«Lamberti minacciato e insultato». L’imprenditore “sparito” e i sospetti sul clan Bruzzaniti

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MILANO Sono passati poco più di 3 anni e mezzo e nuovi dubbi si addensano sulla sparizione di Pasquale Lamberti, imprenditore 70enne di origini calabresi, di cui si sono perse le tracce il 3 luglio del 2021 da Besate, in provincia di Milano. A riaccendere l’attenzione su questa terribile vicenda fatta di angoscia e speranza fin qui vana, è l’ultima inchiesta della Distrettuale antimafia di Brescia. Gli inquirenti, infatti, hanno fatto luce sulle presunte ingerenze della ‘ndrangheta e in particolare della cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara che, dagli anni ’90, ha enormi interessi anche sul territorio lombardo. Su disposizione del gip sono stati arrestati cinque soggetti residenti nelle province di Milano, Sondrio, Monza e Brianza e Taranto.

Un filo conduttore che porta dritti al caso Lamberti. Nelle carte dell’inchiesta, infatti, è stata ricostruita la vicenda della cessione della monzese “Cadel s.r.l.”, società avente ad oggetto la compravendita di immobili, l’installazione e manutenzione di impianti elettrici, nonché l’esercizio per conto proprio o di terzi dell’attività di commercio in mangimi, di proprietà della famiglia Lamberti, le cui quote erano state cedute alla svizzera “Bfp Bau & Service”, rappresentata da Francesco Sampogna, in cambio dell’ingresso di Lamberti, con un accordo di vendita avente ad oggetto la cessione del 98% delle quote sottoscritto a St. Moritz: valore della cessione 3.650.000 euro che sarebbe avvenuta in contanti. Una ricostruzione, però, che non troverebbe riscontro nella realtà. A parlarne, negli anni scorsi, era stata la trasmissione tv “Le Iene” in un servizio di Luigi Pelazza. Ascoltato il figlio acquisito di Lamberti, i soldi non sarebbero mai arrivati sebbene agli atti risulti la cessione della società. Il 4 settembre 2020, inoltre, sia l’imprenditore che la figlia Debora davanti ad un notaio affermano di aver ricevuto i soldi, in contanti. Forse c’era un altro tipo di accordo. «Non c’è stato alcun passaggio di denaro» spiegava la figlia Debora, «me l’ha chiesto mio papà e io mi fidavo di lui cecamente, mi aveva detto che era a tutto a posto». E chiama in causa Claudio Mancini, altro indagato nella nuova inchiesta dalla Dda di Brescia.  

Mancini «fratello» di Lamberti

Claudio Mancini (cl. ’65) – finito in carcere – vanta numerosi precedenti penali e di polizia, come una condanna a 23 anni per fatti di omicidio volontario, stupefacenti e rapina, scontata dal 1991 al 2006. Al “vertice”, sebbene in modo informale, c’era, come detto, Antonio Bruzzaniti. Il nome di Mancini è legato all’imprenditore Lamberti, considerato di fatto uno di famiglia. Addirittura, il suo nome è citato nella nota trovata all’interno del telefono cellulare dell’imprenditore Pasquale Lamberti. Ma c’è di più. In una delle inchieste parallele, i militari sentono alcune persone informate sui fatti, tra cui una dipendente della “Ucl”, società acquisita proprio da Mancini. La donna spiega che nel 2017 Lamberti si era presentato all’interno dell’azienda accompagnato proprio da Claudio Mancini la cui presenza, da subito, veniva percepita come in grado di influenzare le scelte dell’imprenditore. Ciò sarebbe avvenuto soprattutto quando Mancini aveva proposto «un’operazione di dubbia trasparenza», ovvero una compensazione di credito, con il coinvolgimento di una società terza, «al fine di ripianare un grosso debito erariale di UCL», in disaccordo con l’amministratore delegato.

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Gabriele Abbiati
Gabriele Abbiati

Qualche tempo dopo, è il 24 settembre 2020, Lamberti si sarebbe presentato in azienda, per la prima volta, con Gabriele Abbiati (cl. ’73) di Seregno – finito ai domiciliari – nuovo amministratore delegato, e Francesco Sampogna. Come raccontato dall’ex dipendente, da settembre a dicembre 2020, dietro ordine di Abbiati, avrebbero avuto inizio «una serie di operazioni assolutamente inconsuete per l’azienda, ed in particolare la stesura di fatturazioni per commesse mai effettuate, finalizzate unicamente ad ottenere gli anticipi fatture presso le banche». E, inoltre, a fronte degli introiti, da ottobre a dicembre 2020, «Abbiati avrebbe ordinato l’invio di una serie di bonifici a favore di “Cadel s.r.I.” per circa un milione e duecentomila euro complessivi, impegnando i fondi rilasciati dalle banche, e ponendo così la “Ucl s.p.a.” in una situazione economica disastrosa». Dopo l’addio dell’amministratore delegato, in azienda si sarebbero così presentati Mancini ed Abbiati. I due, sempre secondo il racconto dell’ex dipendente, avrebbero ordinato a tutti di «evitare qualsiasi contatto con il vecchio amministratore delegato», peraltro definito un “ladro”.

Claudio Mancini
Claudio Mancini

Secondo quanto emerso, inoltre, in più di un’occasione Mancini avrebbe «insultato e minacciato Lamberti», accusato di avergli venduto un’azienda che “faceva schifo”. Il clima all’interno dell’azienda sarebbe degenerato, al punto che – sempre secondo il racconto della donna – in occasione di una riunione, «Mancini avrebbe accusato Lamberti di averlo truffato», esigendo la restituzione dei soldi pagati per acquistare l’azienda, senza suscitare alcuna razione nell’ex socio di maggioranza «palesemente spaventato». E poi c’è la figura di Antonio Bruzzaniti “U pazzu” (cl. ’56) – finito in carcere – nome di assoluto spessore e con un curriculum criminale di altissimo profilo. Sempre secondo il racconto dell’ex dipendente, Bruzzaniti si sarebbe visto in azienda la prima volta nel gennaio del 2021, insieme ad Abbiati. Una presenza, quella di Bruzzaniti, che sarebbe diventata una costante: in compagnia di Mancini, infatti, si sarebbe recato negli uffici della “Ucl” almeno due o tre volte la settimana. E, mentre Mancini con gli altri dipendenti assumeva un atteggiamento «arrogante e prevaricatorio», con Antonio Bruzzaniti si sarebbe dimostrato invece «reverente e dimesso».

Dopo una serie di operazioni finanziarie e cambi ai vertici della società, a settembre 2021 si dimette il collegio sindacale e Abbiati, sostenuto da Mancini ed Antonio Bruzzaniti, comunicava ai dipendenti le dimissioni dell’ennesimo dg, Davide Guzzi, subentrando lui stesso come amministratore delegato «con la diffida dal comunicare all’esterno dell’azienda cosa stava succedendo, minacciando denunce in caso di inosservanza». Dopo l’allontanamento di Guzzi, le redini dell’azienda sarebbero state prese da Fabio Bonasegale (cl. ’69), finito agli arresti domiciliari. La donna ha poi fornito agli inquirenti sull’uso delle vetture aziendali: una Mercedes GLE 350, assegnata in esclusiva ad Antonio Bruzzaniti, una Mercedes GLE 400, in uso a Claudio Mancini, una Mercedes CLE 300, impiegata da Bonasegale. Mancini, inoltre, avrebbe avuto a disposizione «i bancomat relativi ai sei conti correnti di “Ucl s.p.a.”, dai quali effettuava molti prelievi, anche di 500 euro per volta». (g.curcio@corrierecal.it)

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