Il CdS spiega le condizioni per una ristrutturazione ricostruttiva che non necessita del permesso di costruire
Quando eventi naturali devastanti colpiscono le nostre comunità, la ricostruzione diventa un passo irrinunciabile verso il recupero e la rinascita. Ma cosa succede quando un manufatto viene completamente distrutto? Quali sono le regole che disciplinano la sua ricostruzione? La questione si fa ancora più complessa quando si tratta di ottenere i titoli edilizi appropriati. In questo contesto, la distinzione tra manutenzione, ristrutturazione e nuova costruzione diventa fondamentale per evitare sanzioni e garantire la legittimità dell’intervento.
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Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 10307/2024 è recentemente tornato con alcuni interessanti chiarimenti sui concetti di ristrutturazione e ricostruzione e dei titoli edilizi a loro appropriati a determinate condizioni.
Per ricostruire una struttura spazzata via da una tempesta quale titolo edilizio occorre?
Un chiosco balneare era stato distrutto completamente da un evento atmosferico, per cui, successivamente, il proprietario aveva presentato una comunicazione di inizio lavori (CIL) per l’installazione di strutture provvisorie al fine di garantire la continuità dei servizi durante la stagione balneare. Al termine della stagione, egli avviava i lavori di ripristino del chiosco, dichiarando con altrettanta semplice comunicazione di operare nel rispetto delle autorizzazioni già esistenti prima del disastro. Tuttavia, il Comune avviava un procedimento per la repressione della ricostruzione classificata come abuso edilizio, contestando la mancanza di titoli abilitativi per i manufatti realizzati.
In particolare, il Comune aveva ingiunto la demolizione di diversi manufatti, tra cui un prefabbricato in legno di 40,61 m2, un manufatto ligneo a forma di “L” per servizi igienici e magazzino, una parete ombreggiante e una pavimentazione esterna. L’ordine di demolizione era motivato, come accennato, dall’assenza di titoli abilitativi edilizi e autorizzazioni paesaggistiche.
Per tali motivi, il proprietario presentava ricorso al Tar che lo respingeva, sostenendo che non si trattava di manutenzione o ristrutturazione parziale, ma di installazione di nuovi manufatti.
Il protagonista della vicenda non demordeva e decideva di presentare ricorso in appello presso il CdS.
L’appellante ha sostenuto che:
- i lavori eseguiti rientravano nella manutenzione ordinaria o straordinaria o in subordine nella ristrutturazione ricostruttiva parziale, senza necessità di permesso di costruire;
- il Tar non aveva considerato gli apporti forniti in sede procedimentale omettendo di valutare la comunicazione di fine lavori depositata.
CdS: si tratta di una ristrutturazione ricostruttiva per cui può bastare una SCIA senza necessità di ulteriori autorizzazioni paesaggistiche
I giudici hanno specificato in premessa che, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante:
l’intervento non può qualificarsi come attività edilizia libera né è riconducibile agli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), del testo unico, per i quali è sufficiente la sola comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, dal momento che la norma esclude da tale fattispecie gli interventi che, come nel caso di specie, riguardino le parti strutturali dell’edificio.
Il CdS ha ritenuto invece di ricondurre le opere eseguite alla ristrutturazione ricostruttiva art. 3, lett. d), del testo unico dell’edilizia, ossia il ripristino di un edificio crollato mantenendo sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente senza incrementi di volumetria. Questo tipo di intervento, compresa la parte di pavimentazione ancorata al suolo, richiede la SCIA di cui all’art. 22 del testo unico, ma non necessita del permesso di costruire. La ricostruzione del chiosco è stata effettuata in modo fedele, utilizzando materiali diversi ma mantenendo le stesse dimensioni e caratteristiche del preesistente.
Omessa valutazione e difetto di istruttoria
Il Consiglio di Stato ha rilevato che il Comune non ha valutato adeguatamente gli apporti forniti dal privato in sede procedimentale, tra cui la comunicazione di fine lavori che attestava l’identicità del ripristino rispetto al manufatto originale. Inoltre, è stato evidenziato un difetto di istruttoria per non aver considerato l’esito dei lavori di ripristino. L’amministrazione avrebbe dovuto interagire con l’appellante per chiarire i titoli necessari per l’intervento, evitando così sanzioni ingiustificate.
Applicazione della normativa edilizia
La normativa prevede che la ristrutturazione edilizia, quando comporta la demolizione e ricostruzione di un edificio, debba mantenere le caratteristiche fondamentali del preesistente, come sagoma e volumi, per non essere considerata una nuova costruzione. Nel caso in esame, non essendoci modifiche significative rispetto all’originale, l’intervento è stato correttamente qualificato come ristrutturazione ricostruttiva. Pertanto, non si applica l’effetto sanzionatorio demolitorio previsto per gli abusi edilizi.
Perché non occorre una nuova autorizzazione paesaggistica per la ricostruzione del manufatto distrutto?
Per quanto riguarda l’autorizzazione paesaggistica, i giudici del Consiglio di Stato hanno stabilito che non è necessaria per il chiosco balneare distrutto e ricostruito, in quanto si tratta di una fedele ricostruzione di un edificio crollato a seguito di una calamità naturale. Questo è conforme al n. 29 dell’allegato A del d.p.r. 13 febbraio 2017 n. 31, che esenta da tale autorizzazione gli interventi di fedele ricostruzione di edifici demoliti o crollati a causa di calamità naturali, a condizione che sia possibile accertarne la preesistente consistenza e configurazione.
Analogamente, non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica per la pavimentazione esterna, poiché si tratta di un intervento eseguito in un’area di pertinenza dell’edificio e non comporta modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali del terreno. Ciò rientra nel punto 12 dello stesso allegato, che esenta da autorizzazione paesaggistica interventi come l’adeguamento di spazi pavimentati o la realizzazione di camminamenti che non alterano la morfologia del terreno
L’appello è stato, quindi, accolto, e la sentenza del Tar è stata riformata. Il Comune è stato invitato a richiedere eventuali integrazioni necessarie per la legittimazione formale dell’intervento, in linea con il principio di collaborazione tra amministrazione e privati.
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