Quanto dormono gli sportivi

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Se ci pensate, un atleta professionista lavora anche quando dorme. Altro che non pigliar pesci, nel turbo sport del ventunesimo secolo, con stagioni e partite sempre più lunghe, interviste, conferenze stampa ed eventi con gli sponsor, la gestione del sonno è parte integrante dell’attività professionale, con medici e staff di esperti pronti ad aiutare i giocatori. Ne ha parlato anche il numero uno del tennis mondiale, Jannik Sinner, per cui varrebbe la pena di rispolverare un altro proverbio italiano: chi più dorme, più dormirebbe. Anche a ridosso di un match, come lui stesso ha rivelato dopo la vittoria contro Marcos Giron al terzo turno degli Australian Open: «Sono un dormiglione, oltre alle dieci ore di notte, dormo di nuovo mezz’oretta prima della partita, sperando di svegliarmi quando più importa e di alzarmi per le 19», ha scherzato Jannik con Jim Courier. «Dobbiamo scaldarci, sentire la palla prima di scendere in campo». Lo dice con il sorriso, svelando di voler tornare subito a letto. «La parte lunga arriva dopo, tra il bagno di ghiaccio e gli impegni con i media, ma fa tutto parte del lavoro».

Sorridendo, Sinner ha detto la verità. Anche il luogo delle dichiarazioni non è casuale. A Melbourne, un anno fa, il match tra Murray e Kokkinakis si era concluso dopo sei ore alle 4:05 del mattino. Colpa dei programmi serali, sempre più ingolfati per vendere partite a sponsor e tv. Una scelta che aveva colpito a novembre dello stesso anno anche Sinner, costretto a ritirarsi da Parigi-Bercy perché l’incontro con Mackenzie McDonald era terminato troppo tardi. Un trend che ha inevitabilmente suscitato polemiche, tanto che l’ATP e WTA all’inizio dell’anno scorso hanno stabilito che le sessioni serali non potessero cominciare dopo le 19:30 e che l’ultimo match non avesse inizio dopo le 23:00. Ma la vera domanda è: quanto deve dormire un atleta professionista? Se si dorme di più, si va più forte in campo?

Sono numerose le ricerche medico-scientifiche che hanno analizzato il rapporto tra prestazioni sportive e corretto riposo. Tra le più interessanti, uno studio del 2019 apparso sull’International Journal of Sports Medicine, in cui ricercatori hanno evidenziato come una carenza di sonno possa portare a una diminuzione dei tempi di reazione, a un abbassamento di forza e resistenza, peggiorando l’umore e aumentando ansia e irascibilità. Se si dorme poco si è più volubili, quindi meno concentrati e più soggetti a errori. Secondo Chris Winter, direttore sanitario e presidente dell’Istituto di neurologia e medicina del sonno di Charlottesville, in Virginia, l’insonnia ha anche degli effetti diretti sui muscoli. A riposo il corpo svolge delle funzioni che non fa da sveglio, come la produzione dell’ormone della crescita che serve a generare fibre e tessuti muscolari. Più si dorme, quindi, più i muscoli recuperano in fretta e si rigenerano. Ci sono poi i benefici mentali, come la riduzione dello stress: quando poggia la testa sul cuscino, il cervello si resetta e non si porta dietro i pensieri della giornata. 

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Jonathan Charest, direttore of Athlete Sleep Services della Calgary University e Micheal Grander, a capo dello Sleep and Health Research Program alla University of Arizona hanno condotto una lunga indagine sul legame tra sonno e attività sportiva a 360 gradi, evidenziando come i problemi di insonnia tra gli atleti hanno un impatto negativo sulle prestazioni fisiche, sul rischio di infortuni e perfino sulla salute mentale. Lavorando sul riposo, si migliora anche la velocità di gioco, perché si affinano le prestazioni cognitive. I tempi e i modi, però, sono soggettivi. «Non esiste una soluzione universale per ottimizzare il sonno degli atleti, le esigenze di riposo possono variare notevolmente da individuo a individuo», scrive il dottor Alessandro Tuzi sul portale degli psicologi dello sport italiani. Insomma, non è possibile individuare una ricetta base, ogni sportivo ha differenti bisogni. Si deve operare singolarmente, come da tempo fanno i professionisti ad alto livello. Alcune franchigie NBA, nota Tuzi, hanno ingaggiato degli sleep coach, degli allenatori del sonno, che regolano gli orari di sonno-veglia dei giocatori per garantire le migliori performance possibili.

E allora, banalmente, dipende. Dipende dal tipo di disciplina, se aerobica o anaerobica, se prevede uno sforzo prolungato o più intenso nel breve periodo, se ci sono cambi di direzione o momenti di concentrazione assoluta. Come sottolineato dal dottor Winter, la tendenza degli staff è calcolare il sonno non sulla giornata, ma sulla settimana. Il totale dovrebbe essere costante, oscillando tra 50 a 60 ore. Non importa come le si raggiunge, se durante le notti o con l’aggiunta di sonnellini pomeridiani. Spesso conta anche tanto come ci si approccia al riposo. Si stanno diffondendo, infatti, le tecniche di rilassamento “pre-sleep” che comprendono la realizzazione di un ambiente relax ottimale, favorendo l’igiene del sonno, ovvero l’insieme delle tecniche che ne aumentano la qualità. 

I programmi di allenamento e le regole d’alimentazione condizionano una dormita. Più si spinge, più si è stanchi. È naturale, quindi, che durante i periodi di preparazione atletica e di doppie sedute si dorma di più rispetto a una settimana tipo. D’altro canto non sempre mangiare leggero aiuta a dormire meglio. Non accade per esempio nel canottaggio. «Alla vigilia di una gara ceniamo verso le 19:30. Il menù? Tanti carboidrati, sono la nostra benzina», racconta a Undici Federica Cesarini, oro olimpico nel doppio pesi leggeri a Tokyo 2020. Sia lei che il fidanzato Luca Chiumento, argento a Parigi nel quattro di coppia maschile, dormono quaranta minuti ogni pomeriggio e tra le undici e le dodici ore di notte. Minimo sindacale, nove ore, in caso qualche batteria si svolga al mattino. È tutta questione di consuetudine. Per chi non pratica sport ad alto livello, può capitare di svegliarsi con un senso di intorpidimento quando si dorme tanto, o comunque più del solito. «Negli sportivi gioca invece un ruolo decisivo l’adrenalina», confessa Cesarini. «È raro alzarsi dal letto intontiti». L’atleta della Polizia ha sempre riposato tranquillamente, anche prima della finale Olimpica, ma capita che alcune compagne di squadra prendano della melatonina per conciliare il sonno. 

Per i calciatori, i ritmi di riposo sono quasi automatici. Complice anche il ritiro pre-partita, la media si attesta intorno alle nove o dieci ore di sonno per notte. È così per Lykogiannis, esterno difensivo del Bologna che anche in vacanza scende dal letto piuttosto presto per lavorare in palestra o fare una corsa. Il risveglio muscolare poi aiuta nell’avviamento dell’attività motoria, specie nei giorni di match. Quando si gioca alle, 12:30 cambia solo la colazione, più abbondante, non il tempo di riposo. Semplicemente, tutto viene anticipato: si arriva in albergo prima, si mangia prima, si va a letto prima. I recuperi passivi sono diventati fondamentali anche nel basket europeo. Da qualche anno, infatti, sta prendendo piede la tendenza molto americana di eliminare la doppia seduta per privilegiare una sessione individuale con il player development coach. Da due allenamenti in gruppo si passa a uno, di solito verso metà mattina, anticipato da un’ora di lavoro singolo tra staff e giocatore. Che, quindi, deve svegliarsi prima. 

La generale la maggior parte degli sportivi si stabilizza sulle dieci ore di sonno, ma non mancano le eccezioni. «Per tutte la mia carriera ho sempre dormito poco» confida Enrica Merlo, ex libero della Savino Del Bene Scandicci che la scorsa estate ha dato l’addio alla pallavolo. «Non sono mai stata il prototipo della sportiva perfetta sotto questo punto di vista, ma ho sempre recuperato piuttosto in fretta anche in caso di doppio allenamento». Ad aiutarla una sana abitudine, ovvero la lettura: «Ho sempre avuto un ritmo che mi portava a tornare a casa tardi dalla palestra, a mangiare tardi e di conseguenza addormentarsi tardi, ma era il mio ritmo, per cui non ho mai sbadigliato al mattino». Come detto, non c’è una regola univoca, ma ognuno si basa sul suo corpo. Il segreto forse sta tutto lì, nel sapersi ascoltare. Come insegnavano gli antichi, bisogna dedicare all’otium, al relax, il tempo giusto. Non quello giusto per tutti, ma per se stessi. 





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