ancora la Treviso che giocava in Europa, facemmo la qualificazione per l’EuroLega e perdemmo all’ultimo step contro una squadra francese. Benetton la spiegava un po’ da per tutto”.
La serie contro Milano con la Reggiana per lo scudetto – “Quello è stato un primo trampolino di lancio dopo quello varesino in Serie A. Un anno di consacrazione, è stata una stagione importante. Portai la Reggiana in finale scudetto contro una Milano da Final Four di EuroLeague. Molto più forte e più lunga. Ma da quella stagione porto dietro moltissime cose, tra tutte aver giocato con Kaukenas e Lavrinovic, due tra i migliori giocatori di sempre in Europa. Aver giocato con loro mi ha dato tanto, sia a livello cestistico che di IQ. Di capire e intrepretare la pallacanestro. Mi ha fatto davvero crescere. Ovviamente avevamo una squadra italianissima, tanto si ricorda di quella squadra per questo. C’ero io, Polonara, Della Valle, Stefano Gentile, Aradori, un giovanissimo Arturs Strautins, ma anche Silins cresciuto nelle giovanili. Una squadra senza americana che arrivò in finale scudetto e perse 4-2 contro l’Olimpia. Eravamo la squadra di tutti, più amata o più odiata di tutto il campionato. I tifosi delle squadre avversarie ovunque andavamo ci fermavano, i ragazzini di tutte le squadre si sognavano di essere in noi. In una squadra così italiana, senza americani. Ora se non hai l’americano sembra che non puoi vincere. Noi parlavamo italiano durante gli allenamenti, Kaukenas e Lavrinovic parlavano italiano. Poi dovevamo tradurre a Verameenka. Un bell’esempio purtroppo finito lì. Altri progetti dove si puntasse così tanto negli italiani non si sono più visti. Quell’anno vincemmo la Supercoppa, perdemmo in semifinale di Coppa Italia con Avellino. E in finale scudetto con Avellino. Una stagione da ricordare“.
L’anno a Varese – “Intanto quella è un’annata che mi rimane in gola, una di quelle stagioni nelle quali meritavamo in più. Quando vedo la foto della squadra, sembra quasi come se ci fosse stato rubato qualcosa. Una stagione dominata in lungo e in largo, finita male probabilmente per l’infortunio di Bryant che se non si fosse fatto male probabilmente ci avrebbe portato lo scudetto. Una stagione indimenticabile e incredibile. Nessuno di noi si aspettava di aver fatto una squadra così. Lo stesso Frank [Vitucci] che mi chiamò per venire a Varese. Poi l’amicizia con Polonara. Qualche aneddoto simpatico? In ogni spogliatoio ci sono delle regole, classiche cose che non devono uscire dallo spogliatoio. Ma sono anche regole che fanno fatica a essere rispettate. Trovi chi se ne infischia, se ne frega. Quell’anno lì tutti rispettavano le regole e si era creata un’alchimia e una competitività sana, dove ognuno aveva capito il proprio ruolo e non voleva prevaricare su un altro. Quando succede questo, anche se non sei la squadra più forte, da qualche parte arrivi. Ogni volta che qualcuno arrivava in ritardo doveva pagare la pizza alla squadra. Sistematicamente a rotazione capitava sempre. Ma era la voglia di restare insieme anche fuori dal campo. Tutti dicono “siamo un gruppo, ci vediamo anche fuori dal campo”. Ma non è così, sono cose che capitano ogni dieci anni. Difficile che in una carriera di un giocatore capiti più di qualche volta. Ci trovavamo bene, andavamo a pranzo insieme anche al Campus. Si era creata un’atmosfera magica che il pubblico percepiva, ricordo la fila per prendere i biglietti per Gara 7. Con un palasport da 20mila posti, probabilmente sarebbe stato comunque esaurito. La chiave è stata lì, oltre la grande gestione di Frank. Una squadra che si divertiva, dico sempre anche adesso ai ragazzi più giovani che bisogna divertirsi. Ci sarà sempre qualcuno più bravo, bisogna divertirsi. E noi ci divertivamo tantissimo”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link