Le crypto non hanno valore legale e non sono sequestrabili

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Secondo quanto riportato dalla Corte Suprema di Cassazione nell’ultima sentenza del 15 gennaio 2025, le crypto non sono considerate come asset potenzialmente sequestrabili.

Difatti le valute digitali come Bitcoin non hanno ancora un valore legale in Italia e dunque non possono essere pignorate preventivamente dal fisco in caso di evasione fiscale.

Questa interpretazione potrebbe tuttavia subire rivisitazione future alla luce dell’adozione del Regolamento MiCAR, che introduce un quadro normativo più chiaro e rigoroso per la gestione delle cripto-attività.

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Vediamo tutti i dettagli di seguito.

Sentenza n. 1760/2025 della Cassazione: le crypto non sono sequestrabili

Mercoledì 15 gennaio 2025 la corte Suprema di Cassazione si è espressa sul tema dei reati tributari affermando che le crypto non sono considerate sequestrabili.

Con la sentenza n.1760/2025 ha stabilito che non è legittima la misura cautelare del pignoramento preventivo di asset crypto in caso di evasione fiscale.

Questa decisione della Cassazione è motivata dal fatto che monete digitali come Bitcoin non hanno corso legale in Italia e non sono riconosciute come mezzo di pagamento con effetti liberatori. Le stesse non sono infatti  soggette alle norme che regolano la circolazione e il cambio delle monete riconosciute legalmente dallo Stato.

Le criptovalute costituiscono appunto la rappresentazione di un “valore virtuale” non garantito dall’esercizio di poteri autoritativi di una banca centrale o di un ente pubblico. 

La loro quotazione non è di conseguenza correlabile all’andamento dell’euro, che costituisce la moneta fiat con cui è espresso lo stesso debito tributario verso l’Erario.

Non ci sono inoltre istituzioni e/o organi statali che possano garantire un valore sabile delle crypto nel momento della potenziale conversione in fiat.

In sintesi, è illegittima la conversione in monete digitali dell’importo sequestrabile in euro quale profitto della violazione della legislazione fiscale.

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Dunque in caso di reato tributario il fisco non può appellarsi al patrimonio in crypto dell’indagato con quest’ultime che vengono definite in ultima istanza come non sequestrabili.

Questa interpretazione della Cassazione ha suscitato molte polemiche in merito alla posizione giuridica delle crypto in Italia, nonostante la loro crescente adozione mondiale.

L’avvocato e youtuber Angelo Greco ha pubblicato un breve video a riguardo, evidenziando come grazie alla crypto si può in pratica riuscire a non pagare le tasse!

MiCAR e regolamentazione delle crypto attività: potenziali risvolti futuri

Chiaramente, la scelta della Cassazione di indicare le crypto come asset non sono sequestrabili in caso di reato tributario, potrebbe cambiare sensibilmente in futuro.

Al momento i token digitali non hanno un valore legale in Italia, ma con l’arrivo del regolamento MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation), è possibile che saranno trattati diversamente in caso di reati finanziari.

Questa normativa è volta proprio a  regolamentare le cripto-attività, offrendo maggiore trasparenza, sicurezza e protezione al mercato e agli investitori.

Inoltre, con l’ultimo Decreto Legislativo 129/2024, sono state introdotte nuove regole per adeguarsi a MiCAR, stabilendo un quadro giuridico chiaro per il settore crypto.

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Questo potrebbe portare la Cassazione a rivedere la gestione del sequestro probatorio in caso di reati contro il fisco italiano.

Nulla di strano se pensate che il mercato delle criptovalute vale 3,5 trilioni di dollari, più del PIL registrato dall’Italia nel 2023 (2,255 trilioni di euro).

Bitcoin e tutti gli altri asset crittografici stanno diventando sempre più popolari agli occhi dei piccoli e grandi investitori, e di conseguenza è probabile che inizieranno ad essere trattate diversamente dal punto di vista legale e fiscale.

Inoltre dopo il recente ingresso nel settore da parte della banca Intesa San Paolo, è possibile che le istituzioni saranno forzate ad intervenire a riguardo.

Il potere giudiziario potrebbe offrire nuove interpretazioni da un momento all’altro, legalizzando le crypto a corso legale e accettando la loro sequestrabilità probatoria.

A quel punto solo gli asset crypto detenuti in completo anonimato, nonostante sia illegale non indicarne il possesso, saranno ancora impossibili da sequestrare.

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Questo vale ovviamente finchè le stesse crypto non vengono scoperte dal fisco, in modo comparabile ai contanti non dichiarati,con l’applicazione di pesanti sanzioni.

Come aumentare la privacy e rendere i propri asset digitali non sequestrabili

Al di là delle future sentenze della corte di Cassazione, le crypto saranno sempre impossibili da sequestrare qualora sia ignoto il loro possesso.

Come ben sapete però, le monete digitali sono “pseudo-anonime” ovvero sono ritenute anonime finché il titolare non rivela pubblicamente la sua identità.

Esistono a tal proposito diversi metodi per aumentare la componente della privacy e di fatto rendere impossibile l’associazione di un valore in crypto al proprio patrimonio.

Innanzitutto è chiaro che finché le criptovalute sono acquistate e custodite su CEX con tanto di verifica KYC, rimane impossibile garantire la non rintracciabilità.

Invece, se vengono acquistate tramite scambio P2P o su exchange che non richiedono KYC, abbiamo già un ottimo punto di partenza.

Poi, se le stesse crypto sono custodite su un portafoglio privato di cui non si è mai lasciata traccia online (es. deposito su CEX, collegamento con app centralizzate), si migliora notevolmente la propria privacy.

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Detenere Bitcoin o altri asset digitali su un wallet non dichiarato e ignoto all’Agenzia delle Entrate, rende infatti complesso se non impossibile per il Fisco associarne il possesso ad una persona fisica e/o legale.

Di conseguenza pare difficile pensare che lo Stato possa stabilire un sequestro preventivo laddove non ci siano elementi per la sequestrabilità, soprattutto in mancanza di organi ed istituzioni competenti. 

Questa situazione diventa ancora più complessa se pensate che l’indagato di reato probatorio, pur in caso di rilevamento del possesso di crypto da parte dell’ADE, potrebbe facilmente dichiarare di non aver accesso alle chiavi private del wallet.

Ricordiamo comunque che omettere il possesso di crypto in fase di dichiarazione dei redditi è un reato punibile con sanzioni amministrative e penali. Con questo articolo non vogliamo fornire “istruzioni” per omettere i propri obblighi fiscali. Piuttosto si vuole evidenziare l’incompatibilità delle potenziali misure di sequestro probatorio con gli attuali sistemi di rilevazione e di tracciabilità delle crypto attività.



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