COSENZA A rivederla oggi, sembra la scena del (non) saluto tra i premier Letta e Renzi al passaggio del testimone (la “campanella”) nel 2014: Giacomo Mancini scivola dietro e accenna un insolito saluto perché stavolta deve fare da comprimario al protagonista del giorno, Bettino Craxi. Ecco, partiamo dal giorno visto che oggi si celebra il 25esimo della scomparsa del leader Psi ad Hammamet: è il 21 marzo 1992, a Cosenza si apre la campagna elettorale per le Politiche del 5 e 6 aprile: per chi c’era, fu uno di quei mesi d’aprile in cui non si andò praticamente mai a scuola tra elezioni, disinfestazioni e Pasqua.
Si apre col Va’ pensiero in un cineteatro Morelli gremito, striscioni del Movimento giovanile di Crotone e dei socialisti della nuova Provincia pitagorica, appena istituita: in questi giorni in cui a Cosenza si parla di altri simboli e ricorrenze, rivediamo Pino Iacino alla destra di Mancini, seduto a sua volta alla destra del protagonista assoluto, figura centrale in una sorta di tavolo da Ultima Cena con tanto di file secondarie su cui troneggia il catanzarese Rosario Olivo. Nella prima confabulano Sandro Principe e Salvatore Frasca.
Nella provincia più socialista d’Italia
Un emozionatissimo Salvatore Magarò con cravatta fluo introduce il segretario nazionale presentandolo solennemente ai «compagni» (si poteva ancora dire) della «provincia più socialista d’Italia» tra i rappresentanti di tanti comuni calabresi a guida Psi. Magarò parla di «modernizzazione delle autonomie locali» a fronte di una «Dc che non è portatrice di alcuna novità nel Mezzogiorno», poi bordate alla «politica dell’emergenza» praticata dallo scudo crociato, ma anche al «trasformismo antisocialista del Pds»: il riformismo dei socialisti sembra la leva per fare ripartire l’Italia in quell’ultimo scampolo di secolo.
Mancini – ora che i tempi degli scontri del congresso al Midas sono passati – fa partire il primo applauso quando Magarò elogia le politiche di Craxi primo ministro per troppi pochi anni rispetto ai 47 della Repubblica.
In un prezioso documento video consegnato a youtube le telecamere indugiano spesso su Donna Vittoria, con ripetuti zoom in platea sui suoi immancabili occhialoni alla Sandra Mondaini, lascito del decennio passato come le bottiglie di vetro Fiuggi sul tavolo della presidenza e i tanti baffi o gli occhiali da vista a goccia nel pubblico maschile o le acconciature rigonfie delle tante signore presenti.
Il comizio di Bettino
Craxi, dopo l’intervento di Iacino, si accomoda sul pulpito dopo un applauso preventivo più standing ovation. Il suo è un discorso alatissimo e giocato nel non facile equilibrio di contenuti macro («l’altro giorno mi ha chiamato il segretario generale dell’Onu») e locali, con un eloquio e un carisma difficilmente riscontrabili nei leader a venire, tra dossier sui debiti dei Paesi del terzo mondo e impellenza di risolvere quello italiano «pari a quello di America Latina, Asia e Africa, il più alto di tutti quelli industrializzati»: entrando in Europa, andando verso la moneta e la Banca unica dovremo risolvere il problema, dice con visionario realismo. Sulla fine del comunismo cita «il vecchio Nenni» che gli disse «il fiume risponde sempre alla sorgente» e rilancia l’idea dell’unità dei socialisti «ora che non c’è più la sorgente» ma «noi non vogliamo né annettere né comandare».
Rimarca il bisogno di partire dai territori, nella campagna elettorale, e dal Mezzogiorno e non già dalla sua Lombardia dove pure incombe un rischio: la «demagogia del separatismo» della insorgente Lega, ma «non è vero che il Sud drena le risorse» mentre è vero che «bisogna decentrare delegando poteri alle Regioni» una idea che Craxi fa risalire a Garibaldi e alla sua frase “gli italiani si facciano i maccheroni come preferiscono”. Lamenta una «Babele di velleità confuse», non solo per «la frammentazione» tanto della sinistra quanto in generale «del sistema politico visibile nella proliferazione di liste» ma anche per «la quantità di istrioni e demagoghi scamiciati e in doppio petto, venditori di fumo. Noi chiediamo i voti per governare, facendo una coalizione, e non per fare l’opposizione come dice lo slogan del Pds».
Cita il dato preoccupante della disoccupazione in Calabria, respinge l’ipotesi di “governi balneari” e rivendica la longevità di quello socialista nonostante «siamo andati sotto 155 volte». Su Europa, modernizzazione e ricerca tecnologica, criminalità, caro affitti, ambiente e disabili, disuguaglianze e povertà, sembra di sentire discorsi dei nostri tempi; così come su riforma elettorale, invecchiamento e longevità, assistenza sanitaria e calo demografico («non mi va di dire date figli alla patria» sorride), infrastrutture e treni ad alta velocità.
La profezia sbagliata
«Nel 1993 o rovesciamo lo scenario economico o scivoleremo indietro» aveva detto Craxi in riferimento all’economia, criticando la «lentocrazia» del Parlamento e non prefigurando cosa sarebbe accaduto di lì a breve: poco più di un anno dopo questo comizio – 30 applausi in poco meno di un’ora, 1 ogni due minuti e il più lungo per il saluto e ringraziamento finale al «compagno Mancini» – sarebbe cambiato tutto, in uno con la storia d’Italia, sì, ma per Craxi sarebbe iniziato il decennio del declino – il 30 aprile 1993 le monetine al Raphaël e la fuga del “cinghialone” dopo il ciclone Mani Pulite ma anche il discorso del “così fan tutti” in aula, con la maschera tirata di Saverio Zavettieri seduto dietro il leader e consegnato ai video della storia – mentre per Mancini sta per partire il decennio del riscatto: prima la vittoria giudiziaria poi quella politica che assumerà i contorni del trionfo a Palazzo dei Bruzi, con la primavera di Cosenza e l’addio al vecchio leone socialista nell’aprile 2002. In quel giro del millennio era davvero cambiato tutto. (e.furia@corrierecal.it)
Foto da Youtube
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