Medico-fotografo, il presidente emerito della Fondazione Pezcoller è stato anche assessore alla Cultura a Trento: «Il sogno è vedere un vaccino per l’Aids e per il cancro»
Gios Bernardi, decano della medicina trentina, ha compiuto 102 anni allo scoccare del 2025. Oggi si racconta con lucidità disarmante, alternando ricordi personali a riflessioni profonde sul presente e sul futuro.
Dottor Bernardi, lei ha vissuto l’avvento di innovazioni rivoluzionarie: la diffusione della penicillina, i primi trapianti, vaccini che hanno cambiato il corso dell’umanità… Quale scoperta medica l’ha emozionata di più?
«Non è facile risponderle perché della medicina ho seguito soprattutto la branca oncologica, con la Fondazione Pezcoller che se ne occupa a livello internazionale: dopo trent’anni, ne sono presidente emerito. Ho assistito a così tante scoperte, soprattutto negli ultimi decenni, tutte importanti e tutte emozionanti, che trovo impossibile sceglierne una».
E una scoperta scientifica che spera di vedere prima di andarsene?
«Molte, dal vaccino che debelli la malaria a quello contro l’Aids. Ma il vaccino contro il cancro, quello sarebbe certamente una conquista fantastica. I progressi della medicina sono talmente rapidi che spero vivamente di esserci ancora per gioirne».
Nel fondare il premio Pezcoller, qual era il suo sogno più grande?
«La fondazione è nata nel 1980 dai risparmi del professor Pezcoller per la ricerca sul cancro. Ho scelto il tipo di ricerca molecolare, che in quel momento era quasi esclusa dagli interessi medici locali, e quattro dei premiati sono arrivati anche al Nobel, andando ben oltre le mie aspettative. L’alleanza con l’associazione americana di ricerca è stata fondamentale. Non le descrivo le difficoltà dei primi passi, nei primi anni, però ce l’abbiamo fatta».
Da medico che ha vissuto diverse pandemie, non ultima il Covid, come è cambiata la risposta della società alle emergenze sanitarie?
«La risposta è stata varia e, mi dispiace dirlo, dettata da una certa ignoranza aggressiva. Sono assolutamente contrario alle tendenze no-vax, pericolose e inaspettate in un momento nel quale avevamo visto con i nostri occhi la morte sfilare per le strade».
Vaccini a parte, lei è però critico su un abuso della chimica, della medicina, e per primo non fa uso di farmaci o antibiotici.
«È verissimo. Oggi c’è un’esagerata diffusione di cure fai-da-te, forse per le tante paure della gente. Solo per il mal di testa, di cui ho sofferto molto nel passato, ho dovuto ricorrere spesso alle medicine».
Lei è molto rigoroso nella cura della sua salute?
«Sono un salutista convinto, quasi vegano, e i comportamenti virtuosi fanno parte della mia quotidianità. Lo considero uno stile di vita, non un sacrificio. Se sono qui oggi, a 102 anni, è forse anche per questo. E poi sarebbe proprio sciocco rimpiangere le tante sciate che ho fatto, le lunghe nuotate e le belle camminate in alta montagna».
Lei che ha visto nascere e crescere il servizio sanitario nazionale, come immagina la medicina del futuro?
«Ci sono molte cose che mi entusiasmano, ma altrettante che mi preoccupano. L’intelligenza artificiale porterà notevoli vantaggi, ma temo toglierà troppo al medico e all’uomo in termini di possibilità di scegliere ragionevolmente la giusta strada da percorrere».
Da medico a fotografo, lei ha osservato l’umanità attraverso due lenti molto diverse. Quale delle due le ha rivelato di più sulla natura umana?
«Evidentemente la medicina. Dopo pochi anni di chirurgia ho fatto molta radiodiagnostica, apparentemente un ambito di scarso contatto con il paziente: io invece ne ho sempre avuto molto e il mio sentiero principale è sempre stato quello dell’empatia. Anche come segretario e presidente dell’Ordine dei Medici o come cittadino, ma ritengo che il rapporto medico-paziente sia assolutamente fondamentale».
Qual è stata la lezione più importante che ha imparato dai suoi pazienti?
«Seguire sempre con attenzione la loro storia e aiutarli anche con la parola, non solo con i farmaci o con una radiografia. Dai pazienti ho imparato la necessità di dialogare».
Parlava di “ignoranza aggressiva” nella società attuale. Vede un parallelo con il rapporto medico-paziente?
«Non sono molto entusiasta dell’involuzione della percezione umana al giorno d’oggi. C’è molta paura irrazionale e violenza, con una mancanza di strutture mentali per capire cosa sta succedendo. Penso alla sanità pubblica… Ero presidente dell’Ordine quando è partito il servizio sanitario nazionale: allora non avrei mai pensato che la situazione sarebbe diventata così difficile».
C’è qualcosa che la sorprende in positivo?
«I momenti di generosità e disponibilità, anche se vedo una decadenza nell’attenzione all’altro. Sulle nuove generazioni, invece, intravedo segni di speranza in mezzo a tanta violenza e disinteresse diffuso ci sono germi di interesse positivi. Mi spaventano di più gli adulti, quelli che non vanno a votare».
Lei ha attraversato un secolo di cambiamenti della scuola italiana, prima come studente e poi come assessore. Cosa pensa del sistema educativo attuale?
«Vedo che sono saltate tutte le marcature nel rapporto con gli insegnanti e questo mi preoccupa molto. Mi avvilisce vedere reazioni di genitori che protestano perché il figlio non è stato promosso: una cosa vergognosa. Trovo gravissimo e molto diseducativo togliere autorevolezza alla figura dell’insegnante».
Da assessore alla Cultura c’è qualcosa che avrebbe voluto realizzare a Trento?
«Mi è più facile dirle quello che ho saputo realizzare: la diffusione delle sale di lettura, la prima l’ho inaugurata io. E poi sono fiero di aver portato il teatro in città, ho affittato per la prima volta il Teatro Sociale che era privato e ho organizzato la prima stagione teatrale di Trento».
Frequenta ancora le sale teatrali?
«Purtroppo no, da poco, per una certa sordità. Non capirei tutto quello che dicono. Lo stesso vale per cinema e tv. In compenso leggo molto, innanzitutto i giornali: di alcuni ho l’abbonamento digitale, altri li compro. Leggo sempre due testate nazionali, poi due o tre locali e raramente giornali stranieri in francese, inglese e spagnolo, che conosco da “balbuziente”. Per i libri ultimamente mi sono dedicato tanto alla geopolitica, soprattutto sulla situazione mediorientale, e alla letteratura: ero molto appassionato di quella americana, ma adesso sto rileggendo Calvino».
I suoi nipoti l’hanno mai dirottata su letture più contemporanee? “Harry Potter” l’ha mai letto?
«No, leggo quello che voglio. Mi riferiscono con entusiasmo certe letture ma non incitandomi a seguirli; c’è una sorta di gruppo di lettura familiare, abbiamo un dialogo molto importante. C’è un filosofo francese mio coetaneo, Edgar Morin, di cui ho letto parecchi libri».
È nato quando la televisione non esisteva. Come si trova nell’era dei social?
«Non rimpiango niente, ma mi preoccupa quello che vedo. Trovo terribile la violenza e l’abuso che si fa di internet, ma anche le inesattezze, le fake news e i tentativi di condizionare l’opinione pubblica. Trovo una gran perdita di tempo l’abuso dei telefonini. Ho due mantra: vivi consapevolmente e non essere indifferente».
C’è un incontro che l’ha particolarmente segnata?
«Nessun potente, ma ho avuto rapporti di amicizia significativi anche con alcuni grandi scienziati. Ero poi molto amico dell’architetto roveretano Luciano Baldessari e abbiamo vissuto parecchie esperienze insieme. Conservo il nostro scambio epistolare: ci scrivevamo di vita, di filosofia e di politica, ma soprattutto di arte. Quando c’era ancora mia moglie avevamo una specie di salotto letterario, aprivamo casa nostra per degli incontri culturali molto simpatici soprattutto con artisti».
Le manca sua moglie?
«Franca è mancata cinque anni fa. Avevo un rapporto molto sereno e molto stretto con lei. Oggi sono sereno e cerco di prendermi cura di me».
Con che spirito guarda a questo 2025?
«Se potessi esprimere un auspicio, in una sola parola, direi la curiosità. E poi anche un po’ di serenità».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link