Martedì il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha esultato dopo che la sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata, che dunque non si terrà. Aveva esultato anche il 12 dicembre scorso, e con argomentazioni in parte opposte, quando la Corte di Cassazione aveva inizialmente espresso parere favorevole alla convocazione del referendum. E aveva esultato anche quando, a giugno del 2024, il parlamento aveva approvato definitivamente la legge sull’autonomia, a cui lui aveva lavorato con grande passione: nell’esultare aveva escluso che che la legge potesse essere smantellata dalla Corte costituzionale. E quando invece, a metà novembre, la Corte aveva sostanzialmente smantellato la legge, Calderoli aveva comunque esultato.
Nel film I mostri di Dino Risi c’è un episodio – La nobile arte – che racconta la fine triste di Artemio Altidori, un pugile invecchiato che da anni non gareggia più, e che però si compiace del suo presente un po’ misero dicendo sempre «so’ contento». Viene convinto da un impresario senza scrupoli a fare un ultimo incontro, e mentre viene continuamente e violentemente colpito dal suo avversario sul ring, continua a rivolgersi al suo angolo ripetendo «so’ contento».
Qualche settimana fa, alla Camera, alcuni deputati del PD facevano riferimento a questo personaggio per descrivere la tendenza di Calderoli a mostrarsi comunque felice mano a mano che la legge sull’autonomia differenziata da lui lungamente preparata perdeva sempre più consistenza e assumeva le forme di un qualcosa da ricostruire, da rifare: in questi termini ne ha parlato proprio martedì il presidente della Corte costituzionale appena eletto, Giovanni Amoroso.
Il comportamento di Calderoli è quello di chi da un lato resta convinto delle sue ragioni e dall’altro, come spesso capita ai politici, deve fare buon viso a cattivo gioco. Il tutto per difendere una legge a cui lavora da anni, e che vuole cercare di applicare in qualche modo per trasferire maggiori competenze dallo Stato centrale alle Regioni che le chiedono (in particolare quelle del Nord amministrate dal suo partito, la Lega).
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Quando la Camera aveva approvato in via definitiva il disegno di legge sull’autonomia, il 19 giugno 2024, Calderoli aveva celebrato con un emozionato post su Facebook quello che riteneva «il coronamento di anni e anni di battaglie politiche della Lega», e aveva assicurato che «da questo momento in avanti c’è un iter tracciato e ben definito». Ai cronisti che gli chiesero cosa pensasse delle tesi sostenute dal presidente della Campania Vincenzo De Luca, per il quale la legge appariva in contrasto con la Costituzione, aveva risposto categorico: «È una solenne fesseria». In un’intervista al Corriere delle Alpi, il giorno dopo, aveva detto anzi che la legge era già pronta per essere utilizzata e che «ci sono alcune competenze non secondarie che si possono trattare già».
La soddisfazione e le gambe tremanti di Calderoli il giorno che approvarono la legge sull’autonomia differenziata
All’inizio di luglio le opposizioni depositarono in Cassazione il quesito per il referendum, avviando così il percorso per indire la consultazione popolare che avrebbe potuto abolire la legge. Calderoli, allora, disse in un’intervista al Corriere della Sera che a suo avviso il quesito non sarebbe stato ammesso per un motivo tecnico. Lo stesso che precisò più volte nel corso delle settimane seguenti, ricordando di quando, nel gennaio del 2015, la Corte costituzionale rigettò il quesito referendario proposto proprio da Calderoli contro la legge “Fornero” sulle pensioni perché era una norma contenuta in un cosiddetto collegato alla legge di bilancio, cioè un provvedimento che si agganciava in via prioritaria alla finanziaria. «Essendo l’autonomia complessa e quindi disomogenea e collegata alla legge di bilancio, non dovrebbe essere ammissibile il referendum abrogativo», disse Calderoli.
Il 14 novembre, poi, la Corte costituzionale dichiarò illegittime ampie parti della legge: la sentenza non bocciava completamente la norma, ma ne disapplicava parti sostanziali, imponendo al parlamento di modificarla e di fatto rendendola inutilizzabile. Calderoli diede due interviste per festeggiare quello che secondo lui era un riconoscimento di merito. «La Consulta [cioè la Corte costituzionale, ndr] ha sancito che l’autonomia è costituzionale», disse al Corriere. Al Giornale parlò con ancora maggiore entusiasmo: «È un passaggio storico».
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Tre giorni dopo, a Repubblica, precisò meglio il senso della sua contentezza. «Nonostante qualcuno pensi che io abbia preso negativamente il pronunciamento della Corte, non è così». Anzi, la sentenza «mi serve per correggere una legge in modo che sia corrispondente a quanto la Costituzione prescrive». Alla giornalista Giovanna Casadio, che gli chiese se non ritenesse che della sua autonomia «è rimasto solo uno scheletro», Calderoli disse: «Questa è una sciocchezza». Per di più, l’intervento della Corte rendeva ora meno probabile l’ammissibilità del referendum. «Non ho mai ritenuto che fosse ammissibile. E non lo credo ancora più ora», spiegò.
Ventiquattro giorni dopo, la Cassazione diede parere favorevole alla validità del referendum. Il parere andava un po’ contro la tesi di Calderoli, ma lui, commentando la notizia dal palco di Atreju, la festa nazionale di Fratelli d’Italia a Roma, disse che per lui era in realtà un pronunciamento confortante, perché dimostrava che la legge «è viva, vegeta, gode anche non di ottima salute ma di buona salute, perché vuol dire che c’è ed è immediatamente applicabile come io ho sostenuto perché la sentenza [della Corte costituzionale] censura articoli che non ne rendono impossibile l’applicazione».
Lunedì la Corte costituzionale ha infine dichiarato inammissibile il referendum. E Calderoli, intervistato dal Corriere della Sera, si è detto soddisfatto perché «finalmente posso lavorare in pace senza più avvoltoi che mi girano sopra la testa», ribaltando quello che aveva detto a metà dicembre ad Atreju. Ma il punto, a parte le contraddizioni del momento, è che le ragioni per cui la Corte ha ritenuto inammissibile il quesito sono in contrasto con la convinzione di Calderoli, secondo cui la sentenza di metà novembre dichiarava illegittime solo parti marginali della legge. Lo ha spiegato il presidente della Corte Amoroso, durante la conferenza stampa per il suo insediamento, martedì. La decisione dei giudici è stata infatti motivata dal fatto che l’oggetto del quesito, cioè appunto la legge di Calderoli, «si è fortemente ridimensionato» per effetto della sentenza.
E «si è ridimensionato a un punto tale», ha proseguito Amoroso, «che ciò che rimane è poco più che un perno sul quale costruire l’impianto per il trasferimento di specifiche funzioni» dallo Stato alle Regioni: una descrizione molto simile a quella della giornalista di Repubblica che aveva parlato di «scheletro», e che Calderoli aveva bollato come una «sciocchezza». Quanto invece alla possibilità di avviare fin da ora i trasferimenti di alcune competenze, come annunciato da Calderoli nel giugno scorso, Amoroso ha detto che la sentenza esclude del tutto questa possibilità.
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