Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
In premessa
L’evasione fiscale è un fenomeno strutturale del nostro sistema economico indice di un rapporto conflittuale perdurante tra Stato e cittadini, di una propensione all’illegalità, e del rifiuto di contribuire ai costi della comune convivenza, ma anche della debolezza e della connivenza di buona parte delle nostre classi dirigenti che hanno sempre mantenuto nella sostanza un atteggiamento di comprensione nei confronti del fenomeno, fino ad arrivare, soprattutto negli ultimi anni, all’appoggio esplicito degli evasori.
L’evasione è un fenomeno di massa che coinvolge milioni di contribuenti, ricchi e poveri, che provoca ingenti perdite di gettito e che storicamente ha contribuito in maniera sostanziale all’accumularsi del debito pubblico. Insieme all’elusione, “l’evasione dei ricchi”, che coinvolge soprattutto le grandi imprese, i grandi contribuenti, e centinaia di consulenti fiscali specializzati in arbitraggi tra le diverse norme che caratterizzano un sistema fiscale, e tra i diversi sistemi fiscali, e all’erosione legale che sottrae alla tassazione quote rilevanti del reddito annualmente prodotto, l’evasione determina una sostanziale rigidità dei sistemi fiscali, limitando la loro capacità di produrre gettito e provocando una tassazione eccessiva sui redditi emersi, e difficoltà crescenti nella gestione delle pubbliche finanze.
Dell’evasione fiscale si sa (quasi) tutto: a quanto ammonta, chi evade, chi evade di più e chi di meno, come si distribuisce sul territorio, quanto gettito si perde per le principali imposte, ecc. Il fenomeno è stato oggetto di una sterminata letteratura scientifica, e la sua entità e le sue variazioni vengono anche monitorate annualmente in documenti ufficiali del governo. Tuttavia, la soluzione del problema viene da noi considerata impossibile, tanto che nessun governo la pone al centro dei propri programmi, salvo enunciazioni di principio prive di significato operativo. La paura di perdere consensi e voti fa premio su ogni altra considerazione. Anche perché sottolineare la gravità del problema significherebbe evidenziare un elemento fondamentale che contribuisce alle diseguaglianze e alla diffusa ingiustizia nel nostro paese. Infatti, non tutti evadono, e non tutti evadono nella stessa misura. I redditi soggetti a ritenuta alla fonte, come i redditi di lavoro dipendente e pensione, ma anche una parte dei redditi di capitale, non possono evadere, mentre l’evasione si concentra presso i lavoratori indipendenti (professionisti, commercianti, artigiani), le piccole e medie imprese a controllo familiare, le attività economiche della malavita e di affaristi border line…Insistere su questo problema comporterebbe inevitabilmente evidenziare e provocare una frattura sociale nella nostra società, con conseguenze che molti ritengono politicamente pericolose.
Questa circostanza, tuttavia, consente anche di capire che l’affermazione ricorrente, da parte governativa e della stampa di informazione, secondo cui non sarebbe possibile sottoporre ad accertamenti risolutivi tutti i contribuenti in quanto le capacità operative degli uffici consentirebbero di accertare non più del 2-2,5% del totale, è falsa. I responsabili dell’evasione in Italia sono infatti solo circa 4/5 milioni di contribuenti, e gli uffici potrebbero benissimo essere organizzati per realizzare 500.000 accertamenti analitici l’anno, in modo da esaminare in circa dieci anni l’intero universo rilevante. E ciò senza tener conto delle enormi possibilità offerte dalle moderne tecnologie.
Del resto, quando vi è stato un impegno esplicito e consapevole i risultati non sono mancati: nel periodo 1996-2001, durante i governi dell’Ulivo, si verificò un imponente, sistematico e continuo recupero di evasione fiscale stimabile in 4,5-5 punti di Pil che contribuì non solo a facilitare l’ingresso nella moneta unica, ma anche a consentire una gestione ordinata e tranquilla della finanza pubblica per l’intero periodo. Anche in tempi più recenti il ricorso alle moderne tecnologie informatiche e telematiche ha consentito risultati tangibili, su cui torneremo.
In sostanza, se si vuole risolvere il problema, è possibile farlo. La questione è politica e non tecnica.
Alcuni dati
Venendo a tempi più recenti, vi sono alcuni punti da chiarire per quanto riguarda la comunicazione dei governi in materia di evasione e recupero della stessa. Il primo aspetto riguarda l’asserito recupero di evasione di 15-16 miliardi ogni anno da parte dell’Agenzia delle Entrate. Nel 2023 il maggior gettito sarebbe stato addirittura di oltre 24 miliardi (che comprendono però anche più di 4 miliardi derivanti dalla rottamazione delle cartelle, vale a dire da un condono una tantum); questa cifra in realtà riflette un rimbalzo dopo la riduzione delle attività amministrative negli anni della pandemia. Tuttavia tali cifre non rappresentano in alcun modo un recupero di evasione, ma sono più semplicemente il risultato dell’attività ordinaria della amministrazione che rimane costante anno dopo anno, e che consiste nel verificare (tramite, per lo più, programmi automatici) se i calcoli effettuati dai contribuenti per i loro versamenti diretti sono corretti, correggere errori materiali, ricalcolare alcune imposte dovute (ad esempio i prelievi sulle indennità di fine rapporto), ecc. Se queste somme non fossero tempestivamente recuperate, l’utilità stessa dell’apparato amministrativo potrebbe essere messa in discussione. Del resto, se di “vero” recupero di evasione si trattasse, in meno di dieci anni l’intera evasione stimata nei documenti ufficiali del governo sarebbe dovuta scomparire.
Le stime ufficiali dell’evasione strutturale italiana sono prodotte ogni anno da un’apposita Commissione in una Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale. Esse sono frutto di una procedura complessa che parte dalle stime ufficiali del reddito nazionale che includono l’economia sommersa, che vengono corrette per renderle confrontabili con le basi imponibili delle diverse imposte, per poi calcolare il gettito teorico relativo e confrontarlo con quello effettivo, facendo così emergere il tax gap, cioè l’evasione. Si tratta di stime che, oltre a non riguardare tutte le imposte e i contributi dovuti, ma solo quelle/i principali, presentano non trascurabili margini di errore, ma che sono particolarmente utili per verificare la dinamica del fenomeno nel tempo, ed utilizzano una metodologia adottata anche dalla Commissione Europea[1].
Per molti anni l’evasione così calcolata è risultata superiore ai 100 miliardi di euro l’anno, ma negli ultimi anni si è verificata una sua consistente riduzione, soprattutto per quanto riguarda l’evasione dell’Iva che normalmente, nel tax planning dei contribuenti, rappresenta la premessa logica e contabile per l’evasione delle imposte sui redditi: in altri termini, se si programma di evadere, vi deve essere coerenza tra la contabilità Iva e quella Irpef o Ires, e quindi, poiché l’Iva viene versata periodicamente nel corso dell’anno, si inizia ad evadere l’Iva per poter poi evadere le imposte sui redditi[2]. La riduzione dell’evasione dell’imposta rappresenta quindi un risultato di grande rilevanza che va esaminato con cura.
Quando diventai ministro delle Finanze nel 1996 l’evasione dell’Iva era stimata pari al 40%. Quando lasciai l’incarico essa era scesa al 30% grazie a interventi specifici di modifica della normativa volti a chiudere possibilità di elusione, e su quel livello era rimasta per molti anni, fino a quelli più recenti. Negli ultimi anni, quindi, qualcosa è cambiato. Cosa?
Alcune recenti misure di contrasto
Il numero del 22 ottobre 2017 di Aperta Contrada ha ospitato una recensione della Professoressa Valeria De Bonis a un mio libro pubblicato nello stesso anno[3] in cui si indicavano una serie di misure utili a contrastare l’evasione, e in particolare l’evasione dell’Iva. Tali misure erano state anticipate in un rapporto del centro studi Nens, di cui ero Presidente, del 2014[4], consegnato al Presidente del Consiglio del tempo che era Matteo Renzi, misure successivamente fatte in parte proprie dal Governo. Tra queste vi erano lo split payment, il reverse charge e la fatturazione elettronica.
Con l’introduzione dello split payment si è impedita una tipologia dell’evasione dell’Iva sorprendentemente molto diffusa che consisteva nel mancato versamento, e nella appropriazione, dell’Iva fatturata dalle pubbliche amministrazioni e pagata ai fornitori di beni e servizi, i quali però omettevano di versarla al fisco. Con lo split payment si è stabilito che l’Iva fatturata dal settore pubblico deve essere direttamente versata all’erario e non più al fornitore (che poi avrebbe dovuto provvedere a versarla). Il risultato è stato il recupero di alcuni miliardi di gettito evaso.
Il reverse charge è un meccanismo di applicazione dell’Iva in grado di eliminare sia l’evasione che si verifica nelle transazioni intermedie, sia quella collegata all’emissione di fatture false, comprese le cosiddette “frodi carosello”[5]. Con questo sistema la logica fondamentale dell’imposta basata sul pagamento frazionato tra i partecipanti alla catena di produzione verrebbe abbandonata. Il soggetto di imposta responsabile nei confronti del fisco non sarebbe più il venditore, bensì l’acquirente che dovrebbe auto fatturare l’operazione, determinare l’imposta dovuta, e compensarla contabilmente grazie ad una detrazione di pari importo. L’Iva dovuta rimarrebbe la stessa, l’incidenza sarebbe sempre sul consumatore finale, ma l’imposta sarebbe incassata solo al momento della vendita finale. In questo modo tutte le manipolazioni contabili, i mancati versamenti di imposte incassate, le compensazioni indebite, le richieste di rimborsi non dovuti che caratterizzano l’evasione intermedia scomparirebbero, semplicemente perché non esisterebbe più l’obbligo di versare l’imposta, e quindi la possibilità di appropriarsene. Al tempo stesso, poiché ogni fattura falsa dovrebbe essere compensata contabilmente, verrebbe meno l’utilità di farvi ricorso.
Tuttavia, il reverse charge, oltre a sconvolgere la logica originaria dell’imposta, concentrerebbe l’intero prelievo al livello del consumo finale, là dove l’evasione è più elevata. Per questi motivi il meccanismo è stato adottato In Italia (e in Europa) limitatamente ad alcuni settori più “sensibili”: servizi di pulizia, subappalti edili, cessione si apparecchi elettronici ai rivenditori, acquisto di rottami ferrosi, ecc. In questo modo, comunque, una quota non indifferente di evasione Iva è stata recuperata.
La fatturazione elettronica è l’evoluzione logica dell’elenco clienti i fornitori precedentemente in vigore, e consiste nella trasmissione obbligatoria delle fatture emesse come precondizione per la loro successiva utilizzazione in detrazione. I suoi effetti sono in certa misura simili a quelli di un sistema di reverse charge, in quanto con la fatturazione elettronica diventa impossibile omettere la dichiarazione di fatture emesse, dato che la stessa emissione di una fattura comporta la sua dichiarazione automatica, e quindi l’evasione da mancata dichiarazione che è quella prevalente nell’evasione intermedia, non sarebbe più possibile. Tuttavia, rispetto al reverse charge, non diminuirebbero falsi rimborsi e compensazioni, non si eliminerebbero le fatture false e le frodi carosello. Ma il recupero di gettito dovrebbe essere imponente. Secondo le stime del Nens, fino a14 miliardi di euro.
L’adozione di queste misure (proposte negli anni da chi scrive, e introdotte tutte da governi di centrosinistra[6]), ha effettivamente portato ad un sostanziale recupero dell’evasione dell’Iva che nel periodo 2018-21 si sarebbe pressoché dimezzata passando dal 26,2 al 13,8%. Ma proprio l’entità del risultato richiede qualche cautela.
Cautele
Va innanzitutto sottolineato che nelle stime ufficiali della Relazione annuale non è compresa l’evasione attribuibile ai contribuenti passati negli ultimi anni al regime forfettario, che ormai rappresentano il 50% del totale dei contribuenti Iva, che, pur non essendo più tenuti a versare l’imposta, sicuramente continuano a non registrare correttamente i loro ricavi e costi (anche per non superare la soglia di 85.000 euro). Inoltre, l’esistenza del forfait è un incentivo per i fornitori a non fatturare le loro vendite, essendo venuto meno ogni conflitto di interesse. Quindi l’evasione effettiva è considerevolmente più elevata di quanto mostrino le statistiche ufficiali (e probabilmente superiore ai 100 miliardi, invece degli 80 ufficiali), e quindi minore è la percentuale di recupero effettivo dell’evasione. Del resto, non è difficile comprendere che il modo più semplice per diminuire l’entità dell’evasione nelle statistiche è quello di decidere per legge che il comportamento deviante di alcuni contribuenti non rappresenti più un fatto illecito.
L’altro aspetto rilevante consiste nel fatto che, contrariamente a quanto sarebbe stato lecito attendersi, alla riduzione dell’evasione dell’Iva non corrisponde nelle statistiche ufficiali una analoga diminuzione dell’evasione delle imposte sui redditi. L’evasione dell’Irpef, infatti, rimane invariata, mentre si rileva una riduzione, non trascurabile, anche se limitata, dell’evasione dell’Ires, quasi che il gettito Iva recuperato fosse avvenuto solo a carico delle società di capitale. Questa anomalia, tuttavia, può essere spiegata se si tiene conto che oltre all’evasione da ricavi esiste anche l’evasione “da aliquote” ricordata più sopra. L’introduzione della fatturazione elettronica ha infatti reso impossibile l’evasione (sia da ricavi che da aliquote) sugli scambi intermedi, vanificando così la possibilità di fatturare regolarmente e poi non dichiarare, in tutto o in parte, appropriandosi di una parte dell’Iva incassata che si sarebbe dovuto versare alla Stato. Ma, ciò nonostante, non sono rilevabili effetti sui contribuenti Irpef, il che porta a ritenere che essi, anziché aumentare, oltre ai costi dichiarati, certificati dalla fatturazione elettronica, anche i ricavi, abbiano preferito comprimere i livelli di mark up abitualmente dichiarati. Ma se così fosse, sarebbe sufficiente per l’amministrazione adeguare d’ufficio i margini mediante accertamenti induttivi di massa per risolvere il problema, incassando cifre molto rilevanti. Dubito fortemente che ciò verrà fatto.
A questo proposito va sottolineato l’effetto dirompente del regime forfettario sul sistema tributario e sulla stessa evasione fiscale che, come già sottolineato, è attribuibile pressoché interamente ai lavoratori indipendenti e alle imprese minori che, sempre secondo i dati ufficiali, essi evadono in media il 67-70% dei loro fatturati e redditi. A questi contribuenti il Governo Conte I, e il Governo Meloni hanno riservato un regime forfettario nel caso di livelli di fatturato dichiarato non superiore a 85.000 euro. In tal caso, previo un abbattimento variabile a seconda della attività svolta, si determina il reddito imponibile su cui si può pagare un’aliquota del 15% in sostituzione di Iva, Irpef, addizionali regionali e comunali. Questi contribuenti sono inoltre esenti dell’Irap. In conseguenza non partecipano al finanziamento della sanità e dei servizi pubblici locali[7].
Il vantaggio che così si ottiene rispetto ai lavoratori dipendenti e pensionati è molto consistente e crescente col reddito (e il fatturato)[8]. Se poi si considera il fatto che si tratta di contribuenti che mediamente dichiarano soltanto il 30-35% dei loro introiti effettivi, è facile verificare che il limite di 85.000 euro corrisponde in realtà a un fatturato effettivo di 269-283.000 euro, sicché un professionista evasore con quel reddito risparmierebbe, rispetto a un dipendente poco meno di 80.000 euro l’anno: non si tratto proprio di cifre trascurabili![9]
Cosa fare
Come si è già detto, il problema dell’evasione può essere risolto. Bisogna però volerlo. Il fatto che il Governo attualmente in carica non abbia scrupoli né ritegno nel difendere, proteggere, e facilitare esplicitamente il comportamento degli evasori, che rappresentano una quota rilevante della loro base elettorale e di consenso, ricorrendo ad una narrazione falsificata e distorta della realtà, passerà alla storia come un unicum di protervia, prepotenza e prevaricazione, una fase di assurda stravaganza che andrebbe rapidamente superata e -speriamo- dimenticata.
Così come non va dimenticato il contributo negativo, o il silenzio, di alcune categorie di esperti del settore. Con pochissime eccezioni, giuristi e avvocati tributari, e soprattutto commercialisti ed esperti contabili, hanno assecondato il processo di distruzione del sistema fiscale italiano degli ultimi anni, senza batter ciglio, anzi assicurando che tutto andava bene[10]. Del resto, si tratta di categorie che, in virtù della loro attività, tendono ad identificarsi con il punto di vista e gli interessi dei contribuenti e non dello Stato, e che non hanno alcun interesse ad entrare in rotta di collusione con i loro clienti, o di ridurre il loro giro di affari presente e futuro.
Si tratta inoltre di specializzazioni professionali che per loro natura portano a concentrarsi sui dettagli, a vedere l’albero trascurando la foresta, nel caso dei giuristi, o a giocare sulle discrasie e asimmetrie normative nel caso dei contabili. In ambedue i casi l’avversario, se non il nemico, è lo Stato, l’amministrazione, la legge, l’interesse pubblico. La prevalenza di queste figure professionali in Parlamento e ai vertici dell’amministrazione delle finanze ha avuto effetti deleteri, mentre gli economisti, da sempre e dovunque considerati i depositari delle conoscenze in materia di sistemi fiscali, sono stati in questa fase emarginati di fatto.
Ma al di là di queste considerazioni e recriminazioni, le cose da fare sono abbastanza evidenti, ed anticipate nel mio libro citato in precedenza, in un libro più recente[11], in diversi rapporti Nens[12], e in numerosi altri scritti[13].
Sarebbe innanzitutto molto utile in via generale un intervento di integrazione dell’art. 53 della Costituzione che, come è noto, contiene il principio di progressività, quello che gli economisti definiscono equità “verticale”, Ma manca ogni riferimento all’altro principio cardine di un buon sistema fiscale, quello dell’”equità orizzontale”, e cioè la parità di trattamento di contribuenti nelle stesse condizioni economiche e personali[14]. In conseguenza non vi è nessun freno all’uso discrezionale e arbitrario della normativa fiscale, all’introduzione di trattamenti di favore, all’erosione delle basi imponibili. Sarebbe sufficiente inserire dopo il riferimento alla progressività, “e di uniformità e generalità del prelievo”, o una formula equivalente.
Per quanto riguarda specificamente le misure antievasione, andrebbero estesi e generalizzati gli obblighi di pagamento tracciato. Andrebbe introdotto l’obbligo di ritenuta d’acconto per tutte le transazioni effettuate, con compensazione tra ritenute effettuate e subite, ad opera dell’intermediario (banca) che accredita il pagamento. Dovrebbe essere previsto (come accennato in precedenza) l’accertamento parziale immediato in tutti i casi in cui il mark up che risulta dalla contabilità e dalle dichiarazioni risulti inferiore a quello degli anni precedenti o a livelli ragionevoli. Inoltre, il quadro normativo della fatturazione elettronica andrebbe reso più efficiente in modo da consentire l’immediata possibilità di controllo dell’obbligo di comunicazione delle fatture emesse, e l’applicazione automatica di eventuali sanzioni. Ed andrebbe valutata la possibilità di adottare il cosiddetto sistema del “margine” per l’Iva nel settore del commercio in cui l’evasione è molto diffusa[15].
Bisognerebbe infine che l’amministrazione fosse in grado di utilizzare razionalmente e congiuntamente tutte le banche dati disponibili, servendosi di strumenti informatici avanzati e dell’intelligenza artificiale. Questo approccio sarebbe risolutivo se si tiene presente che esistono le informazioni delle dichiarazioni, quelle fornite dai datori di lavoro, quelle dell’Inps, quelle dei registri automobilistici, nautici, e leasing relativi, ecc., quelle dei viaggi delle residenze negli alberghi, quelle finanziarie (banche, ecc.), quelle relative agli acquisti e vendite effettuate, e ai cespiti posseduti o utilizzati, e le più importanti, quelle relative ai dati bancari e finanziari e ai loro movimenti. In sostanza ogni momento della nostra vita è monitorato e, sarebbe possibile ricostruire, con rilevante approssimazione, anche se non con assoluta precisione, il fatturato e il reddito di ciascuno di noi. In sostanza si tratterebbe di affidare alle macchine buona parte dei compiti che durante un’attività di accertamento vengono normalmente eseguiti dai funzionari con grande dispendio di tempo e risultati numericamente limitati.
Tutto ciò oggi è ostacolato, ed è stato a lungo impedito, dal garante della Privacy, che negli anni passati ha cercato in tutti i modi di limitare l’uso delle banche dati nel contrasto all’evasione.[16]Il punto di fondo riguarda l’efficacia degli strumenti utilizzati: se i conti bancari e finanziari dei singoli contribuenti vengono esaminati direttamente da un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, per il Garante non c’è problema, ma se per aumentare l’efficienza e l’efficacia del lavoro si ricorre all’automazione, come avviene in ogni attività economica con rilevanti guadagni di produttività, si tratta di un’invasione nella riservatezza del cittadino. Secondo questa logica, per esempio, per il Garante non è possibile utilizzare i dati contenuti nelle fatture di acquisto e vendita e relativi alla natura dei beni e servizi commerciati per tutelare la riservatezza dei cittadini, senza tener conto che uno dei modi più diffusi per evadere il fisco da parte dei titolari di imprese a controllo familiare è quello di trasformare spese personali in costi aziendali[17]. Sarebbe quindi necessario stabilire in via generale che nei confronti del fisco non è opponibile nessuna forma di riservatezza, principio ovvio altrove, ma considerato inaccettabile in un Paese come l’Italia ad alto tasso di individualismo e antistatalismo, dove si confonde la tutela dell’illegalità con quella della riservatezza.
Questo approccio richiederebbe una riorganizzazione dell’amministrazione e delle sue modalità di funzionamento. Gli accertamenti, generali o parziali, di massa diventerebbero la regola in quanto derivanti da comportamenti illegittimi omogenei e diffusi e verificabili. Le comunicazioni con i contribuenti diventerebbero abituali con la possibilità di correzione delle dichiarazioni e “ravvedimenti” spontanei di fronte all’evidenza. Gli accertamenti avrebbero simultaneamente caratteristiche analitiche e sintetiche (induttive). L’evasione si ridurrebbe a livelli minimi e tollerabili, e gli uffici potrebbero indirizzarsi verso il controllo più incisivo delle imprese maggiori e delle multinazionali.
“Vaste programme”, ma assolutamente realizzabile.
[1] È opportuno ricordare che l’economia sommersa non coincide necessariamente con l’evasione fiscale, e viceversa. Si tratta di fenomeni collegati, ma non coincidenti. Una parte rilevante dell’evasione deriva dalla manipolazione della contabilità relative ad attività emerse, e lo stesso si può dire della esportazione illegale di capitale o delle frodi “carosello”. Ciò porterebbe a concludere che l’evasione è maggiore dei redditi prodotti nel settore informale dell’economia che, peraltro, come è ovvio, non vengono dichiarati. Al tempo stesso l’economia sommersa è caratterizzata anche da guadagni che possono essere inferiori ai minimi imponibili e che quindi non sarebbero tassabili in base alle leggi vigenti.
[2] L’Iva è un’imposta generale sui consumi che si applica al valore aggiunto prodotto lungo la filiera produttiva (ad ogni passaggio) esentando le spese per investimenti. Chi acquista un bene o un servizio è tenuto a pagare l’imposta, che si aggiunge al prezzo di vendita, versandola a chi gli vende il bene che a sua volta provvederà a versarla allo Stato. Dato il meccanismo di funzionamento della imposta, le possibilità di evasione sono molteplici: nel caso del venditore finale è possibile che egli applichi l’imposta, ma non la dichiari e non la versi, e chieda invece il rimborso delle somme che ha versato come Iva sugli acquisti; o invece che non applichi proprio l’imposta relativa ai suoi beni che vengono venduti a prezzi più bassi dei concorrenti. Questo modo di procedere è però rischioso in quanto la contabilità mostrerebbe un margine sui costi troppo basso rispetto al normale, e quindi la soluzione più adottata in concreto è quella di sottovalutare, nelle dichiarazioni e nei bilanci, sia le vendite finali che gli acquisti, in modo da non destare sospetti; in questo caso l’evasione sarà solo parziale e non totale, come nel caso precedente. Un’altra possibilità di evasione si verifica quando il venditore finale è in grado di acquistare merce non fatturata dai fornitori. In questo caso l’evasione (sia di Iva che delle imposte sui redditi) sarebbe totale, mentre il vantaggio per il fornitore sarebbe quello di poter evadere successivamente le imposte sui redditi. L’evasione si può verificare anche nelle transazioni intermedie quelle che si verificano lungo la catena produttiva: è possibile il ricorso a fatture false relative ad acquisti presunti e non effettuati, in modo da aumentare l’imposta detraibile fino a renderla (eventualmente) superiore a quella incassata sulle vendite, e determinare o una riduzione del debito fiscale o addirittura il diritto a un rimborso. Ma il meccanismo più diffuso è quello di fatturare regolarmente le vendite, incassare l’imposta relativa, ma non dichiararla né versarla al fisco, l’imposta pagata sugli acquisti potrà essere detratta (interamente o in parte, per motivi di prudenza), o non detratta, e in questo caso l’evasione sarà minore. Questa modalità di evasione può essere integrata da un comportamento strategico del contribuente che, ove possibile, tenderà ad occultare prevalentemente vendite soggette all’aliquota ordinaria, ed acquisti che beneficiano di un’aliquota ridotta. In questo modo emerge un altro meccanismo specifico di evasione Iva: l’evasione “da aliquote” che, a parità di evasione ai fini delle imposte sui redditi, può fortemente aumentare la perdita di gettito dell’Iva. Sull’evasione da aliquote V. il Rapporto Nens del Febbraio 2021, Evasione dell’Iva: analisi strutturale della base imponibile. Sulle tecniche di evasione dell’Iva v. Visco V., What Do (Disloyal) Taxpayers Do: a Taxonomy of the Mechanism of VAT Evasion and Possible Remedies, Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze,2015.
[3] V. Visco V., Colpevoli Evasioni, Università Bocconi ed. 2017.
[4] V. Nens 2014, Misure di contrasto all’evasione fiscale. Una proposta di riforma del regime Iva, www.nens.it
[5] La frode si basa sul fatto che le importazioni sono esenti da Iva che viene poi recuperata quando l’importatore cede sua volta il bene (o servizio) da lui prodotto. È allora sufficiente costituire una società di comodo che importa il bene, lo cede con regolare fattura ad un’altra impresa, non versa l’Iva incassata e scompare, mentre la società acquirente risulta in regola. Spesso questa società vende di nuovo all’estero, in esenzione di imposta, il bene, e il meccanismo riparte di nuovo con gravi perdite di gettito per l’erario.
[6] È interessante osservare come queste misure, e in particolare la fatturazione elettronica, siano state introdotte senza suscitare particolari esitazioni da parte delle forze politiche o resistenza delle categorie interessate, sempre pronte a opposizioni ed ostruzionismi di ogni genere. Il motivo va a mio avviso cercato nel fatto che gli interventi proposti si presentavano con caratteristiche “neutrali”, come semplice adattamento della normativa esistente alle nuove tecnologie disponibili, per cui diventava molto difficile opporsi.
[7] Si tratta degli stessi contribuenti ai quali il Governo Meloni ha riservato recentemente un concordato preventivo biennale, con adesione volontaria, molto vantaggioso e che li escluderà dalla possibilità di subire un accertamento.
[8] Va però tenuto presente che i redditi di lavoro dipendente fino a 16.000 euro non pagano Irpef, e che dopo l’intervento sul cuneo fiscale l’Irpef per i lavoratori dipendenti l’Irpef (senza considerare le altre imposte) risulta più conveniente del forfait fino a circa 30.000 euro.
[9] Né va dimenticato che i lavoratori dipendenti e pensionati con redditi medi, e soprattutto medi-elevati che non possono evadere sono stati anche penalizzati in sede di rivalutazione delle pensioni e vengono sistematicamente discriminati nell’applicazione concreta delle addizionali locali.
[10] Interessante a questo proposito è il commento di Giuseppe Melis all’articolo di V. Visco, Promemoria per una riforma fiscale, pubblicato sul n. di aprile 2019 su Politica Economica, Il Mulino, e seguito, nel dicembre dello stesso anno, da un dibattito tra esperti sulla stessa rivista, cui Melis partecipò insieme ad altri.
[11] V. V. Visco (con Giovanna Faggionato), La guerra delle tasse, La terza 2023.
[12] Oltre a quelli citati, V. anche Nens, Ritenute alla fonte per tutti,2017.
[13] Tra tutti, V: Visco, Promemoria per una riforma fiscale, Politica Economica, Il Mulino aprile 2019.
[14] In realtà se ne discusse nell’Assemblea costituente, ma alla fine non se ne fece niente.
[15] Si tratta di un diverso meccanismo di calcolo dell’imposta che consiste nell’applicare l’aliquota dell’Iva direttamente al valore aggiunto della vendita finale (valore dei beni ceduti meno valere dei beni acquistati) senza detrarre l’Iva pagata a monte, ma inglobandola nel prezzo finale. In questo modo si recupererebbe una parte dell’evasione del settore. V. i rapporti Nens citati.
[16] Di questa questione ebbi modo di discutere con Mario Draghi Presidente del Consiglio, che si dovette impegnare allo stremo per far approvare una norma che consentisse l’uso di massa dei dati finanziari dei contribuenti coperti comunque dall’anonimato.
[17] A chi scrive è capitato per esempio di partecipare ad un ricevimento di matrimonio indicato all’ingresso come una festa per i dipendenti del titolare dell’azienda di proprietà dello sposo.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link