Come non pagare le tasse ed evitare il sequestro

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Criptovalute e sequestro preventivo: la sentenza della Cassazione n. 1760/2025 esclude che lo Stato possa bloccare i wallet digitali di bitcoin.

In un mondo dove le leggi fiscali sembrano sempre più oppressive, una recente sentenza della Cassazione ha scosso l’intero sistema, offrendo una scappatoia legale che suona quasi troppo bella per essere vera: come non pagare le tasse ed evitare il sequestro. In particolare, con la sentenza n. 1760/2025, la Suprema Corte ha illuminato un percorso sorprendente per evitare le conseguenze patrimoniali dell’evasione fiscale, anche per chi non è proprio nullatenente.

Le affermazioni della Cassazione hanno sollevato un acceso dibattito in merito alla possibilità di sequestrare le criptovalute in caso di reati tributari. La Corte ha infatti stabilito che, allo stato attuale della normativa, le criptovalute non possono essere considerate «valute» a tutti gli effetti e, pertanto, non possono essere oggetto di sequestro preventivo. In questo articolo, analizzeremo la sentenza e le sue implicazioni, cercando di rispondere alle domande più frequenti in merito.

Si possono sequestrare le criptovalute?

La Cassazione ha stabilito che le criptovalute, come i Bitcoin e le altre numerose monete digitali, non possono essere oggetto di sequestro preventivo in caso di evasione fiscale. Questo perché, secondo la Corte, le criptovalute non hanno corso legale e non sono riconosciute come normale mezzo di pagamento.

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Il principio è semplice: se non pagate le tasse e trasformate il vostro denaro in Bitcoin o altre monete virtuali, queste non possono essere sequestrate dallo Stato, perché non saprebbe effettivamente cosa farsene. In parole povere, il ragionamento è: «Le criptovalute non hanno valore legale? Perfetto, neanche il fisco può legalmente prenderle».

Questa la realtà sorprendente emersa dalla nuova pronuncia della Cassazione. Quindi, secondo la Corte, mantenere il proprio patrimonio in wallet digitali lo renderebbe, di fatto, insequestrabile, nonché insuscettibile di confisca e, dunque, al sicuro da eventuali azioni fiscali intraprese per recuperare il maltolto, cioè i proventi dell’evasione.

Quali sono le motivazioni della sentenza?

La Corte ha motivato la sua decisione affermando che le criptovalute non rientrano nella definizione di «valuta» ai sensi della normativa italiana. Inoltre, ha evidenziato le difficoltà operative legate al sequestro di criptovalute, data la loro natura decentralizzata e la difficoltà di tracciarne i flussi, oltre che di stabilirne l’esatto valore equivalente in moneta avente corso legale (le quotazioni delle criptovalute sono estremamente oscillanti).

Quali sono le implicazioni della sentenza?

La sentenza della Cassazione n. 1760/2025 crea un “vuoto normativo” in materia di sequestro preventivo di criptovalute. Ciò potrebbe rendere più difficile per lo Stato recuperare i proventi dell’evasione fiscale, qualora questi siano stati investiti e convertiti in criptovalute.

La sentenza significa che le criptovalute sono un paradiso fiscale?

No, la sentenza non implica che le criptovalute siano un paradiso fiscale. L’evasione fiscale resta un reato, e le autorità stanno sviluppando nuovi strumenti per contrastare l’utilizzo di criptovalute per scopi illeciti.

È tuttavia vero che, ad oggi, chi lascerà in criptovalute i proventi delle sue attività illecite – non solo quelli derivanti da reati tributari: si pensi ad altri delitti, come il riciclaggio – ha un mezzo “sicuro” (almeno se e sino a quando la pronuncia della Suprema Corte verrà condivisa ed applicata da altri magistrati giudicanti) per non subire, quantomeno, il sequestro preventivo. Dunque potrà essere imputato e se del caso anche condannato, ma non perderà i proventi illecitamente realizzati.

Cosa cambierà in futuro?

È probabile che la sentenza della Cassazione spingerà, prossimamente, il legislatore a intervenire per colmare il vuoto normativo che abbiamo evidenziato, in modo da regolamentare il sequestro di criptovalute in caso di reati tributari e non solo.

Inoltre, non va sottovalutato il fatto che le autorità fiscali italiane e degli altri Stati membri dell’Unione Europea stanno investendo molto nelle tecnologie per tracciare le transazioni in criptovalute, monitorando la blockchain che registra gli scambi e tenendo d’occhio i wallet digitali, in modo da contrastare in modo più efficace l’evasione fiscale e il reimpiego dei proventi illeciti che da essa derivano.

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