Bruxelles e Strasburgo osservano, tra soddisfazione e preoccupazioni, ciò che accade a Washington. C’è chi vede nel neo presidente il profeta di una politica ispirata dai valori tradizionali e capace di rispondere alle attese dei cittadini; altre voci ne tratteggiano un profilo minaccioso per la stabilità internazionale e un nemico dell’integrazione europea
(Strasburgo) “Trump difenderà gli interessi degli Stati Uniti anche a scapito nostro”. Sono forse le parole che raccontano meglio di altre il clima che si respira nelle istituzioni europee a proposito dell’inquilino della Casa Bianca. E non provengono certo da un “nemico” politico di Donald Trump, semmai da un suo ammiratore: Jordan Bardella, che a Strasburgo siede tra i “Patrioti” ed è leader della destra estrema francese, il Rassemblement National di cui Marine Le Pen è azionista di maggioranza.
“Lavorare a stretto contatto”. In questi giorni si sono levate molte voci europee a proposito del nuovo corso americano. Ufficialmente son rose e fiori, benché alla cerimonia di insediamento del presidente Trump non siano state invitate figure istituzionali dell’Ue, mentre l’unica leader di un Paese membro fosse l’italiana Giorgia Meloni. “L’Ue non vede l’ora di lavorare a stretto contatto” con Trump “per affrontare le sfide globali. Insieme, le nostre società possono raggiungere una maggiore prosperità e rafforzare la loro sicurezza comune”, hanno detto all’unisono Antonio Costa, portoghese, presidente del Consiglio europeo, e Ursula von der Leyen, tedesca, presidente della Commissione. L’Alto rappresentante per la politica estera Ue, l’estone Kaja Kallas, ha fatto eco, affermando di voler “proseguire la nostra collaborazione”. Meno diplomatiche alcune dichiarazioni – e certi silenzi – dalle cancellerie europee: il tedesco Scholz e il francese Macron guardano con sospetto a ciò che accade oltre oceano, lo stesso dicasi per l’ucraino Zelensky. Mentre chi non lascia dubbi è lo spagnolo Pedro Sánchez che si è detto preoccupato: a suo avviso occorre reagire “contro questa tecnocrazia della Silicon Valley” che sta dalla parte di Trump e che può usare “il suo potere assoluto sui social network per controllare il dibattito pubblico e, di conseguenza, l’azione politica” in Occidente.
A favore e contro. Le voci che circolano in questi giorni a Strasburgo, dove è riunito l’Europarlamento, si dividono tra coloro che assegnano a Trump un ruolo salvifico e chi invece ne detesta idee, stile e anche le prime scelte su economia, sicurezza, migrazioni, diritti, politica estera… Molto diplomatico si dimostra Adam Szlapka, ministro polacco, a nome della presidenza di turno Ue: tiene subito a ribadire che ci sono “valori e interessi comuni” tra le due sponde dell’Atlantico. Eppure il primo tema sensibile su cui sperimentare se l’amicizia tra Europa e Usa reggerà è la guerra in Ucraina: “Trump dice che porrà fine alla guerra, ma per l’Ucraina, e per l’Europa, non basta una pace qualunque. Noi – dice Szlapka – sosterremo l’Ucraina fino a quando ce ne sarà bisogno e fino a quando l’Ucraina stessa potrà definire i contorni di una pace” giusta e duratura. Come dire: non ci fidiamo di un possibile accordo Trump-Putin che passi sopra le teste di ucraini ed europei. Il commissario slovacco Maros Sefcovic sottolinea invece che l’esecutivo Ue “non cederà di un centimetro per sostenere gli interessi europei”. Auspica la definizione di una “agenda comune” con gli Usa per “continuare a essere partner forti”. Poi afferma: “Siamo dispiaciuti della decisione di Trump di ritirarsi dall’Accordo di Parigi”, mentre l’Europa continuerà, a suo dire, a impegnarsi per contrastare il cambiamento climatico, il riscaldamento del pianeta e a favore delle energie verdi.
“Se restiamo uniti…”. “L’Europa entra in una nuova era di collaborazione” con gli States: è il parere di Michael Szczerba, eurodeputato polacco dei Popolari. Per poi puntualizzare: “Sarà difficile, ma se restiamo uniti ce la possiamo fare”. Per Katleen Van Brempt, socialdemocratica belga, “Trump metterà a dura prova le relazioni transatlantiche”. Per questo “dobbiamo agire noi da protagonisti su pace, sicurezza, competitività. Dobbiamo essere noi i paladini del nostro futuro”. L’italiano Carlo Fidanza, dei Conservatori, apprezza del neo presidente le decisioni su sicurezza, migrazioni e valori di fondo. “Sulla Groenlandia ci richiama alle nostre responsabilità”, mentre Trump fa emergere, sempre secondo Fidanza, “le follie ideologiche del Green Deal”. Aggiunge: “Ieri è nata una nuova America, ora nasca la nuova Europa”.
“La Groenlandia non è in vendita”. Nei corridoi Trump è il tormentone ricorrente: profeta del sovranismo, contraltare della Cina, fautore dello sviluppo economico senza o con poche regole; così pure – sempre a seconda di chi parla – baluardo dei valori tradizionali, minaccia per l’ordine internazionale, nemico dei diritti fondamentali. La liberale francese Valérie Hayer torna sulla Groenlandia, la cui indipendenza è stata minacciata dallo stesso Trump: “I nostri territori – osserva l’eurodeputata – non sono in vendita”. Quindi non risparmia una battuta su Elon Musk, ombra ideologica e miliardaria del tycoon, sostenendo che voglia imporre “il diritto della giungla”. Esponente dei Verdi, Sergey Lagodinski, tedesco, dichiara che “con Trump abbiamo una sola scelta: far crescere l’Europa”.
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