Non è passato sotto silenzio l’anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, avvenuta 25 anni fa ad Hammamet. E ciò dovrebbe già costituire una notizia. Tanto più che a ricordare il leader socialista – e spesso ad omaggiarne la biografia – c’è una platea trasversale che va dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, al ministro Antonio Tajani fino al giornalista Andrea Colombo, che recensendo il volume “Controvento” di Fabio Martini sul Manifesto, (riedizione del volume uscito cinque anni fa) titola: “Interrogare la politica di Craxi oltre la damnatio memoriae”. E spiega che “Martini insiste su quanto di positivo, innovativo e deflagrante ci fu soprattutto negli anni del governo Craxi, dal 1983 al 1987, il più longevo sino a quel momento”.
Rievocazione o riconciliazione di massa? Il tempo è oggi davvero gentiluomo per buona parte di quella generazione attempata che l’era Craxi l’ha vissuta appieno, fino a quel drammatico epilogo sacrificale, in esilio, con la liturgia liberatoria del capro espiatorio?
Con il passare del tempo, specie negli ultimi anni, la “rilettura” del periodo craxiano ha rafforzato alcuni elementi quasi nostalgici. Soltanto negli ultimi mesi sono usciti una dozzina di libri sull’ex leader socialista. I più sono benevoli, evidenziandone l’aspetto profetico, i successi nella politica estera ed economica, la notte di Sigonella (lo firma Salvatore di Bartolo), i rapporti con Andreotti, persino il mancato incontro con la destra italiana, originali riflessioni del volume di Tommaso de Brabant, uscito meno di un anno fa. Andrea Spiri ha invece raccolto le lettere del politico milanese in “Bettino Craxi – Lettere di fine Repubblica”. E c’è una nuova edizione, uscita proprio in questi giorni, della videointervista realizzata da Marco Dolcetta con Craxi ad Hammamet poco prima della scomparsa. Tra i tanti, s’è “scomodato” anche Massimo Franco, firma di punta del Corriere della Sera, con il volume “Il fantasma di Hammamet Perché l’ombra di Bettino Craxi incombe ancora sull’Italia”, appena uscito (“la Prima Repubblica dalle scorie mai del tutto smaltite”). E non s’è sottratto al rito Aldo Cazzullo, campione delle vendite librarie nel 2024 con l’indagine sulla Bibbia, il quale ha appena sfornato con Rizzoli l’ultima fatica, esplicita sin dal titolo: “Craxi. L’ultimo vero politico”.
Forse è proprio questo rimpianto per la Politica con la “P” maiuscola, oggi annacquata dai poteri economici e finanziari, dall’immaterialismo e dalla globalizzazione, ma anche dal crescente pressapochismo e da un analfabetismo di ritorno corazzato negli slogan e nei social, a polarizzare attenzioni tutto sommato indulgenti verso il leader socialista. Il quale, meglio di tanti altri, ha fiutato l’evoluzione – e l’involuzione – dei tempi.
E’ quindi tornato d’attualità il saggio scritto da Craxi per il settimanale L’Espresso nel 1978, (“Il Vangelo socialista”), che costituisce la svolta ideologica per una sinistra che coraggiosamente rifiuta Marx e abbraccia Proudhon, socialismo democratico e liberale. Parallelamente si indaga, sotto una nuova luce, su quei nuovi valori e sui tanti atti temerari che hanno segnato il suo corso, pur con qualche colpevole chiaroscuro: la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, la “rivoluzione dei quarantenni”, il valore dell’autonomia, la stagione del riformismo e della modernizzazione (riusciti solo in parte), l’europeismo; le battaglie per i diritti civili, la cooperazione internazionale, l’appoggio alla causa palestinese; l’elezione di Pertini alla presidenza della Repubblica e la posizione controcorrente sul rapimento Moro nel 1978; la conquista della presidenza del Consiglio nel 1983, il Concordato “laico” del 1984, l’audace taglio della scala mobile e la vittoria nel referendum abrogativo del 1985, la lotta all’inflazione (scesa dal 12,3 al 5,2% tra il 1983 e il 1987) con l’Italia quinto Paese industriale del mondo; la sfida di Sigonella nel 1985 e l’accondiscendenza verso Gheddafi, episodi di cui Craxi pagherà le conseguenze con gli americani. Infine la stagione di Mani Pulite, la sua disperata chiamata in correità di tutto il Parlamento, il dover subire il lancio delle monetine e delle bottiglie fuori dall’Hotel Raphael di Roma nel 1993, la latitanza ad Hammamet fino alla morte a 65 anni.
Un bilancio indubbiamente variegato, che oggi, con il tempo galantuomo, può almeno in parte addolcire quella indiscutibile dose di tossica alterigia e notevole disinvoltura – soprattutto finanziaria – che ha accompagnato buona parte del percorso craxiano, il “Ghino di Tacco” editorialista sempre acuto. Può adombrare gli inevitabili errori frutto anche della presunzione dei fuoriclasse e di una certa dose d’incoscienza (la “Milano da bere”, le trasferte collettive e il boom del debito pubblico, ad esempio). Ma anche rielaborare i giudizi sulle tante vicende giudiziarie frutto di quel “farsi tanti nemici”, a destra e a sinistra, tra giudici e sindacalisti, tra parlamentari e persino tra compagni di partito. Un ricco bagaglio che ha contribuito a rendere controverso il giudizio della storia su Bettino Craxi, forse uno degli ultimi veri e rari statisti di questo nostro Belpaese.
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